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Ambrì Piotta

È stato l’Ambrì Piotta migliore degli ultimi anni, ma non è bastato per fare un passo in più

Una regular season solida e costante è valsa ai biancoblù un ottimo ottavo posto. Il gruppo ha sopperito bene alle sue lacune ed ha mostrato carattere, ma nei play-in è anche arrivata una lezione di cui far tesoro in chiave futura

AMBRÌ – Sono ovviamente parecchi gli elementi da mettere sul tavolo per valutare un intero campionato, ma dalla fase di play-in che ha rappresentato l’epilogo della stagione l’Ambrì Piotta dovrà trarre insegnamenti importanti, da unire alla consapevolezza di aver disputato una regular season positiva in particolare per solidità e costanza. Si può discutere sul fatto che rappresenti o meno la migliore dell’attuale gestione sportiva – il quinto posto nel 2018/19 era stato eccezionale – ma indubbiamente quanto visto nel contesto di una NL dal livello sempre più alto è stato tutt’altro che scontato.

Un calo di risultati e intensità di gioco lo si è infatti visto solamente dopo una Coppa Spengler percepita un po’ da tutti come “quella di troppo”, ma tutto sommato dopo sei sconfitte in sette partite i biancoblù avevano saputo rialzarsi ed imbastire un finale di regular season importante. Nelle ultime 13 partite la squadra di Cereda aveva viaggiato a 2 punti a partita, ritmo inferiore solamente a quello degli ZSC Lions. Se si toglie insomma dall’equazione il problematico mese di gennaio – nove punti in dieci incontri – rimangono 42 match con una media di 1.66 punti, a testimoniare un certo equilibrio e solidità.

I momenti di flessione erano comunque da mettere in conto e quest’anno sono stati gestiti meglio rispetto al passato, e soprattutto sono arrivati dopo un autunno in cui è stato messo molto fieno in cascina. Iniziare bene era fondamentale per l’Ambrì, perché vivere una crisi già nei mesi di ottobre o novembre – scenario risultato fatale nel recente passato – è sicuramente più complicato rispetto ad un momento di difficoltà da affrontare dopo aver già vissuto diverse serate in cui il proprio gioco ha funzionato. La consapevolezza di se stessi è molto diversa.

Mentalmente l’Ambrì è stato più forte ed ha mostrato maggior carattere, anche se le sfide non sono mancate. Spacek ha intervallato l’ottimo inizio e finale di regular season con una fase opaca in cui alla squadra è mancato il suo faro, ed anche Dauphin è passato da leader carismatico a giocatore in difficoltà prima di riprendersi nel rush conclusivo. Sicuramente più introverso a livello caratteriale Lilja – il cui gioco è comunque sempre stato fisico nelle zone calde del ghiaccio – mentre Douay ha aggiunto pepe al mix ed avrebbe forse meritato un posto fisso in quarta linea.

Senza andare nel dettaglio dei singoli – ci sarà occasione in altra sede – si può comunque dire che le premesse di voler aggiungere carattere e “ruvidità” alla squadra sono state rispettate, e poi tradotte anche nel gioco. L’Ambrì ha infatti puntato con maggiore costanza e determinazione allo slot avversario, ed ha protetto meglio la propria “casa” davanti a Juvonen e Conz, ma ha pagato a caro prezzo un penalty killing insufficiente, a maggior ragione pensando alla tipologia di giocatori presenti in rosa che sembrano adatti all’esercizio.

(Le ultime due stagioni a confronto. Sopra quella appena conclusa, sotto l’annata 2022/23)

Concedere il secondo maggior numero di gol in boxplay (36) dopo il Kloten evidenzia indubbiamente un problema che andrà risolto, anche se gli ottimi numeri del powerplay (35 gol e 22.15% di efficacia, solo il Friborgo ha fatto meglio) hanno un po’ compensato il problema. La giusta attitudine emerge anche dai blocked shots, secondo posto dietro l’Ajoie, anche se il dato è in parte gonfiato dalla media di 60 tentativi di tiro concessi agli avversari (meglio solo di Ajoie, Langnau e Kloten). Anche essere una delle peggiori squadre ai faceoff non ha aiutato.

Complessivamente si può però dire che l’Ambrì è riuscito a nascondere abbastanza bene sotto il tappeto alcune sue evidenti lacune, a partire da una difesa svizzera molto modesta. Questo non significa che non si possano apprezzare e sottolineare i progressi dei vari Pezzullo, Wüthrich oppure Terraneo, ma in rapporto alle avversarie i biancoblù hanno in retrovia un chiaro tallone d’Achille. Una certa organizzazione difensiva e la strepitosa stagione di Virtanen e Heed – non a caso sono stati i due giocatori più impiegati dell’intera lega, anche se la loro media di 24 minuti non è fuori di testa – hanno attutito il colpo, ma era normale che a lungo andare all’Ambrì venisse presentato il conto.

Ad un certo punto i nodi sono venuti al pettine anche nel reparto offensivo, dove la presenza di pochi finalizzatori si è fatta sentire. Spacek aveva iniziato la stagione con una mentalità diversa ed anche il ruolo di tiratore in powerplay, ma poi con il ritorno di Heim e Formenton alcune dinamiche sono cambiate ed il ceco si è un po’ perso. Tanti altri elementi hanno lavorato molto ma vissuto fasi in cui hanno raccolto poco – ad esempio Lilja e Dauphin – e vista la stagione altalenante anche di Bürgler e Pestoni, segnare in alcuni momenti si è rivelato come temuto un problema. Nel citato mese di gennaio l’Ambrì ha faticato a superare i due gol a partita, e a parità numerica è stata la squadra peggiore (15 reti in 10 incontri).

Nemmeno i grattacapi sono mancati. Heim non è mai tornato quello della passata stagione nonostante una lenta progressione, impedendo – ma non solo per colpa sua – all’Ambrì di affidarsi alla canonica linea con Bürgler e Kneubuehler. Il lungo periodo a vuoto di Dauphin è inoltre stato complicato da gestire – il canadese è poi “rinato” all’ala, ma difficile immaginare una sua conferma visto che avrebbe dovuto rappresentare un pilastro al centro – mentre è complicato dall’esterno valutare l’impatto avuto nello spogliatoio dal ritorno e poi dalla partenza improvvisa di Formenton. Sul ghiaccio va comunque detto che il canadese nei tre mesi che è rimasto ha assicurato un alto livello.

Merita però sicuramente una riflessione il fatto che nel momento più importante – le quattro partite di play-in – gli elementi di maggior rilievo non hanno fatto la differenza, non riuscendo ad esprimere il loro potenziale sotto pressione nell’ambito di partite che sono state meglio interpretate dal bottom six.

Le due serie contro Lugano e Bienne hanno insomma evidenziato anche ciò che manca all’Ambrì Piotta per fare un passo avanti, e questo non è un elemento da sottovalutare nonostante i 13 punti in più rispetto all’anno scorso. Dei segnali di crescita si sono sicuramente visti, anche pensando che in trasferta i biancoblù sono stati la quinta forza del campionato, ma il post season ha mostrato un gruppo ancora fragile nel gestire i momenti – quel 4-0 sprecato nel derby resta imperdonabile – e non abbastanza spavaldo per credere davvero di appartenere alle squadre migliori. Che poi non bisogna esserlo per forza per avere questo tipo di convinzione, e probabilmente è stato questo limite a frenare l’Ambrì nell’ultima uscita, quando la prospettiva di conquistare i playoff vincendo una partita casalinga non è bastata per vedere una squadra pronta a tutto.

I meriti per la positiva regular season, e poi le responsabilità per l’epilogo dei play-in, vanno ovviamente a toccare anche lo staff tecnico. Coach Luca Cereda è stato molto severo con se stesso nel suo commento a caldo, forse consapevole che nella mancata gestione del primo derby e poi nelle difficoltà incontrate nel controbattere alle veloci transizioni del Bienne ed al loro filtro a centro pista, c’è stata una nuova lezione da imparare.

Impossibile capire dal dopo partita di mercoledì con quante energie Cereda guarderà alla prossima stagione, domanda che è lecito porsi anche nell’attuale situazione che non mostra alcun segnale di cambiamenti in arrivo. Un percorso che si avvia all’ottavo anno necessita però giocoforza di impulsi e novità sulla sua via per permettere una crescita collettiva, quest’anno rappresentati anche dall’innesto di Eric Landry e da nuove soluzioni in termini di gioco.

Una guida tecnica che sappia rinnovare i suoi stimoli d’altronde è una base fondamentale, soprattutto per un club che guarda avanti forte dell’evoluzione già esponenziale di giovani come De Luca e Landry, e che vede anche in Pezzullo e Terraneo due pedine fondamentali da sviluppare in elementi cardine della difesa. Da oltre oceano arriverà poi Miles Müller – di cui si parla un gran bene – ed il lavoro immediato di Paolo Duca verterà soprattutto sul trovare (almeno) due stranieri per completare l’ossatura della rosa.

Individuare il giusto successore di Spacek, così come un’ala che possa ereditare il ruolo un po’ improvvisato da Dauphin (ma, immaginiamo, con un accento maggiormente offensivo), sarà ovviamente molto importante. Nel caso del canadese rimane da chiarire quanto deciso in merito alla sua opzione contrattuale, dopo una stagione segnata da un brusco stop ma che in definitiva si può definire discreta. Forse una sua conferma avrebbe senso solamente nell’ottica di un pacchetto iniziale già formato da sette elementi, ma in quel caso l’idea di un terzo straniero di difesa aprirebbe probabilmente a soluzioni tattiche più interessanti. È però ancora presto per questi discorsi, si vedrà.

Per i biancoblù sarà poi importante ritrovare il miglior André Heim ed una maggiore regolarità dei vari Bürgler, Pestoni e Zwerger, sperando anche nella voglia di rivalsa del deludente Eggenberger.

Il lavoro in Leventina insomma non mancherà nei prossimi mesi, ma può partire dalle chiare indicazioni ricevute in questa stagione. I progressi sono stati evidenti e la squadra ha raggiunto una certa solidità che le ha permesso di navigare a velocità costante senza imbarcare troppa acqua nelle fasi più burrascose, ma ha anche ammainato le vele con un po’ di soggezione quando si trattava di dimostrare sul serio la convinzione nei propri mezzi.

Quello targato 2023/24 è stato il miglior Ambrì Piotta degli ultimi anni, che ha ottenuto un ottimo ottavo posto in una National League davvero di alto livello. Per confermarsi in quella posizione nei momenti che contano manca però ancora qualcosa, ed è questo l’aspetto su cui si dovrà lavorare, perché le 52 partite di regular season in fondo si disputano in virtù di quello che arriva in seguito.

Poi ovviamente uscire battuti da due serie contro Lugano e Bienne ci sta assolutamente, ma c’è ancora uno scoglio da superare per combattere allo stesso livello di chi si gioca i playoff. In fondo, per rendersene conto, non c’è insegnamento migliore che andarci così vicino.

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