Social Media HSHS

Interviste

Vukovic: “Ero arrivato in Svizzera sognando la NHL, ma qui è cambiata la mia vita”

L’ex difensore torna sulla sua carriera: “All’hockey non potevo chiedere di più, e con il Rapperswil ho chiuso godendomi ogni momento. McSorley? È stato davvero importante, ma ancora di più i miei cari”

“Daniel è un difensore che dalla mia prospettiva da portiere ho sempre apprezzato molto. Il suo impegno a favore dell’intera squadra è sempre stato fuori dal comune. Ha sempre bloccato molti tiri e giocato in maniera semplice ma efficace e ha continuamente provato a perfezionare l’intesa tra il portiere e la difesa. È stato perennemente un leader, sia dentro che fuori dal ghiaccio, ha avuto una grande carriera. Inoltre mi sono sempre divertito un sacco con lui, e ho tanti bei ricordi”. Questo è l’attestato di stima di Tobias Stephan nei confronti di Daniel Vukovic, parole importanti e che ben descrivono un grande guerriero con un cuore immenso.

L’estremo difensore e il 36enne nativo di Toronto hanno giocato per tanti anni insieme a Ginevra. “Vuko”, arrivato nel 2008 a Ginevra, ha disputato ben 11 campionati con le Aquile e infine ha chiuso la carriera a Rapperswil nel 2021. In totale ha disputato 659 partite in NL e ha collezionato 116 punti. Da ormai un anno e mezzo la sua vita è cambiata.

“Sono impiegato a Gland in una banca svizzera come relation manager, mi occupo di clienti privati, spesso di madre lingua inglese, i campi sono quelli del trading e delle piattaforme. A volte accompagno i clienti pure alle partite di hockey. Sono tutti i giorni al telefono, è un lavoro meno fisico rispetto a prima, ma è comunque faticoso. Siamo un bellissimo team, un po’ come una squadra di hockey e sono contentissimo di questa avventura”.

Prevale la gioia della nuova sfida o a vincere è la malinconia per la vita da hockeista?
“La prima opzione. Non mi manca l’hockey giocato. Gli ultimi due anni a Rapperswil sono stati magnifici, già nel corso della seconda stagione nel canton San Gallo era ormai chiaro da tempo che avrei smesso. Ho dunque approfittato al massimo degli ultimi mesi da giocatore. Mi godevo ogni partita, ogni allenamento, i rapporti con i tifosi e con i giornalisti, quelli magnifici come te (grazie Vuko! ndr.). Ho terminato il campionato iscrivendo 7 reti e altrettanti assist, cifre per me inusuali e siamo giunti in semifinale, per il Rapperswil un’impresa. Non potevo chiedere di più”.

Torniamo indietro a quel 2008, l’anno che ti cambiò la vita. Ti aspettavi a quell’epoca che la Svizzera sarebbe diventato definitivamente il tuo nuovo Paese?
“Non me lo sarei mai immaginato. Pensavo di restarvi un anno o al massimo due, migliorare il pattinaggio, giocare contro dei professionisti e poi tornare oltreoceano per magari tentare la carta della NHL. Ma poi a Ginevra ho incontrato la mia futura moglie e da quel momento ho capito che la mia vita sarebbe stata qui. La Svizzera è un paese splendido, le persone sono magnifiche, ormai mi sento al 100% ginevrino, i miei figli sono svizzeri e questa è la mia patria. Certo ho ancora il mio coté canadese, ma ormai la mia terra nativa è solamente sinonimo di vacanza al fine di visitare la mia famiglia”.

Come avvenne il contatto con Ginevra, fosti tu a proporti o fu McSorley a scovare te e il tuo passaporto elvetico? Tu giocavi solamente in una lega universitaria, avevi un agente?
“Penso fossi già nei radar di alcune squadre, Chris fu il primo a chiamarmi. Non avevo un vero agente, ero un giocatore amatoriale, potevo però contare su una sorta di consigliere. Fui invitato da McSorley a vedere la finale contro lo Zurigo e rimasi in qualità di ospite per una settimana. Mi mostrò tutte le bellezze della regione ginevrina. In seguito ebbi anche appuntamenti a Berna e a Zugo, ma ormai la mia decisione era già stata presa. Fui sorpreso dal livello del campionato, il primo anno non fu per nulla facile e giocai poco”.

Un uccellino ci ha detto che il tuo sogno non era quello di diventare difensore, bensì portiere…
“In effetti adoro questo ruolo. Ora gioco a tempo perso in una squadra della banca e mi posso cimentare in questo esercizio. La sapete una cosa? Quando Tobias Stephan arrivò a Ginevra si presentò con l’equipaggiamento dei Dallas Stars, ma per motivi legati allo sponsor tecnico non poté usarlo. Allora colsi l’occasione al volo e decisi di acquistargli tutta l’armatura”.

Ora si spiega perché se ci fosse stato un casco distintivo per colui che blocca il maggior numero di tiri lo avresti indossato tu, è sempre stata una tua specialità, quanti ne avrai fermati?
“Supero tranquillamente quota mille, ma le statistiche in Svizzera non sono proprio esatte, nonostante ci sia stato un miglioramento con il passare degli anni”.

McSorley è stata la persona più importante della carriera?
“Bisogna fare una distinzione. Fuori dal cerchio familiare direi di sì. Ha fatto molto per me, mi ha dato un nuovo stile e se sono qui è grazie a lui, ma aggiungerei anche Hugh Quennec (ai tempi presidente e proprietario del Ginevra ndr). Non dimentico nemmeno Jeff Tomlinson, oggi mio buon amico, e l’intera organizzazione del Rapperswil. Ci sono pure compagni di squadra che mi hanno particolarmente segnato, cito Goran Bezina, mio compagno di linea per parecchie stagioni e Marek Malik, con cui disputai il mio primo vero campionato da titolare in granata. Io ho sempre cercato d’imparare dai migliori. Le persone più importanti però sono i miei cari: mio padre, i miei due fratelli, mi hanno sempre sostenuto da ragazzo. E più in là mia moglie e i nostri figli: quando facevo errori, mi aspettavano a casa, mi rincuoravano, quando rientravo con il ginocchio concio, le gambe piene di blu o il viso tumefatto da uno slapshot di Maxim Noreau mia moglie mi curava. Sono questi gli aspetti più importanti, sono le fondamenta, vanno oltre all’aspetto tecnico o tattico”.

A Lugano McSorley non ha funzionato, sei sorpreso? Quali sono a tuo avviso i motivi?
“È difficile da dire, e parlare dopo è sempre facile. Un po’ lo sono, ma nemmeno molto, i risultati già prima di Chris non erano proprio il top. Non avrei ad esempio mai pensato di eliminare il Lugano ai playoff con il Rapperswil. Quando ci sono momenti difficili la colpa è un po’ di tutti. Peccato, perché mi piacerebbe rivedere il grande Lugano, farebbe bene all’intera lega”.

Il tuo Ginevra è finora il leader incontrastato del campionato. Che sia la volta buona per finalmente vincere il sospirato titolo? Scommetteresti dei soldi a tal proposito?
“L’anno scorso non ero così ottimista e in effetti la stagione si rivelò difficile. Prima di questa invece mi sono detto che questo è il miglior Ginevra di sempre. Io non scommetto mai, ma a mio avviso quest’anno possono andare in fondo e ho il sentimento che perderanno poche partite. Vincono anche quando giocano male, in ogni momento ti possono infilare una rete. Dispongono di 4 blocchi offensivi forti e pure la difesa è solida. Coach Cadieux fa un buon lavoro, non è facile gestire così tanti giocatori talentuosi e soddisfare i vari ego”.

Qual è la squadra che sinora ti ha sorpreso maggiormente in bene e perché?
“Il Rapperswil, in tanti pensavano che le ultime due stagione fossero un po’ frutto del caso e fortuna, ho visto parecchi pronostici negativi. La verità è che hanno creato qualcosa di ottimo a livello organizzativo, pure quando perdono giocano bene, sono sempre pericolosi, ma appunto in fin dei conti non sono così stupito, La vera sorpresa per me è dunque il Bienne, sono una squadra attrezzata, ma non me l’aspettavo così in alto. Le delusioni? Lugano e Losanna, sulla carta dispongono di ottime rose e vederli in fondo alla classifica è un po’ anomalo”.

Hai vinto quattro Spengler consecutive dal 2013 al 2016, due con il Ginevra e due con il Team Canada. Possiamo consigliare al DS dell’Ambrì Duca di chiamarti e riattivarti per una settimanella?
“Lo sapevi che sono l’unico ad averla vinta per così tante volte filate? (Confessiamo di no, ndr.) È un bel record in un magnifico torneo. Dietro c’è un immenso lavoro organizzativo, è una grande famiglia, si respira un ambiente speciale, anche in Canada è seguitissimo. Conosco bene Paolo, ma fidati (Vukovic ride, ndr), non sarebbe una buona idea. I leventinesi dispongono decisamente di giocatori migliori di me e più in forma”.

Dopo i rinvii dovuti alla pandemia è magari giunta l’occasione di andare a fare una visita e far vivere ai tuoi bimbi un’atmosfera e una manifestazione che così tanto ha dato al loro babbo?
“Quest’anno non è in previsione, sono molto impegnato lavorativamente e comunque è sempre difficile trovare delle camere libere. I due figli più grandi hanno vissuto l’esperienza, seppur piccolissimi, mia figlia adora Hitsch, la mascotte del Davos. Il più piccolino ha invece solamente 2 anni e quindi non ha mai assaporato l’aria della Coppa Spengler. Quando sarà più grandicello faremo sicuramente una rimpatriata tutti assieme e mostrerò loro tutte le bellezze legate a questo evento”.

È la classica chiacchierata che potremmo continuare ancora a lungo, ma abbiamo già rubato troppo tempo a Vukovic, alla faccia dei 15’ richiesti. Il nostro interlocutore ci ringrazia ripetutamente per averlo interpellato, da questo piccolo gesto s’intuisce l’umiltà e la squisitezza della persona.

Click to comment

Altri articoli in Interviste