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Lugano

Solo un “facelift” per il Lugano, per confermarsi tra le regine e ripartire all’assalto

Pochi importanti ritocchi, ma anche conferme che dovranno dare risposte sin da subito come Linus Klasen. Tra Chorney, Loeffel e lo svedese, ecco cosa osservare nel preseason dei bianconeri

Nuove vesti, obiettivi sempre alti

Tempo d’estate, tempo di pronostici cartacei, di depressioni da mancanza del ghiaccio, tempo di giudizi sul mercato, di conseguenti sogni e incubi. Nessuna squadra rimane fuori da questi giochi estivi, nessun direttore sportivo si può salvare dai giudizi di tifosi e addetti ai lavori, tutti in trepidante attesa di un disco nero che scivola sul bianco ghiaccio.

A Lugano l’attesa è un po’ più lunga per chi vuole assistere da subito alle prime sgambate sul ghiaccio dei propri beniamini, vista la finale protrattasi fino a Gara-7 la scorsa primavera, ma tra pochi giorni la lunga estate parrà essere passata in fretta anche alla Cornèr Arena.

Già questo è un cambiamento di quelli epocali, la grossa insegna luminosa agli angoli della pista ricorderà a tutti la ridenominazione dell’impianto luganese, ma ci vorrà tempo prima che i tifosi si abituino a non leggere o ascoltare più il nome “Resega”.

Quello del cambiamento del nome della pista entra a tutti gli effetti tra i grandi passi avanti messi in atto dal club bianconero a livello di immagine, di marketing e di gestione futura, aspetti che vanno a braccetto e che hanno più di un’influenza anche nel settore sportivo.

Taylor Chorney, finalmente ci siamo?

Quello del difensore straniero è un cruccio che a Lugano ci si porta dietro dai tempi di Petteri Nummelin. Impossibile trovare qualcuno che ripeta le incredibili gesta del finlandese, il paragone con i suoi successori è sempre stato logicamente impietoso, ma spesso è stato anche una spada di Damocle piazzata sopra la testa da parte di chi non riusciva a dimenticare il numero 33.

Da Chris Campoli, a Yanick Tremblay arrivando a Jordan Hendry, nomi che a qualcuno fanno ancora venire i brividi, nessuno è mai riuscito a raccogliere la pesante eredità, forse solo Ilkka Heikkinen aveva convinto durante quegli anni.

Oggi, dopo una stagione ricca di punti (e di errori) ma priva di leadership e carattere da parte di Bobby Sanguinetti, sarà Taylor Chorney a provare ad estrarre la spada dalla roccia.

Un nome che pochissimi conoscevano, non molte partite disputate nelle ultime stagioni, ma solo perché il numero 16 preferiva essere settimo difensore e lottare per un posto in NHL piuttosto che accasarsi comodamente in AHL, un segnale che già può dire molto sulle sue qualità caratteriali, esaltate anche da suoi ex compagni a Washington come il portiere Holtby.

Carattere che sarà indispensabile vista la partenza di un Furrer che in bianconero aveva raggiunto livelli monumentali, anche quando si era già a conoscenza della sua partenza e consapevoli che sul mercato svizzero era impossibile da sostituire.

Spesso in passato si tacciò il direttore sportivo Roland Habisreutinger di una certa mancanza di “coraggio” nel scegliere gli stranieri, puntando su usati sicuri (sulla carta) già impiegati in Svizzera, stavolta gli va dato atto di aver compiuto un lavoro di ricerca nell’ombra piuttosto preciso, sicuramente con le conoscenze e il benestare del coach, altro aspetto che in passato (vedasi il famoso “io Zackrisson non l’ho mai visto giocare” di Doug Shedden) sembrava venuto a mancare.

Le amichevoli estive e la Champions Hockey League potranno dare qualche risposta, non solo al Lugano ma anche allo stesso Chorney, per la prima volta alle prese con un hockey diverso, con un ruolo diverso, su piste diverse.

Diavolo o barcaiolo

“Se si è preso il diavolo sulla barca, tocca traghettarlo sulla terra”. Così recita un vecchio proverbio svedese, con la morale ad insegnare che chi si prende un impegno, anche gravoso, lo deve portare a termine.

Lo conoscerà questo proverbio Linus Klasen? Forse, ma di sicuro la sua morale l’avrà tenuta di conto alla fine della scorsa stagione. Una stagione tribolata, iniziata con i problemi legati alla salute del figlio Conor, pensieri che rimangono a gravare pesanti sulla schiena, un’abulia in pista quasi irritante.

Poi la commozione cerebrale patita a Langnau e infine il posto “portatogli via” da Ryan Johnston al suo rientro, con Ireland che aveva già fatto le sue scelte (in parte obbligate) del quartetto di stranieri per i playoff.

Klasen ha deciso che Lugano rimarrà la sua squadra e la sua casa, i discorsi franchi come solo con un uomo come Greg Ireland possono essere hanno convinto ancor di più che per lo svedese questa dovrà essere la stagione della svolta, senza se e senza ma.

L’estate è passata serena per il numero 86, si è preparato intensamente anche nelle sue vacanze in Svezia e allora potrà e dovrà dimostrare da subito di essere un buon barcaiolo e di poter traghettare il suo diavolo fino alla terraferma. Perché decidere di avere in squadra un Linus Klasen senza poterlo sfruttare, qualunque sia il motivo, è qualcosa che il Lugano non si può permettere.

Dalla roccia si estrae l’acciaio

La più grande capacità di Greg Ireland – oltre a quelle indubbie tecniche e tattiche – è stata quella di aver forgiato un gruppo che nei playoff scorsi ha dato il meglio di sé.

Avanti a dritta nonostante gli infortuni importanti, nonostante gli svantaggi quasi impossibili da recuperare, fino alla famosa Gara-7 di finale, quando quel gruppo non ne aveva più.

Per forgiare quel gruppo Ireland ha preso decisioni coraggiose, persino quasi “contro” a una certa filosofia e in barba a certi investimenti, tutto per un solo fine: il bene della squadra.

Da un Klasen lasciato fuori nei playoff, all’inserimento dei giovani come Vedova senza che questi non risentissero minimamente del salto dalla B a una finale di campionato contro gli ZSC Lions. Tutto questo con un capitolo che era rimasto aperto: Damien Brunner.

È indubbio che uno dei più grossi investimenti del Lugano degli ultimi 20 anni scivolasse via dalla filosofia di squadra del coach, il linguaggio del corpo non ha mai mentito, in panchina o sul ghiaccio, in allenamento o in partita. L’infortunio patito a Davos, l’ultimo di una lunga serie, non ha fatto altro che accelerare un processo d’uscita che per Brunner sembrava ormai avviato visto il successo dell’Ireland pensiero, con quell’episodio del presunto litigio tra i due che solo l’eleganza del coach ha saputo riparare momentaneamente, senza il paracadute del club.

Con un ultimo pezzo di roccia scavato via per trovare finalmente l’acciaio, Ireland dovrà confermare la sua bravura sin da adesso: tenere in serenità ma sotto tensione e affamato un gruppo che deve essere ancora più pronto a dare l’assalto alla cima.

Un nuovo power play

L’efficacia della superiorità numerica del Lugano è funzionata molto a corrente alternata nelle ultime stagioni, figlia della vena di Klasen o dei laser-shot di Fazzini, ma è sempre mancato quel blue liner svizzero che facesse da alternativa o che togliesse un po’ di pressione sul difensore straniero.

L’arrivo di Romain Loeffel è quindi di doppio effetto, perché un difensore svizzero che nelle ultime quattro stagioni ha messo a segno ben 41 reti, di cui 16 in power play e mai in squadre attrezzate come il Lugano, può aumentare di molto l’efficacia, ma potrebbe anche compensare qualche mancanza in attacco.

Ora per la superiorità numerica del Lugano c’è tutto: il regista, i finalizzatori, gli armadi da slot e anche il blue liner svizzero tanto agognato. Alla Cornèr Arena si augurano che si sappia mettere assieme tutti i pezzi per tornare ad avere un’arma micidiale, un’arma che negli ultimi playoff ha sparato spesso a salve.

Quante frecce per un arco?

D’altro canto la partenza di Brunner toglie un’ala svizzera dalla profondità del top six (per alcune squadre bisognerebbe parlare di top-eight) e il contemporaneo mancato arrivo di Suri ha mandato qualche piano un po’ sul fianco.

Lasciando stare Jooris (con la concorrenza della NHL è sempre durissima) l’arrivo di Mauro Jörg porta un buon cerotto alla rosa, con un giocatore energico e veloce che dovrà ritrovare la produttività perduta sperando che gli infortuni lo lascino in pace.

È pur vero che il Lugano ha tirato fuori il meglio di se quando gli uomini delle checker lines hanno alzato il livello di tutti, ma l’impressione è che un’ala produttiva da affiancare al terzo centro (Cunti) al momento manchi a meno di esplosioni improvvise di Romanenghi o dello stesso Jörg.

Nulla di estremamente grave, poche squadre in Svizzera (anzi, solo gli stessi Lions) possono vantare un tale arsenale di passaporto rossocrociato, ma proprio il preseason potrà dare indicazioni importanti sull’assetto da dare alla squadra, se improntato all’equilibrio o più diviso tra offensiva e difesa.

Conoscendo Ireland, possiamo scommettere che la formazione “tipo” nel preseason sarà ben camuffata fino all’ultimo. E allora che riparta l’assalto.

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