HERNING – Fa un certo effetto trovarsi davanti Joey Daccord, quando si è nati alla fine degli anni ‘70 e si è cresciuti in Leventina. Già, perché suo papà Brian in fondo è il primo portiere titolare dell’Ambrì di cui si hanno veri ricordi. Joey, 28 anni, da ormai quattro stagioni gioca a Seattle in NHL e da due anni è il titolare della franchigia. Lunedì sera il figlio d’arte, estremo difensore degli USA, sfiderà la sua seconda patria, le sue origini, ovvero la Svizzera.
“Non so ancora se giocherò, o per meglio dire non posso svelarlo, ordini dall’alto. Se dovessi venir schierato sarebbe molto speciale per me. Ovviamente sono nato negli Stati Uniti, nella mia famiglia ci sono diverse nazionalità, ma la Svizzera è una parte molto speciale e sarebbe molto bello poter scendere sul ghiaccio e affrontare la nazionale elvetica”.
Mamma Daniela in effetti è nata e cresciuta a St. Antoni, nel canton Friborgo, e conobbe Brian quando quest’ultimo giocava nel Gottéron. Joey segue anche un pochettino la National League?
“Non la osservo assiduamente, ma ci do un occhio, so che è un’ottima lega”.
Tuo papà Brian arriverà al Mondiale a seguirti?
“No, è a casa sua, a Boston, ma guarda tutte le partite”.
Immagino che farà il tifo per te e non per la Svizzera…
“(Daccord ride, ndr). Eh sì, è proprio così”.
Mi hanno detto che parli anche un pochettino di svizzero tedesco…
“Esatto, l’ho imparato con mia mamma”.
Vieni spesso in Svizzera?
“Ero venuto l’anno scorso e pure tre anni fa. Al termine di questo Mondiale verrò nuovamente. Cerchiamo sempre di andarci almeno una volta all’anno, ma non è evidente. Amiamo veramente la Svizzera e sono molto legato ai parenti friborghesi”.
Quindi magari tra una decina di anni ti vedremo terminare la carriera da noi?
“È un mio sogno. Spero di giocare il più a lungo possibile in NHL e, se una volta terminata l’avventura oltreoceano il mio corpo me lo permettesse, mi piacerebbe veramente terminare la carriera in Svizzera”.
Non hai mai visto giocare tuo papà in Svizzera, ma specialmente ad Ambrì era una sorta di leggenda. Ti ha raccontato dei suoi bei vecchi tempi?
“(Daccord ride nuovamente). Sì, ne abbiamo parlato spesso insieme dei suoi tempi in Svizzera e continuiamo a farlo. Riceve ancora dei messaggi dai suoi vecchi tifosi. Ama Ambrì, ama Friborgo, gli piaceva tantissimo giocare a quei livelli alti”.
Papà Brian è in seguito diventato allenatore dei portieri, sono preziosi i suoi consigli?
“Nel mio caso è un beneficio avere un padre che fa questo mestiere. D’altronde ho deciso di diventare un portiere proprio perché lui lo era”.
Torniamo per un attimo al Mondiale. Formi un duo fortissimo con Swayman, titolare a Boston. Che relazione avete?
“È la prima volta che giochiamo assieme. È una fantastica persona, è bello avere gente come lui nello spogliatoio ed è un portiere incredibile. Ci divertiamo insieme, parliamo tanto, siamo diventati molto amici. Ci eravamo già incontrati, ci eravamo allenati insieme un po’ di volte a Boston nelle scorse estati, ma non ci eravamo mai frequentati come adesso”.
Che effetto ti fa indossare la maglia statunitense a una rassegna iridata?
“È un feeling incredibile, sono nato a Boston, è speciale vestire questa maglia e sentire l’inno nazionale al termine delle partite in caso di vittoria. Ne vado fiero”.
Sarebbe però anche potuta essere la maglia rossocrociata…
“No, perché non ho mai giocato in Svizzera. Ho il passaporto elvetico, ma per risultare eleggibile in Nazionale avrei dovuto giocare almeno due anni in Svizzera”.
Si è parlato molto di questo fatto inerente alla scelta della tua nazionale. Papà Brian è canadese, avresti anche potuto giocare per il Canada. Erano più discussioni mediatiche, in fondo per te la scelta era semplice?
“Proprio così. In fin dei conti per me è stato semplice decidere. Sono americano, sono nato e ho vissuto in America, ho giocato praticamente quasi sempre negli Stati Uniti”.
In sostanza è anche la via migliore per non dover decidere tra mamma e papà…
“È anche un ottimo punto di vista (Daccord ride, ndr)”.
