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Ambrì Piotta

Duca: “Una stagione di intemperie, ma siamo cresciuti affrontandole senza cercare scuse”

Il DS è soddisfatto: “Siamo stati alla perenne ricerca di energie e quasi mai al top della forma, ma con una squadra che ha sempre lottato. Abbiamo fatto un ulteriore passo in avanti per determinazione, impegno e maturità”

AMBRÌ – L’Ambrì Piotta si è lasciato alle spalle una stagione particolarmente intensa, contraddistinta da tante avversità ma anche da un processo di crescita che ha caratterizzato il percorso della squadra. Con il DS Paolo Duca abbiamo guardato indietro a quanto fatto dai biancoblù negli scorsi mesi, così da trarre un bilancio dell’annata 2019/20.

Iniziamo con una valutazione generale. Che voto dà Paolo Duca da 1 a 6 alla stagione dell’Ambrì?
“Cinque e mezzo. Sarò forse troppo positivo, ma la mia percezione è che la stagione sia stata molto complicata sotto diversi punti di vista e che la squadra abbia reagito molto bene alle intemperie. La prima insidia era rappresentata dalle aspettative, cosa non semplice da gestire, specie dopo un campionato come quello passato. Poi gli impegni extra, ai quali non siamo abituati. Sapevamo che sarebbe stata dura da gestire ma durante l’estate ci siamo preparati davvero alla grande. Anche il debutto sul ghiaccio è stato positivo. Tenevamo molto alla CHL e penso che il primo tempo del match di Monaco sia stato un vero piacere per gli occhi. Se lo avessimo concluso sul 3-0 nessuno avrebbe potuto dire nulla. Peccato per qualche palo di troppo… Malgrado questo abbiamo sorpreso, facendo onore al nostro campionato, tanto da ricevere i complimenti del DS dei Red Bull che durante il primo tempo si è voltato verso di me con gli occhi fuori dalle orbite, impressionato dal ritmo partita. L’abbiamo persa, va bene, ma siamo riusciti a ripetere la stessa prestazione nelle sfide successive e questo ci ha fatto capire che stavamo lavorando bene. Abbiamo giocato quattro ottime partite ed eravamo consci che avremmo subìto un calo, soprattutto emotivo. A Dübendorf, in Coppa, abbiamo faticato moltissimo ma non perché l’abbiamo presa sotto gamba, tutt’altro. Tutti sanno quanto sia importante per l’Ambrì la Coppa Svizzera… Già dall’inizio del campionato, dunque, abbiamo dovuto gestire il carico di lavoro e quello emotivo e questo è stato poi il leitmotiv di tutta la stagione: perennemente alla ricerca di energie e quasi mai al top della forma. Ma con una squadra che ha sempre lottato. Eccezion fatta per un paio di partite, ho sempre visto un gruppo che ha lottato, che ha lavorato nel modo giusto cercando sempre soluzioni e mai scuse. Il pubblico lo ha percepito e ci ha ripagato con un sostegno enorme, vedi Coppa Spengler. A Davos, grazie ad un grande hockey, siamo arrivati ad un passo dalla finale, e ricordo che si trattava della nostra prima partecipazione al torneo. In Coppa siamo usciti in maniera ingiusta a causa di una decisione scellerata, quel fallo di Künzle su Sabolic punito solamente a posteriori con qualche giornata di squalifica. Intanto, però, con la sua tripletta ci ha eliminati dalla Coppa e ha messo KO un giocatore che finalmente stava iniziando ad ingranare. Col senno di poi e visti tutti gli infortuni subiti forse meglio così… Dò cinque e mezzo perché trovo che la squadra abbia fatto un ulteriore passo in avanti in termini di determinazione, impegno e maturità”.

Che dire della quantità impressionante di infortuni occorsi al gruppo? Personalmente come l’hai vissuta?
“In maniera complicata. Su una possibilità di 1100 apparizioni, data dal numero di partite moltiplicato per il numero di giocatori nel roster, risultano più di 300 partite saltate per infortunio, che corrispondono ad una media di sei giocatori assenti a partita, con dei picchi di 12 assenze contemporanee. La situazione ha sovraccaricato altri giocatori, che hanno accusato il colpo, e non abbiamo mai potuto trovare il ritmo che avremmo voluto negli allenamenti, che rappresentano il nostro fondamento più importante. Alcuni infortuni sono stati più complicati di altri nella gestione, perché occorsi in posizioni chiave. Penso in particolar modo a quelli di Conz e Kostner. Il problema era legato all’incertezza del rientro ed in alcuni casi non abbiamo potuto contare su una data certa per il rientro, ciò che ci ha messi in difficoltà limitando i nostri movimenti sul mercato.”

Cosa ti ha deluso?
“Mi hanno deluso alcune prestazioni, in particolare quella di Sabolic. Non è andata affatto come ci eravamo immaginati… È vero, ha avuto un po’ di sfortuna all’inizio con tutti quei pali, poi ha cominciato a sentire pressione e quando ha iniziato ad ingranare si è ferito. Ciò non toglie che ci aspettavamo molto di più. Sono rimasto deluso anche della decisione precoce di Hofer di firmare a Bienne ad inizio settembre. Pur rispettando la scelta, che ci sta tutta, ero speranzoso che si potesse continuare assieme. Discutevamo dal mese di febbraio dell’anno prima di un rinnovo… Io sono un nostalgico, credo nella riconoscenza e l’opportunità di giocare in Svizzera gliel’abbiamo data noi e nessun altro. Ma questo è il mondo dello sport professionistico. Altre delusioni sono invece legate agli infortuni nel corso dell’estate, specie quelli di Conz e Novotny. Quelli sono stati duri da digerire”.

Delusioni che però hanno portato a soluzioni che si sono dimostrate positive, in particolar modo l’arrivo di Flynn…
“Non solo nello sport ma anche nelle difficoltà della vita si nascondono delle opportunità. Brian l’ha sfruttata alla grande. È vero, all’inizio ha contribuito poco a livello offensivo ma in termini di gioco eravamo soddisfatti di lui. Molto disciplinato, non particolarmente spettacolare ma concreto e solidissimo dietro. Ci è piaciuta anche la sua duttilità, che lo ha portato a giocare in qualsiasi posizione senza mai ribattere. È stato un giocatore che si è messo completamente a disposizione della squadra e questo lo abbiamo apprezzato moltissimo. È stata una bella sorpresa, com’era stato Novotny per Lerg la passata stagione”.

A proposito di riconoscenza, un ragazzo che te ne ha mostrata è stato D’Agostini. Ha saputo sfruttare alla grande la chance che gli hai dato due stagioni fa…
“È vero, ha dimostrato molto attaccamento alla nostra realtà. È perfettamente integrato, la famiglia vive qui e il figlio frequenta le scuole in Ticino. L’estate scorsa con voglia ha deciso di rimanere ad allenarsi con il gruppo e, per come la vedo io, questo ha ripagato giocatore e squadra.”

Sollevato di non aver dovuto affrontare i playout?
“Sportivamente parlando non posso che esserlo. In primis sono sollevato per la prima squadra perché con questi playout ho parecchia esperienza (ride, ndr.) e sono cosciente che non esiste una salvezza facile. Sono certo che fossimo pronti, ma l’incertezza è un’incognita che incombe sempre. Poniamo il caso che a due giorni dall’inizio della finale playout, come due anni fa, vieni a sapere che due giocatori hanno fatto un frontale e che dunque devi rinunciare ad altre due forze sul ghiaccio… Non puoi mai essere veramente tranquillo, c’è sempre una certa tensione legata alle incognite. Sono sollevato anche per i Ticino Rockets, perché il rischio di retrocessione era concreto e questo avrebbe compromesso moltissimo del lavoro che stiamo facendo a Biasca. Per non parlare poi del rischio per gli Juniori Elit. Purtroppo abbiamo anche perso la possibilità di recuperare la categoria degli U17 Elit, eravamo ad un passo dalla promozione ma la situazione è quella che è. Ad ogni modo trovo giusto che al termine di questa stagione non ci siano né vincitori né vinti. Quella in cui ci troviamo è una situazione nella quale lo sport deve passare in secondo piano, senza se e senza ma. L’obiettivo comune di tutti deve essere la salute pubblica, nient’altro”.

Quanto credi fosse concreta la possibilità di disputare la finale playout e, eventualmente, lo spareggio?
“Del 50%. Avevamo gli stessi punti del Langnau e il Berna aveva un vantaggio di 5 lunghezze. Che il Berna si facesse recuperare da Ambrì e Tigers era altamente improbabile. Da decidere era chi avrebbe dovuto affrontare il Rapperswil in finale, ecco perché il 50%. Poniamo il caso che fosse toccata a noi… I Lakers sono una squadra ostica, organizzata e che sta lavorando molto bene. Sull’arco di sette partite poteva succedere di tutto, come detto una salvezza non è mai scontata. In questo senso c’è del sollievo. Da parte nostra eravamo sereni nella misura in cui alcuni giocatori erano vicini al rientro e nelle ultime due partite avevamo giocato molto bene. Anche noi avremmo avuto da dire la nostra, questo è indubbio, ma è innegabile che la salvezza anticipata rappresenta un bel sollievo per tutti”.

La passata stagione avevi individuato nella coesione del gruppo uno dei fattori determinanti nel successo della squadra. Con la partenza di diversi uomini chiave il gruppo ha dovuto riconsolidarsi. In questo senso com’è andata?
“Trovo sia andata bene. Quest’anno l’elemento che ha fatto la differenza è stato lo spirito combattivo ritrovato. Non parlo solo di giocatori e staff, ma anche del pubblico, che non ci ha mai abbandonato. Uno degli obiettivi che ci eravamo prefissati con Cereda quando abbiamo ripreso la direzione sportiva dell’Ambrì era quello di ritrovare quella combattività agonistica che ha sempre fatto parte del nostro DNA e che purtroppo avevamo un po’ perso. Quest’anno ho avuto la netta sensazione che questo spirito è in parte ritornato e lo si è potuto percepire sia sul ghiaccio che fuori durante l’arco di tutta la stagione. Allo stesso modo siamo ben coscienti che non si tratta di un punto d’arrivo, bensì un punto di partenza sul quale continuare a costruire. Grazie a questo spirito ce la siamo giocata contro tutti gli avversari anche se abbiamo raccolto troppo poco in termini di risultati. Credo tuttavia che un direttore sportivo debba saper scindere tra prestazione e risultati. Ogni tanto vinci giocando male, ogni tanto perdi giocando bene. Ma deve esserci sempre lo spirito e l’attitudine giusta, una struttura, una metodologia di lavoro che governa tutto, e noi ce li abbiamo”.

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