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Lugano

Con rammarico ma tanta voglia, verso un futuro esaltante

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A guardarla in maniera superficiale, la stagione del Lugano può essere riassunta sinteticamente con l’ennesima eliminazione allo stadio dei quarti di finali. E ci potrebbe pure stare per chi si vuole solo soffermare sul risultato nudo e crudo, se non fosse che lungo la strada che ha portato i bianconeri a cozzare contro il muro granata del Ginevra Servette c’è di più, molto di più, di cui andar fieri e per cui attendere con ansia la prossima stagione.

Inutile ribadire che uscire al primo turno dei playoff è una delusione, ma non bisogna dimenticare il travagliato autunno del Lugano, quando in pochi avrebbero scommesso anche solo sulla partecipazione ai playoff, alla luce anche dei risultati di squadre oggettivamente meno quotate come Ambrì Piotta e Losanna. E non bisogna nemmeno dimenticarsi le parole proferite anche su questo blog, da chi scrive ora e da chi lo impreziosisce con i suoi commenti, ossia la convinzione di aver intrapreso la strada giusta e di non lasciarla, anche a costo di disputare il purgatorio dei playout.

Che non siano scuse però, perché tra la delusione della prematura eliminazione e il sollievo per esserci almeno arrivati deve prevalere lo spirito di rivalsa, la voglia di migliorarsi e la consapevolezza che finalmente si sono poste delle basi solide per far sì che questi miglioramenti possano essere raggiunti.

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Ci è voluto coraggio, da parte di Fischer ma anche e soprattutto da parte della dirigenza per avvallare certe dolorose decisioni, ma questo coraggio è figlio di un’unità d’intenti ritrovata e dei ruoli finalmente chiari e definiti dalla base alla cima della piramide. Troppo spesso in passato la confusione è regnata sovrana in seno alla società, tra mille parole fumose e non-decisioni che nella maggior parte dei casi è costata cara ad allenatori troppo poco sostenuti.

La quasi immediata conferma per altri due anni sulla panchina bianconera del duo FischerAndersson è stata una delle chiavi di volta non solo della stagione ma anche della storia futura dell’Hockey Club Lugano. Pesante, si potrebbe pensare, ma occorre dare la giusta misura a una decisione arrivata in una situazione che negli ultimi 7-8 anni era costata la testa a una decina di allenatori, che siano stati traghettatori, vecchie glorie o progetti sbagliati fatti con le migliori intenzioni.

Lodevole il coraggio di chi ha scelto Fischer, grande quello di chi ha supportato le sue idee, enorme quello dell’allenatore che ha rischiato più volte il baratro non solo sportivo ma anche umano andando a scontrarsi di testa contro treni in corsa che nessuno ha mai avuto il coraggio di frenare. Si può disquisire sui modi, bruschi, arroganti (apparsi così più che altro ai detrattori) o severi. Personalmente li chiamo crudi, veri e privi di una certa esperienza “mediatica”, quella mancanza tipica di chi va avanti per la sua strada, senza cambiare le proprie opinioni dentro ad una stanza o davanti alle telecamere.

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Inesperienza, parola forse eccessiva, ma anche vera, che testimonia qualche sbandata ma anche il margine di miglioramento di Patrick Fischer, che ha avuto però il merito e l’acume necessario per portarsi appresso un silenzioso, saggio e razionale Peter Andersson, probabilmente la sua “metà” – sportivamente parlando – più azzeccata.

La squadra, a furia di rappezzamenti, partenze illustri e arrivi inaspettati è stata creata a loro immagine e somiglianza, con evidenti limiti dettati dal mercato, dagli infortuni o semplicemente da errori di valutazione. Occorre dirlo, il metro – no, non ho usato questa parola appositamente… – usato per costruire la squadra è sembrato quello giusto: tanti giovani, svizzeri esperti ma dall’età giusta, stranieri motivati e leader dentro e fuori dal ghiaccio. Ovvio, non tutto è funzionato, Mclean è “scoppiato” al momento sbagliato, Micflikier dopo un autunno in cui ha segnato reti a raffica si è spento denotando un certo nervosismo, Heikkinen non è mai stato quello che avevamo applaudito la scorsa stagione, su Lehtonen sorvolo e alcuni infortuni (Kostner e Pettersson su tutti) hanno fatto il resto.

A far pensare è anche la gestione della pausa olimpica, sfruttata, a detta dello stesso Fischer, per carichi di lavoro pesanti, ma è evidente che a livello di fiato qualcosa non è funzionato. Messo poi a confronto con un Ginevra considerato sì più forte ma forse addirittura sottovalutato il Lugano è apparso come una buona squadra ma non abbastanza attrezzata per lottare fino in fondo. Fischer ha infatti lottato tutta la stagione con quello che per ora rimane il buco più grande da colmare, ossia la mancanza di sniper veri e propri, sia svizzeri che stranieri, quelli che – facendo un paio di nomi a caso come BürglerGiroux – sanno togliere le cosiddette castagne da fuoco anche nei momenti più difficili, quelli che insomma sanno far vincere le partite destinate a essere perse.

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Pettersson è già qualcosa in questo senso, oltre alle grandissimi doti di leader e “agitatore” ha mostrato comunque un discreto senso offensivo, ma una spalla di valore occorre anche a lui, e nei playoff la cosa è stata evidentissima. E non è un caso se nell’ultima partita di playoff si sia richiamato Fazzini, e non è un caso nemmeno il fatto che il giovane ticinese sia stato uno dei più pericolosi, essendo lui stesso dotato di quel “naso” tipico degli attaccanti di razza.

I giovani come lui sono stati tra i veri protagonisti della stagione, come la sorpresa Merzlikins e i giovani meno giovani come Ulmer e Kostner, autori di una grandissima crescita e futuri pilastri del Lugano. Il compito dello staff tecnico non sarà solo quello di amalgamare la squadra secondo l’esperienza o l’età ma anche quello di far sì che questi ragazzi non si perdano, che trovino sempre le giuste motivazioni e la voglia di crescere non manchi mai. Ma attenzione, quest’ultima frase può e deve essere usata per tutti, giovani e “vecchi”, giocatori, staff tecnico e dirigenti, perché questa è stata la “stagione zero”, dalla prossima si dovrà fare sul serio.

Fischer ha tutto ciò che un coach può desiderare: la complicità della società , uno staff competente e unito, uno zoccolo di giocatori dediti alle sue idee e la stima di un pubblico che in casi più unici che rari aveva capito meglio la situazione e si era schierato con il “suo” allenatore, intravedendo una squadra e un gruppo uniti più che mai.

Le basi ci sono tutte, voglia di ripartire e di lottare pure, mancano “solo” alcuni fondamentali tasselli per poter obbligatoriamente tornare a puntare all’unica cosa che conta dopo la stagione regolare, e che al Lugano manca tremendamente.

Vincere.

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