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Interviste

Moy: “Ho lavorato tanto per arrivare a un Mondiale, affrontare gli USA sarà speciale”

L’attaccante del Rapperswil ha avuto un buon avvio di torneo: “Nella seconda partita abbiamo avuto una grande risposta. Mi piace tantissimo l’ambiente, poter rappresentare così tante persone è un onore”

HERNING – Chi la dura la vince. Tyler Moy era sempre arrivato vicino alla rassegna iridata negli ultimi anni. Finalmente, a 29 anni, l’attaccante in forza al Rapperswil assapora l’onore e la gioia di vestire il rossocrociato a un Mondiale. L’inizio di questa avventura danese per il californiano è stato più che incoraggiante, con la doppietta ottenuta contro la Danimarca.

“Credo che la seconda partita sia stata una grande risposta dell’intera squadra dopo quella di apertura persa contro la Cechia. Anche in svantaggio, siamo riusciti a reagire, abbiamo fatto una buona pressione e nel finale siamo stati bravi ad esempio a bloccare alcuni tiri danesi. Insomma, è stato uno sforzo del collettivo”.

Quanto è bello giocare al fianco di Hischier e Meier?
“Ovviamente sono dei giocatori fantastici. Mi hanno fornito due grandi passaggi e in pratica mi sono ritrovato a porta vuota. Il mio lavoro di rifinitura è dunque stato semplice. Nico e Timo hanno fatto un grande percorso in NHL, hanno un’immensa visione di gioco e sanno proteggere alla grande il disco. È veramente divertente poter essere in linea con loro, un bellissimo sentimento”.

Anche l’atmosfera non era da meno contro i padroni di casa, con oltre 10’000 spettatori presenti alla pista…
“È davvero folle. Più in generale mi piace tantissimo l’ambiente e tutto quello che ruota attorno a una manifestazione del genere. Dormire all’hotel e sentire i fans all’esterno che cantano, vedere così tanta gente in città, in particolar modo i tifosi elvetici. Poter rappresentare tutte queste persone sul ghiaccio è semplicemente un grande onore”.

La prossima partita sarà contro gli Stati Uniti, le tue radici. Quanto sarà speciale per te?
“È specialissimo, è un’esperienza unica poter giocare contro la nazione in cui sei nato e cresciuto. Sono eccitato. Certo, alla fine resta pur sempre solamente un match di hockey, ma sarà davvero particolare per me”.

A casa faranno il tifo per chi?
“(Moy ride, ndr). Sicuramente per la Svizzera”.

Sarebbe bello se tu, svizzero-americano, segnassi a un altro svizzero-americano, ovvero Joey Daccord…
“Eh sì, lo sarebbe veramente. Se ho già giocato con o contro di lui? Assieme mai, onestamente non so nemmeno dirti se ci siamo già sfidati, non che io mi ricordi”.

Voi avete in fondo lo stesso background, entrambi siete svizzeri da parte della mamma (Susanna, la madre di Moy, conobbe il papà di Tyler quando si trovava negli USA all’inizio degli anni ’90 in un programma di scambio di studenti)…
“È proprio così, anche se onestamente non conosco benissimo la sua storia. Mia mamma proviene da Nebikon, un piccolo villaggio vicino a Lucerna”.

Tu però non parli lo svizzero tedesco…
“Non molto bene. Mio papà era di Detroit. Mia madre non pensava che avrei avuto bisogno di parlarlo quando ci siamo trasferiti a San Diego (Moy ride, ndr) e inoltre mio padre non ci avrebbe capito. Adesso sto studiando il buon tedesco tramite un’app, ma ovviamente è un po’ differente dal dialetto che non è nemmeno una lingua ufficiale, specialmente per quanto concerne la parte scritta. Quindi non è nemmeno evidente trovare una scuola per impararla. Il dialetto cerco di apprenderlo un po’ con i compagni di squadra”.

Per te non è stato semplice arrivare a un Mondiale, tante volte lo avevi sfiorato…
“Ho lavorato duro e per tanto tempo al fine di arrivarci. Era un mio obiettivo. Ora, come già detto, è un grande onore, sono reduce da una bella stagione. È un’immensa opportunità essere qui e sono grato a tutti di poter far parte della Nazionale svizzera”.

Hai svolto i tuoi studi universitari a Harvard, giocando nel contempo nella squadra del college dal 2013 al 2016. Era dura la vita?
“Non era semplice trovare il giusto bilancio tra lo studio e l’hockey ad alto livello. C’era parecchio da fare, tra esami, allenamenti, presentazioni, progetti ecc. È stata un’esperienza preziosa, ha forgiato la mia persona, ho imparato tanto sotto tutti gli aspetti”.

Parliamo delle Olimpiadi. Cosa significano per te?
“Le guardavamo sempre tutti assieme in famiglia. Mi ricordo ad esempio l’edizione di Salt Lake City nel 2002, avevo 7 anni, non andammo sul luogo, ma averli vicino a casa fu speciale. Crescendo e sapendo delle mie radici elvetiche, in seguito ho sempre fatto il tifo e seguito sia gli USA che la Svizzera. Per me i Giochi Olimpici saranno quindi sempre sinonimo di serate in famiglia”.

Per concludere, da bambino conoscevi e seguivi già Ambühl con la maglia della Nazionale?
“Probabilmente lo avevo visto senza sapere chi fosse veramente a quei tempi. D’altronde ha giocato così tante Olimpiadi e Mondiali. Ovviamente è una leggenda”.

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