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Mondiali 2018

Un’orgogliosa Svizzera si inchina in finale alla Svezia

Elvetici vicinissimi al primo oro della storia, la sfida si decide ai rigori dopo una bellissima finale. Non bastano i gol di Niederreiter, Meier e il rigore di Andrighetto

Matt Zambonin/HHOF-IIHF Images

Un’orgogliosa Svizzera si inchina in finale alla Svezia

SVEZIA – SVIZZERA

3-2

(1-1, 1-1, 0-0; 0-0, 1-0)

Reti: 16’38 Niederreiter (Josi, Fiala) 0-1, 17’54 Nyquist (Ekholm) 1-1, 23’13 Meier (Corvi, Josi) 1-2, 34’53 Zibanejad (Ekman-Larsson) 2-2

Rigori: Andrighetto, Ekman-Larsson, Forsberg

Note: Royal Arena, 12’490 spettatori. Arbitri Gofman, Gouin; Lazarev, Vanoosten
Penalità: Svezia 2×2′, Svizzera 5×2′

COPENAGHEN – A testa altissima. Che poi non è consolatorio nei momenti immediati alla sconfitta in finale, soprattutto quando il sogno dell’oro è stato vicino tanto così, quella misura immaginaria che separa un trionfo da una sconfitta, la misura di un tiro di rigore segnato o fallito.

Ma a testa altissima ne esce questa Svizzera, dopo un Mondiale giocato in crescendo, di gioco, emozioni e carattere, una Svizzera che ha ritrovato la sua anima, perduta nel freddo della Corea del Sud. E nulla, per ora, potrà consolare le lacrime di Scherwey, Fora e degli altri ragazzi distrutti in panchina, perché nulla può consolare chi si è costruito una mentalità vincente.

Questa finale contro la Svezia è stato quindi il ribaltone che serviva alla Nazionale rossocrociata per riprendersi il suo posto tra le migliori, e la prova che la squadra di Fischer ha fatto altri passi avanti è per come si è riusciti a gestire quest’ultima partita contro Forsberg e compagni.

La differenza rispetto a Stoccolma di cinque anni prima, contro una Svezia trascinata dai gemelli Sedin, è che questa squadra ha giocato per lunghi tratti da grande squadra, con coraggio, personalità e consapevolezza dei propri mezzi.

In una finale sempre condotta sul piano del risultato fino ai rigori, Niederreiter e banda si sono meritati gli applausi per come si siano riconciliati con la mentalità vincente e il senso del gruppo. In una squadra dove anni fa i pochi NHLrs erano considerati quasi troppo ingombranti per personalità e qualche cattiva abitudine, la nuova generazione dei “nordamericani”, guidata in testa dall’incredibile Josi e da Niederreiter, ha mostrato la via anche sul piano del sacrificio e della voglia di difendere i propri colori, in contrapposizione alla mentalità di alcuni giocatori del nostro campionato, troppo frettolosi e poco motivati tanto da rinunciare alla nazionale nel pieno delle proprie capacità, dall’alto di chissà quale titolo. Scelte.

I meriti di Patrick Fischer stanno proprio nell’essere riuscito a saldare il gruppo del campionato svizzero (già di per sé molto caratteriale, con i vari Scherwey, Hofmann, Fora, ecc) con le star della NHL, trovandosi per le mani una squadra capace finalmente di lottare fino in fondo e non per puro caso o sorteggi fortunati.

Sulla partita, una finale bellissima, ricca di tensione e ribaltamenti di fronte e di situazione, protagonisti i portieri (Genoni ancora straordinario) e alla fine i più freddi svedesi nei rigori. La Svizzera ha comunque giocato una gran partita contro i campioni in carica, mostrando ancora una volta la capacità di passare dal puro sacrificio al possesso del disco contro dei maestri di questa materia, contribuendo a rendere questa finale un vero thriller fino all’ultimo rigore.

E si riparta da qui, da una finale persa è vero, ma che malgrado tutto lascia un senso d’orgoglio ritrovato e una sensazione tutta nuova, che nemmeno nel 2013 si era provata. La sensazione che questa squadra possa aprire un ciclo mondiale di vertice. Può farlo, può continuare a lottare con le più grandi e certi traguardi non devono più apparire come casuali o pure chimere, a patto che la mentalità non cambi e che si sia consapevoli che a certi giocatori non si può rinunciare, per qualità tecnica ed umana.

E Patrick Fischer? Lo si è “distrutto” mediaticamente dopo i Giochi Olimpici invernali – e qui non si vuole comunque correggere il tiro – ma si deve riconoscere la capacità di aver aggiustato certi parametri e di aver ritrovato l’umiltà da trasmettere al suo gruppo, oltre che di aver dato alla squadra un gioco maturo, da grande, senza aver dimenticato da dove si ripartii nel lontano 1998, l’anno in cui si volle cambiare l’hockey svizzero.

E qualcosa forse è cambiato anche a distanza di 20 anni.


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