HERNING – Stéphane Charlin è reduce da una partita a calcetto contro Genoni quando ci accoglie nell’hotel dove alloggia la Svizzera. Ci sorride e ci saluta in italiano. “Com’è andata la sfida? Ha vinto Leo con il punteggio di 2-1, perlomeno ho segnato il gol dell’onore”, racconta l’estremo difensore. Meglio allora dimenticare la sconfitta e parlare di hockey.
Stéphane, stai vivendo il tuo primo Mondiale qui in Danimarca…
“È tutto nuovo per me, ci sono tante cose diverse rispetto al solito, sono semplicemente felice di essere qui e poter apprendere parecchio”.
Sei reduce da una stagione pazzesca. Già nella scorsa avevi fatto bene, ma adesso hai toccato dei livelli fuori di testa. Ti aspettavi una simile progressione?
“Fino a questo punto forse no, ma in fondo è merito della squadra. Già nello scorso campionato con il Langnau eravamo andati vicini ai play-in. Quest’anno abbiamo fatto un ulteriore passo avanti e quando il tuo team gira bene è più facile avere successo anche per te in qualità di singolo. Sono due aspetti legati tra loro”.
Nel gennaio 2024 facemmo un’intervista dove mi dicesti che avresti dovuto fare parate più semplici, compiendo meno movimenti ed essere meno spettacolare. Come siamo messi 16 mesi dopo?
“Sono migliorato rispetto ad allora. Penso che sia addirittura l’ambito dove sono progredito maggiormente in questo lasso di tempo e credo sia uno dei punti cardine che mi hanno permesso di compiere un salto di qualità. Ma devo ancora lavorare un pochettino anche sotto questo punto di vista”.
Nel campionato appena concluso c’è però anche stato un momento difficilissimo, ovvero l’infortunio patito a Lugano ad inizio febbraio. Cosa ti è passato nella testa in quel momento?
“Avevo veramente paura che fosse la fine della mia avventura con il Langnau. Stavo facendo appunto una bella stagione, ma non volevo finirla in questo modo, in maniera così brusca. Mi sembrava qualcosa di incompiuto, era questo il mio sentimento. Desideravo finire bene il mio capitolo bernese, stando sul ghiaccio e non in tribuna”.
Mentalmente è stato un periodo duro, anche perché pure la tua convocazione in Nazionale era a rischio. Com’è stato il tuo approccio a livello mentale, hai un coach in questo ambito?
“Sì, lui mi ha aiutato tanto. Mentalmente è veramente dura quando sei infortunato, fa male vedere gli altri giocare. Già da tempo lavoro con un mental coach, aiuta a restare positivi, per esempio appunto in un momento di riabilitazione, ti permette anche con più facilità di fissarti nuovi obiettivi”.
Sei uno che riesce a scindere facilmente l’hockey dalla vita privata e dal tempo libero?
“Riesco a fare abbastanza bene un taglio tra le due cose. Ovviamente però il giorno prima della partita mi concentro, penso a prepararmi bene, ad avere abbastanza ore di sonno. A Langnau avevo un rituale con il mio allenatore dei portieri. Facevamo un’analisi video subito dopo il match al fine di chiudere il capitolo, non pensarci più e poi guardare semplicemente in avanti”.
L’estate quest’anno sarà un po’ più corta per te rispetto al solito, ma io mi chiedo, cosa fa un portiere di hockey per vivere l’adrenalina delle partite anche nei mesi caldi senza le contese? Non c’è il rischio di annoiarsi, non ti manca questa emozione?
“In estate cerco di stare più tranquillo e avere meno adrenalina. Non mi metto a fare del paracadutismo per esempio (Charlin ride, ndr). Cerco di vedere maggiormente la mia famiglia e i miei amici. È una sorta di pausa, mi permette di avere ancora più voglia di hockey al momento della ripartenza”.
Durante le partite, quando incassi un gol, sei uno che guarda subito il maxischermo per cercare di capire se ha sbagliato?
“Dipende un po’ dal risultato e dalla situazione. Nel mio abitudinario mi dico subito cosa avrei potuto fare meglio, ma poi chiudo subito il capitolo e torno a concentrarmi sul resto del match”.
Prima delle partite studi alcuni attaccanti particolarmente pericolosi come ad esempio Sven Andrighetto?
“No, per nulla, mi concentro su me stesso, sul mio gioco. Ci sono sempre fattori esterni, come gli avversari, l’ambiente e tanto altro, sono pure importanti, ma io resto convinto che solo lavorando su te stesso puoi influenzare la prestazione e di conseguenza il risultato”.
Dopo questo Mondiale tornerai nella tua Ginevra, come mai?
“Credo che sia la scelta migliore per continuare il mio sviluppo. Dopo tre anni a Langnau volevo inoltre giocare in una squadra con maggiori ambizioni, che vuole arrivare un po’ più in alto in classifica e vincere dei titoli”.
Si parla però anche di un possibile futuro non in riva al Lemano, bensì oltreoceano. Pensi davvero alla NHL? È un sogno, o un obiettivo?
“È un obiettivo reale. Credo che ogni giocatore di hockey voglia sfidare i migliori e questi giocano in NHL. Tutti vogliono provare ad arrivare sino a lì. Tutte le scelte della mia carriera sono sempre state ponderate e anche un’eventuale partenza verso la NHL lo sarà. Se riterrò che sia la cosa migliore per me ci proverò, altrimenti no”.
Parlavamo prima con il collega Klaus Zaugg in merito ai portieri romandi in Nazionale. David Aebischer non si può considerare un romando vero, stando ai friborghesi, quindi l’ultimo estremo difensore ad avere avuto un grande impatto è stato Olivier Anken. Stiamo parlando degli anni ’70 e ’80, quasi preistoria dell’hockey. Hai una spiegazione? C’è forse maggiore pressione per un romando?
“Non credo che i romandi abbiano una pressione supplementare rispetto, per esempio, ai colleghi svizzero tedeschi. Non penso proprio ci sia un influsso. Non vedo nemmeno un motivo per cui da ormai tantissimo tempo un romando non riesca a disputare tanti Mondiali consecutivamente o regolarmente. Certo che con l’era Genoni/Berra ultimamente non era certo semplice emergere e farsi spazio”.
Tu da giovane avevi un modello?
“C’erano evidentemente portieri che mi piacevano, come ad esempio Carey Price o Patrick Roy. Adoro anche l’esuberanza di Marc-André Fleury, sempre con il sorriso, ma non ho mai avuto uno a cui mi sono ispirato o che ho voluto imitare”.
Prima di lasciarti andare devo toccare un tasto dolente, quel famigerato 4-10 incassato alle Vernets contro l’Ambrì nell’ottobre del 2021. In Ticino, e non solo, ti consideravamo un formaggio dell’Emmental dopo quel match…
“(Charlin scoppia a ridere, ndr). È stata la serata in cui ho incassato più gol in tutta la mia carriera. Durante il match incassavo rete dopo rete senza però avere il sentimento che sarebbe diventato il peggior match della mia vita. Semplicemente dopo ogni gol preso mi dicevo che sarebbe stato l’ultimo, purtroppo non fu così. I gol continuavano a cadere, era abbastanza dura sul momento. Adesso riguardando all’indietro ci rido sopra e ci scherzo sui 10 gol presi. Queste sono proprio le partite che ti fanno imparare e crescere. Non solo questo singolo incontro, ma più in generale quella intera stagione difficile vissuta in quell’annata a Ginevra. Senza tutto questo e senza il trasferimento a Langnau non penso che sarei stato qui a Herning a un Mondiale”.
