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Interviste

Carrick: “Cercavo una nuova sfida, l’ho trovata nella visione che Steinmann ha del Lugano”

Lo statunitense si è presentato: “Sono un elemento dinamico in zona offensiva, ma più semplicemente gioco per vincere. Voglio dare al Lugano gli elementi per cui mi hanno ingaggiato, ma sono i piccoli extra a fare la differenza”

LUGANO – Il primo contatto con la sua nuova realtà è stato particolare per Connor Carrick, che ha trovato una Lugano piovosa nei suoi primi giorni in Ticino. Il difensore statunitense è però stato rassicurato, quando tornerà potrà godere di tante giornate di sole. Il nuovo straniero dei bianconeri era infatti alla Cornèr Arena per una breve visita, prima di trasferirsi definitivamente nel corso dell’estate.

“Ho giocato per parecchi anni in Nordamerica e sono fiero di diverse stagioni che ho avuto, soprattutto considerando che sono riuscito a realizzare il sogno che avevo da bambino, quello di giocare in NHL. Arrivi però a un certo punto in cui senti di voler vivere una nuova avventura, ed anche in famiglia – con mia moglie e mio figlio – eravamo pronti a un cambiamento, cosa che tende a diventare più difficile con il passare del tempo”, ha spiegato Carrick, interrogato sul perché fosse per lui un buon momento per accettare l’offerta del Lugano.

“In passato non ero interessato a giocare in Europa, ma stavolta mi sono approcciato all’idea con una mente aperta, e sono venuto a conoscenza del Lugano. Sono rimasto ben impressionato dalle discussioni avute con Steinmann: vuole costruire una squadra unita, e io do molta importanza alle relazioni con i compagni. Mi viene chiesto di performare e portare energia, e questo si sposa bene con la nuova sfida che stavo cercando. Ovviamente Lugano è diversa da dove giocavo lo scorso anno – Bakersfield era bella sotto certi aspetti, ma volevamo qualcosa di nuovo”.

Spesso si compara la National League all’AHL, dicendo che sono leghe dal livello simile. Tu cosa sai del campionato svizzero?
“Non molto, a dire il vero. Ho passato un po’ di tempo su YouTube cercando di intuire come giocano le varie squadre e quale cultura le contraddistingue. Ho anche dato un’occhiata alle foto delle diverse piste, così da familiarizzare il più possibile con la mia nuova realtà. Ovviamente, il periodo attuale è più votato agli aspetti organizzativi del trasferimento in Europa: è un grande cambiamento. All’inizio ti scombussola un po’, e poi bisogna considerare che qui ci sarà anche una grande sfida interna, visto che a Lugano si ripartirà con nuovi allenatori e un nuovo GM. Ci saranno insomma dei cambiamenti, e come gruppo dovremo capire le nostre forze e debolezze per giocare nella maniera giusta”.

Che tipo di giocatore sei? Dai numeri delle ultime stagioni ti presenti come un difensore offensivo…
“Sì, cerco di essere un elemento dinamico in zona offensiva, ma se mi chiedi del mio stile, ti dico che semplicemente gioco per vincere. Ovviamente tutti hanno il loro ruolo. Prendi ad esempio Mirco Müller, che ho conosciuto nel mio periodo ai New Jersey Devils: un difensore grosso, con un bastone molto lungo che diventa un problema per tanti attaccanti. Ma per essere una buona squadra ognuno deve conoscere il proprio ruolo e sapersi far trovare pronto quando arriva il momento. Per me questo significa essere dinamico, ma senza sacrificare la volontà di essere un giocatore difficile da affrontare. Curo i dettagli, questo è il mio approccio. Tutti però devono essere pronti, magari con un duro check o un tiro bloccato che può cambiare la partita. Sicuramente voglio dare al Lugano quegli elementi per cui mi hanno ingaggiato e per cui vengo pagato, ma sono i piccoli extra a fare la differenza. Metterci fisico ed energia conta. Avrò però bisogno anche di un po’ di tempo per conoscere gli avversari e il vostro hockey, e per questo farò molto affidamento sullo staff”.

Essere un difensore straniero a Lugano non è un compito semplice, e diversi buoni giocatori hanno fallito nel recente passato. Percepisci una pressione extra?
“Direi di no. Prendo seriamente il mio gioco e mi aspetto da me stesso delle buone prestazioni, quindi non vengo molto influenzato dall’esterno. Ad esempio, nell’ultima stagione in AHL, al termine di ogni partita mi chiedevo se fossi stato il miglior giocatore in pista, perché alla mia età non è semplice mantenere il proprio posto. E se la risposta è troppo spesso negativa, le cose si fanno difficili. Non penso che qui sia molto diverso. Ho sentito che i tifosi amano la squadra e lo fanno con grande passione – ma in carriera ho giocato anche per i Toronto Maple Leafs (ride, ndr). Ora che sono eliminati dai playoff si è visto come la situazione si sia fatta calda, anche con i media. Mi sento dunque preparato”.

Pensi che dovrai adattare un po’ il tuo gioco a quello del campionato svizzero?
“Sì, assolutamente. Se guardo alle mie ultime stagioni in AHL, i numeri possono sembrare simili, ma la maniera in cui li ho ottenuti era molto diversa da squadra a squadra. Ogni allenatore ha alcuni aspetti su cui punta di più, e molto dipende anche dai compagni che hai sul ghiaccio. Questo può richiedere 10-20 partite prima di trovare la giusta alchimia, e infatti spesso le seconde metà di stagione per me sono state le migliori. In AHL avevamo tanti cambiamenti in rosa, con anche una quarantina di giocatori che passavano dallo spogliatoio, quindi dovevi adattarti costantemente. Ho molta fiducia nel mio metodo di preparazione, ma ho anche l’umiltà di sapere che là fuori ci sono tanti bravi giocatori, quindi ci sarà una curva d’apprendimento. Ho parlato con chi è già stato qua, come Taylor Chorney, Matt Tennyson oppure Mark Arcobello”.

Cosa ti hanno raccontato questi giocatori del club?
“Sono stato piuttosto cauto nell’avere quelle conversazioni, perché formalmente ero ancora sotto contratto con gli Edmonton Oilers, quindi non è stato semplice gestire questo periodo di transizione, anche perché c’era un interesse dal Nordamerica nel propormi un nuovo contratto. Tutti quelli con cui ho parlato hanno descritto positivamente il loro periodo a Lugano: hanno trovato delle sfide e sono cresciuti insieme alle loro famiglie. Il consiglio che ho ricevuto è stato quello di essere ‘open minded’ e imparare il più possibile dalla cultura fuori dalla pista”.

Tecnicamente sei infatti ancora sotto contratto con gli Oilers, ora impegnati nella finale di Stanley Cup…
“Abbiamo discusso la possibilità che restassi a disposizione, ma da parte mia preferivo tornare a casa e concentrarmi sul trasferimento a Lugano. Non è semplice avere il focus su due cose contemporaneamente. Tutta l’organizzazione è stata eccezionale con me – ho apprezzato molto aver potuto giocare in quel contesto, dove ti ritrovi anche a contatto con McDavid e Draisaitl, due tra i migliori al mondo. Non li ho incrociati spesso, ma si impara molto dalla loro intensità e dalla voglia pazzesca che hanno di vincere. È incredibile vederlo dal vivo: sono così preparati e lucidi su cosa devono fare per avere successo… È quello che cerco di fare io, ovviamente al livello che mi compete”.

Curi molto la preparazione fisica e mentale, con anche un podcast a riguardo e una linea di integratori…
“In generale, credo sia semplicemente positivo essere sani – specialmente come atleti. In passato ho conosciuto allenatori e giocatori che sono arrivati fino in NHL nonostante sfide importanti a livello di salute, e ho capito che buone performance e una vita salutare non sempre vanno a braccetto. Personalmente, però, sono sempre stato interessato a tutto ciò che mi avrebbe permesso di crescere e avere un vantaggio. La mia attitudine è nata come hobby, anche grazie alla mia curiosità. Ho provato diversi metodi per essere un giocatore migliore. Mi piace sperimentare, chiedere consigli agli altri giocatori e ascoltare le loro esperienze”.

Il tuo podcast è agli archivi, oppure prevedi di riprenderlo?
“Sì, è passato un po’ di tempo dall’ultimo episodio! Sistemare tutto l’equipaggiamento necessario per registrare era impegnativo, anche se a volte ho pensato di riprenderlo. Ho però scelto di concentrarmi di più sul gioco e, una volta a casa, avere una vita più tranquilla. Con un bambino piccolo preferisco passare tempo con lui piuttosto che con gli ospiti di un podcast. Inoltre, quando giocavo nella Western Conference, le trasferte erano toste ed era una sfida recuperare nella maniera giusta”.

Vivi in una casa nei boschi fuori Chicago. Ti piace fuggire dal rumore della città quando ne hai la possibilità?
“Durante la stagione si viaggia molto, visitiamo grandi città e non è sempre semplice. Quando si è presentata l’occasione di vivere in questa casa non ci abbiamo pensato molto, e come famiglia ci troviamo bene. Con mio figlio possiamo passare tanto tempo all’esterno, ed è sicuramente molto più tranquillo rispetto a vivere a Chicago”.

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