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Interviste

Simek: “Una vittoria arrivata dopo un cammino difficile, ora voglio convincere un club di NL”

Il 35enne ha vinto il titolo con il Katowice: “La mia indole è sempre stata quella di uno che non molla mai. Sono sicuro di poter ancora tenere il livello di NL, l’interrogativo è se qualcuno mi darà la possibilità di dimostrarlo”

KATOWICE – Lo avevamo lasciato a dicembre in Slovacchia, lo ritroviamo quattro mesi dopo in Polonia a Katowice con in bacheca un titolo di campione. Juraj Simek, a 35 anni, ha ottenuto il successo più grande della sua lunga carriera.

“Il tempo dei festeggiamenti è però finito. Venerdì, il giorno dopo il trionfo, abbiamo fatto la parata in città su un bus aperto, poi ci siamo ritrovato alla pista con tutti i tifosi per un’ultima serata di festa. Da parte mia l’euforia è finita, d’altronde il momento più bello è la notte della vittoria, è quello più speciale. Già a Kloten, dopo la promozione, fu così”.

Qual è il tuo sentimento dopo questo successo?
“Indescrivibile, non è qualcosa che assapori ogni anno, anzi, ci sono giocatori che non hanno mai vinto nulla. Poter alzare la coppa e riceve la medaglia di campione è bellissimo. Sono sensazioni che non si dimenticheranno mai. Sentire “We are the champions” sul ghiaccio è semplicemente fantastico. E questo trionfo arriva dopo un cammino tortuoso, pieno di alti e bassi. È stato però un peccato dover alzare la coppa senza la presenza di mia moglie e mio figlio, ma perlomeno i miei genitori erano alla pista”.

Si può dire che è l’apice della tua carriera?
“Certo, anche perché la vittoria ottenuta con il Kloten la stagione scorsa aveva un feeling diverso. Chiaro ero felice e avevo festeggiato, ma in fondo essendo stato infortunato nel momento clou della stagione non avevo in sostanza dato il mio contributo. E le due vittorie alla Spengler con il Ginevra erano sì state bellissime, ma in fin dei conti è un torneo di una sola settimana, lo sforzo per arrivare alla vittoria non è certo paragonabile a quello che si compie per vincere un campionato”.

Il Katowice, che come livello dovrebbe essere all’incirca una squadra di vertice di Swiss League, ha difeso il titolo (vinto lo scorso anno dopo un digiuno che durava dal 1970), ma non è stata una passeggiata e non eravate i favoriti…
“Le aspettative erano alte, ma quando sono arrivato a gennaio non tutto girava bene. Abbiamo incontrato diverse difficoltà, l’allenatore non era per nulla soddisfatto e abbiamo terminato la regular season solamente al quarto posto. Non ero così ottimista. Superare i quarti di finale è stata durissima, eravamo in ritardo per 3-2 e siamo riusciti in trasferta a pareggiare. Questa è stata la chiave dei nostri playoff. Dopo aver raggiunto la semifinale la squadra si è come ricompattata. Siamo riusciti, pure in 7 partite, a eliminare il Cracovia, la squadra con il budget più alto della lega, quella più veloce e dotata di maggior tecnica. La finale invece è stata più soft, ci siamo imposti per 4-0”.

Sei fiero del tuo percorso? In fin dei conti dopo Kloten e l’infortunio avresti potuto smettere, andare in disoccupazione, restare accanto ai tuoi cari e pensare ad altro, invece a 35 anni hai affrontato da solo un percorso nei meandri dell’hockey…
“Assolutamente. In tanti mi dicevano di smettere, ma la mia indole è sempre stata quella di uno che non molla mai (lo dimostra il suo lungo percorso in AHL ndr). Ho spesso dovuto superare grandi ostacoli nella mia vita. Il dottore che mi ha operato alla spalla mi ha detto che era un infortunio molto raro. Per me era una sfida, non potevo finire così la mia carriera. A Presov il braccio mi faceva male e prendevo tanti antidolorifici. Poi come se non bastasse è arrivato un infortunio agli adduttori. Ero a terra e fuori forma. Mi sono chiesto per un attimo se non fosse stato meglio interrompere tutto. In seguito si è fatto vivo Katowice, che recentemente aveva addirittura sconfitto lo ZSC in CHL. Mi sono detto che andava la pena continuare e riprovarci”.

E hai avuto un impatto notevole. In regular season hai ottenuto 10 punti in 12 partite e nel postseason 13 in 18 segnando pure un gol decisivo in una sfida della finalissima…
“I dolori sono scomparsi, ho subito avvertito la fiducia dello staff tecnico e della dirigenza, mi sono sentito davvero bene e mi sono divertito. Anche l’ambiente era ottimo e la pista era spesso tutto esaurita con 2’000 presenze. Chiaro l’impianto è ormai vecchissimo, ha oltre 50 anni, ad esempio non c’è la sala pesi all’interno. Dovevamo sempre recarci in un centro commerciale per svolgere l’allenamento off-ice. Ma per il resto l’organizzazione è davvero ottima e professionale. Quando necessitavo pattini o bastoni nuovi, mi venivano immediatamente forniti. Anche l’appartamento messomi a disposizione era perfetto, mi hanno trattato benissimo, e lo stipendio è sempre arrivato puntuale. E non sempre è stato il caso in passato, nemmeno in Svizzera. A livello mentale è importante questo fatto”.

Quanto hai guadagnato in questi mesi in Polonia?
“All’incirca 25’000 euro, sono quindi riuscito a mantenere la mia famiglia”.

Non male come stipendio, ma ovviamente lontanissimo dai tuoi anni d’oro. È dura accettare di dover svolgere lo stesso lavoro con un compenso molto ridotto?
“Il primo vero taglio grosso l’ho avuto quando dal Rapperswil sono andato a Kloten. Ma non mi pesava. Tornavo al mio club formatore, l’obiettivo era la promozione ed ero convinto che conquistandola poi lo stipendio sarebbe risalito. Purtroppo è arrivato l’infortunio, da lì è cambiato tutto. Adesso sono semplicemente felice di poter continuare a giocare. L’aspetto economico è ormai secondario. Non ambisco più a guadagnare 20’000 franchi al mese. Voglio semplicemente mostrare a tutti che posso ancora giocare ai massimi livelli anche in Svizzera, un po’ come ha fatto Rüfenacht ad Ambrì, e lui di anni ne ha 38. L’hockey è la mia vita, la mia passione, da quando ho 4 anni. Per me una vita senza questo sport non è immaginabile. E a causa di questo a volte litigo con mia moglie, perché al primo posto prima di lei c’è appunto l’hockey”.

Hai nominato Rüfenacht, al suo posto potevi esserci tu. Alla fine però forse è stato meglio così, altrimenti non avresti potuto festeggiare il titolo…
“È vero, avevo parlato con Paolo Duca in merito a un trasfertimento. Rüfenacht si ê però ripreso dall’infortunio alla mascella e non se n’è fatto nulla. Sarei stato felice se fosse andata in porto con l’Ambrì, ma per la mia progressione è stato meglio restare a Katowice. Qui ho avuto un minutaggio tra i 16 e i 20 minuti a partita in qualsiasi situazione, un ruolo importante per ritrovare le migliori sensazioni e la fiducia. È stata la soluzione migliore”.

E ora quale sarà il tuo futuro?
“Settimana prossima, dopo un breve passaggio in Slovacchia dai miei genitori, tornerò in Svizzera. Terrò alcuni campi di allenamento per i bambini a Wetzikon, ne seguiranno poi altri in estate. Se fossi solo tornerei probabilmente a Katowice, ma la famiglia è in Svizzera e non voglio nuovamente trascorrere un anno lontano da loro. Continuerò ad allenarmi e cercherò di convincere qualcuno in National League a darmi una chance. Anche la Swiss League è un’opzione, ma solamente in un team ambizioso, non voglio scendere sul ghiaccio solamente per il gusto di farlo. Ora sono un giocatore più completo, so interpretare anche ruoli più difensivi. A Kloten sotto gli ordini di Jeff Tomlinson ho pure svolto il ruolo di centro difensivo del quarto blocco. Sono migliorato fisicamente e anche a livello di pattinaggio. Ho visto diverse partite di National League, sono sicuro di poter ancora tenere questo livello senza problemi. Il vero interrogativo è se qualcuno mi darà la possibilità di dimostrarlo”.

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