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Interviste

LaLeggia: “Parlare con Gianinazzi è stato decisivo, si giocherà il mio hockey ideale”

Il nuovo difensore straniero del Lugano si racconta: “Il mio stile di gioco si adatta perfettamente alle piste europee, ma la Svizzera è stata anche una scelta di vita per me e la mia famiglia”

(Par Olert)

VANCOUVER – Non è stato facile trovare il momento giusto per raggiungere Joey LaLeggia al telefono, considerate le nove ore di fuso tra il Ticino e la British Columbia, ma alla fine siamo riusciti a parlare con il nuovo difensore del Lugano mentre tornava a casa dopo un allenamento sul ghiaccio: “Ho le mattinate abbastanza impegnate, quindi parlare con voi in Svizzera diventa complicato, a meno che non amiate alzarvi presto il mattino o andare a dormire tardi la sera!”.

Il difensore canadese di origine italiana raggiungerà Lugano nei prossimi giorni per iniziare la preparazione con il resto della squadra.

Joey LaLeggia, come è nata la decisione di trasferirti a Lugano?
“Giocare in Svizzera era nei miei piani da un po’ di tempo, anche alla mia famiglia sarebbe piaciuto un giorno venire nel vostro paese e ringrazio l’Hockey Club Lugano per avermi dato questa opportunità. Ho deciso definitivamente di vestire la maglia bianconera dopo aver avuto una lunga conversazione con Luca Gianinazzi il mese scorso, è stata la cosa che più mi ha convinto che sarebbe stata la scelta giusta. Condivido le sue idee sul gioco che vuole proporre sul ghiaccio e mi ha veramente colpito in positivo come persona”.

Hai sentito qualche futuro compagno prima di apporre la firma sul contratto?
“Di sicuro Mirco Müller e la sua compagna sono stati di grande aiuto per me e mia moglie quando si è trattato di capire se Lugano fosse una buona scelta al momento in cui mi era stato proposto il contratto. Conosco Mirco da anni e appena ci siamo messi in contatto mi ha subito parlato benissimo di ogni cosa, ed essendo diventato anche lui genitore da poco ci siamo capiti al volo su quali esigenze potessi avere a livello famigliare”.

(David Wreland)

Dopo essere arrivato in Svezia hai dovuto apporre qualche modifica al tuo stile di gioco, rispetto a quanto facevi sulle piste nordamericane?
“Devo dire che il mio stile di gioco si è subito adattato a quello europeo, e credo anzi che possa venire esaltato ancora di più dagli spazi più ampi e dal gioco collettivo delle squadre. In Nord America spesso si è confrontati con uno stile molto individuale e non sempre c’è spazio o tempo per certe giocate o per prendere le decisioni giuste, ma sin dalla prima partita che ho giocato in Svezia ho capito che qui mi sarei potuto esprimere al meglio”.

A Bakersfield in AHL hai giocato anche da attaccante (con ottimi risultati), è una qualità che pensi possa ancora rivelarsi utile?
“Quello è stato sicuramente un capitolo interessante della mia carriera, ma l’ho fatto solo perché era una maniera per aiutare i compagni in un periodo particolare ed era l’alternativa per me per rimanere in una squadra che in quel momento era piena zeppa di difensori di alto livello, ma non credo che mi ricapiterà di farlo. Sono un difensore ed è il ruolo in cui mi sento “naturale”, anche da quando sono arrivato in Europa il mio ruolo è sempre stato chiaro e non credo che vorrò cambiarlo”.

Non sei un difensore particolarmente grande dal punto di vista fisico, ma in una vecchia intervista dicesti che questo è un “fattore motivazionale in più” per te…
“Il gioco è cambiato molto negli ultimi anni e si può compensare le dimensioni con il gioco di posizione, la rapidità negli spostamenti e ovviamente l’esperienza. Sono tutti fattori su cui faccio affidamento, ma d’altra parte non ho mai avuto paura ad affrontare avversari più grandi di me, sono molto a mio agio con le mie capacità fisiche e il carattere non mi ha mai abbandonato”.

(San Antonio Rampage)

Per te è stato quasi naturale sviluppare questo carattere e diventare uno sportivo, nella tua famiglia si pratica molto sport…
“Mio padre ha giocato ad hockey a livello amatoriale, non è mai stato un professionista, ma mi ha trasmesso l’amore per questo sport. Ha appena smesso di calcare le piste, ora si dedica semplicemente a fare il tifoso, altro passatempo che ama moltissimo, e a settembre verrà a trovarmi e a fare il tifo per il Lugano alla Cornèr Arena. Mia mamma invece è stata campionessa sulle piste di atletica al college e poi anche allenatrice di basket, e come papà mi ha trasmesso l’amore e la passione per lo sport. Da ragazzo ho praticato di tutto, anche il calcio e il football americano, e volevo sempre essere il migliore in ogni attività, finché ho capito che l’hockey sarebbe potuto diventare la mia vita”.

Cosa ti aspetti in generale da questa tua nuova esperienza?
“In generale credo di aver fatto la miglior scelta possibile in questo momento venendo in Svizzera, sia per la mia carriera che per la qualità di vita che potrò trovare con la mia famiglia. E ovviamente spero di potermi togliere grandi soddisfazioni con il Lugano, non vedo l’ora di poter scendere sul ghiaccio”.

E Lugano ti darà l’opportunità di essere vicino all’Italia…
“Anche questo è vero! Sia io che mia moglie siamo di famiglie italiane, io personalmente ho anche il passaporto e non vedo l’ora di poter visitare l’Italia e i miei luoghi d’origine. Mia nonna infatti è nata a Tombolo (provincia di Padova, ndr) e anche per questo Lugano si rivela una scelta ideale”.

E con la lingua italiana come sei messo?
“Devo essere sincero, i miei genitori lo parlano ancora un po’, mentre io dovrò decisamente darmi da fare nei prossimi mesi…”.

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