Social Media HSHS

Interviste

Simek: “Voglio aiutare i giovani a crescere, credo che in Svizzera si debba fare di più”

L’ex giocatore racconta la filosofia della sua scuola: “Ho visto come si allenano i ragazzini in USA o Canada. Sarà sempre più difficile tenere testa a queste nazioni. Io chiedo molto, con allenamenti duri e seri al fine di crescere”

Lo avevamo “accompagnato” durante la sua esperienza in Slovacchia con il Presov e avevamo celebrato la conquista del titolo polacco con il Katowice nel 2023, le sue ultime avventure da hockeista. Ora Juraj Simek è di nuovo in Svizzera e ha fondato la “Juraj Simek Hockey Development”. Lo abbiamo incontrato per capire più da vicino in cosa consiste.

“Una volta finita la mia carriera, ho pensato a cosa potessi fare per aiutare mio figlio e altri bambini nello sviluppo hockeistico. Quanto si fa nei club non mi piace, anche se capisco le società. Spesso ci sono 40 ragazzi sul ghiaccio, è dunque difficile organizzare sedute efficaci, gli allenamenti non sono buoni, c’è solo un allenatore professionista in pista e il resto è composto da padri o semplici volontari. Io punto sulla qualità, voglio aiutare i ragazzi individualmente e per fare ciò è indispensabile allenarsi con pochi bimbi sul ghiaccio. Questa è la mia filosofia”, ci ha raccontato l’ex attaccante.

“Nelle giovani categorie in Svizzera, a differenza di quasi tutte le altre importanti nazioni hockeistiche, sino ai 13 anni praticamente tutto è improntato sul divertimento e non si pensa alla prestazione e alla cultura del risultato. Negli scorsi mesi ho visto come si allenano i ragazzini, ad esempio negli USA o in Canada. Tra 5 o 10 anni sarà ancora più difficile tenere testa a queste nazioni, lo si vede già ora nell’ambito giovanile, con la retrocessione della Nazionale U18. In America, già a partire dagli U8, si gioca su tutta la superficie ghiacciata, qui in Svizzera invece si continua per ulteriori anni a giocare sulla superficie orizzontale. Va bene per l’inizio, al fine di toccare tante volte il disco, ma il vero hockey è un’altra cosa e quindi bisognerebbe fare come in America e passare prima alle vere dimensioni. E poi la mentalità. I genitori in Nordamerica sono disposti a investire moltissimo finanziariamente, una stagione può costare sino ai 40’000 dollari all’anno, i ragazzi si allenano senza interruzioni e pure il sistema scolastico è adattato a determinate esigenze sportive. Sono andato in loco, ho osservato come ci si allena e mi sono reso conto della bontà di questo movimento. Chiaro, in Svizzera il bacino è un altro, ma sono sicuro che se implementassimo un sistema del genere avremmo molti più giocatori di ottimo livello”.

Spiegaci un po’ come funzionano i tuoi allenamenti…
“Durante la stagione facciamo di solito 1-2 sedute alla settimana. Questi allenamenti sono attorno alle 6 del mattino, è l’unica possibilità visto che il sistema scolastico svizzero non consente altrimenti e alla sera ci sono gli allenamenti con i rispettivi club. Di solito vi partecipano dai 4 ai 6 ragazzi. In estate, invece, abbiamo 3 sedute settimanali. Gli allenamenti sono aperti ai ragazzi nati tra il 2013 e il 2015, ma se c’è un 2016 che ha già un buon livello, è il benvenuto. Si pone l’accento su tecnica di bastone e pattinaggio, si ripetono molto gli stessi esercizi con il disco e anche il tiro è una componente importante”.

È già successo che dopo uno o due allenamenti devi dire ai genitori che il loro figlio non è abbastanza bravo per poter continuare a partecipare?
“Per intanto no, c’è solo stato un caso in cui un ragazzo si è lamentato del fatto che gli allenamenti fossero troppo duri. Ho contattato quindi il padre, ho detto di parlare con il figlio, di valutare se fosse davvero la cosa giusta per lui e alla fine il ragazzo ha rinunciato. Ovviamente se dovessi vedere qualcuno che non ha il livello o che non s’impegna, sicuramente parlerei con i genitori. Io chiedo molto ai bambini, qui non si viene tanto per trascorrere il tempo, bensì per migliorarsi. I genitori sanno qual è la mia filosofia prima d’iscrivere i figli e sono consapevoli, dunque, di cosa li attende: allenamenti duri e seri al fine di crescere. E ci si diverte comunque, non c’è niente di più bello e divertente per un bambino del percepire i progressi fatti nella disciplina tanto amata”.

Sono i genitori che ti contattano o vai tu a cercare i giovanissimi talenti?
“Non mi muovo attivamente, sono i genitori che mi contattano tramite social media, internet e telefono. L’unica eccezione è quando, al termine della stagione, ci rechiamo a dei tornei internazionali per sfidare altre accademie. Se so che c’è un giocatore talentuoso e bravo, contatto la sua famiglia e chiedo se c’è la disponibilità per venire con noi a questi eventi. Siamo stati, ad esempio, a Innsbruck e a Riga. Sono tornei ed esperienze magnifiche, avevo con me giocatori di diversi club come Berna, Bienne, Lyss e Zurigo. È ottimo per i ragazzi farsi nuovi amici provenienti da altre squadre, confrontarsi con giovani coetanei di altre parti del mondo e vedere il loro livello. È importante fare queste esperienze già in giovanissima età”.

Quanto costa all’incirca per una famiglia partecipare ai tuoi allenamenti?
“Gli allenamenti mattutini a piccoli gruppi, che durano circa 75 minuti, costano attorno ai 100-125 franchi. Poi quelli del weekend o i campi di allenamento possono variare. Non lo faccio prettamente per guadagnare, ma evidentemente devo coprire i costi per l’affitto del ghiaccio. Le mie sedute si svolgono alla Swiss Life Arena di Zurigo e annualmente pago attorno ai 35mila franchi. È il posto ideale, conosco tutti gli inservienti e oltretutto non è evidente trovare del ghiaccio libero in Svizzera”.

Sei conscio che il tuo metodo non è condiviso da tutti e c’è della critica negativa?
“So che alle mie spalle ci sono persone che parlano male di me o della mia visione, ma a me non interessa. Ognuno ha il suo credo, chi preferisce portare i ragazzi al lido ha tutto il diritto di farlo. C’è gente che dice che sia troppo presto fare certe cose a queste età, io ho un’altra filosofia. Ognuno va per la sua strada, non obbligo mica nessuno a partecipare ai miei corsi. I feedback dei genitori che mandano i ragazzi da me sono ottimi, s’instaurano dei bei rapporti sia tra i bambini che tra le loro famiglie. Nessuno mi ha mai detto di essere troppo duro con i loro figli, per esempio”.

Sei uno che grida con i ragazzi?
“Posso alzare un po’ la voce, ma mai volgarmente e senza minacce. La mia è una sorta di spinta. Se vedo che un ragazzo non sta dando il massimo, gli dico che deve svegliarsi, che può fare di meglio, cerco di spronarlo. Io esigo sempre il 100%, alla fine per loro stessi, non per me. È importante anche l’onestà. Oggi si vedono allenatori o genitori che fanno i complimenti ai bambini pure quando perdono o giocano male. Applaudono i ragazzi per un nono posto a un torneo e gli dicono che sono stati bravi. Ma bravi cosa? Un nono posto non è mica un buon risultato. Questo è un inganno e non porta a niente nei confronti dei giovani. Se non si cambia questa mentalità, diventerà dura progredire”.

Non c’è il pericolo che per qualche ragazzo tutto questo sia prematuro, e tra 2-3 anni smetta perché si è bruciato e non ha più voglia di continuare?
“È un argomento ricorrente. Se un ragazzo tra i 13 o i 15 anni smette, significa semplicemente che l’hockey non è la cosa giusta per lui. Se qualcuno ama e ha la passione per questo sport, può anche praticarlo per 20 ore al giorno senza che gli passi la voglia. È semplice e vale in fondo per ogni attività prediletta di qualsiasi persona”.

Ma come reagiresti se tuo figlio Juraj junior tra due anni ti dovesse dire che smette?
“Sarebbe una “emme”, ovviamente, visto quanto investito, ma ribadisco, se dovesse essere il caso, vorrebbe dire che non fa per lui. Solitamente, quando un ragazzo smette, è per due motivi: o perché è scarso, o a causa di problemi con l’allenatore. Non ho praticamente mai sentito di un bimbo forte che interrompe l’attività perché gli è passata la voglia. Poi, intendiamoci, non è che mio figlio passi 24 ore a giocare a hockey o ad allenarsi. Alla fine, il tempo quotidiano dedicato al disco su ghiaccio non è poi chissà quanto se consideriamo appunto la durata di un giorno”.

Non c’è mai una giornata in cui ti dice “papà oggi non ho voglia di allenarmi”?
“Gli allenamenti a secco in palestra non li fa così volentieri, ma questo è normale, anche ai professionisti non piacciono (Juraj ride, ndr), mentre sul ghiaccio non è mai un problema, non vede l’ora di mettere i pattini. Adora pure esercitarsi a casa con la tecnica di tiro”.

Tua moglie non ti dice mai che esageri?
“No, mi supporta, sa che il mio pensiero è giusto e che so quello che faccio e di cosa parlo. Lei ha anche accompagnato Juraj junior negli Stati Uniti a fare dei tornei, mentre io sono rimasto in Svizzera. È importante che i genitori abbiano la stessa visione, altrimenti poi c’è confusione e nascono problemi che non aiutano il bambino”.

E con la scuola come la mettiamo?
“Chiaramente è importante, Juraj non può bocciare una classe e lo sa bene. La base per costruire una carriera di hockey è però esclusivamente tra i 3 e i 18 anni, è un tempo molto corto. Da lì non si scappa, mentre a livello scolastico al giorno d’oggi ci sono tante possibilità. Puoi frequentare corsi e fare formazioni anche più tardi. Solitamente attorno ai 17 anni capisci se potrai avere un futuro da hockeista, ma per diventarlo devi creare appunto le fondamenta prima, in età piccina. La scuola invece non scappa, per così dire. Se tuo figlio desidera diventare un professionista, devi sostenerlo, è importante seguire la volontà dei bimbi negli ambiti da loro prediletti”.

Tuo figlio è nato nella seconda parte del 2015, l’anno del suo Draft è quindi il 2034. Scommetteresti dei soldi in merito?
“È difficile da dire, non lo so. Oggi come oggi, comparato a me, è di un altro pianeta, ma in 9 anni possono accadere tante cose e ci sono molti fattori. Arriva la pubertà, la crescita. Saprà gestire la pressione? E gli infortuni? Ci vorrà anche fortuna. Certo, sarebbe bello se venisse scelto da qualche franchigia di NHL”.

Firmeresti se junior facesse una carriera come la tua?
“Bella domanda. Non firmerei”.

Pensavo rispondessi così…
“D’altronde tu mi conosci bene (Juraj ride, ndr). Io spero che Juraj junior diventerà migliore del papà. Ha veramente talento, alcune cose che lui sa fare non provengono dai duri allenamenti, sono proprio un dono della natura. Io sono qui per aiutarlo, seguirlo, dargli dei consigli per evitare di fare alcuni errori che ho compiuto io durante la mia carriera”.

Magari anche in ambito della comunicazione…
“Esatto, evitare qualche affermazione pubblica, per esempio. Con l’esperienza che ho accumulato, posso guidarlo ottimamente”.

Visto che parliamo di te, che nota daresti alla tua carriera?
“Hmm… sarebbe potuta essere migliore, forse mi darei una sufficienza risicata, un 4-. Il mio percorso sportivo era iniziato bene, giocando in Canada a livello giovanile, venendo draftato e militando in AHL. Tornai in Svizzera, ma per me doveva essere solo una tappa intermedia per poi arrivare alla NHL. Il classico passo indietro per poi compierne uno in avanti. Io sono sempre stato scontento, ho sempre voluto di più, la mia mentalità non era adatta a quella svizzera. La mia voglia, la mia ambizione, il mio traguardo di voler giocare in NHL sono spesso stati interpretati come arroganza, ma non è così, semplicemente avevo altri obiettivi. Non mi accontentavo di essere un titolare in NL, a differenza di tanti altri giocatori. Tutto ciò mi ha portato a prendere decisioni sbagliate. Vorrei tornare indietro. D’altro lato, ormai, ti puoi rendere conto di aver fatto una scelta errata solo una volta che l’hai presa ed esperita”.

Torniamo con l’ultima domanda alla tua attività. Attualmente fai tutto da solo, non hai mai pensato di coinvolgere qualche tuo ex compagno di squadra nel tuo progetto?
“No. Io sono uno molto guardingo, ho fiducia nei confronti di pochissime persone. È sempre difficile instaurare collaborazioni. Per capirci: se io ho dieci idee, rispettivamente convinzioni, la persona che lavora con me deve completamente condividere il mio credo. Se questa persona è d’accordo solamente con nove di questi dieci punti, ecco che non funziona già più. Preferisco veramente fare tutto da solo”.

Click to comment

Altri articoli in Interviste