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Interviste

Sannitz: “Io un esempio? Voglio solo essere me stesso e dare tutto”

Il centro del Lugano ha appena tagliato il traguardo delle 700 partite in bianconero e dei 100 gol in NL. Con lui abbiamo parlato dei prossimi impegni e dato uno sguardo all’indietro

LUGANO – Durante l’allenamento di giovedì mattina, il coach bianconero Greg Ireland ha insistito particolarmente sulle situazioni di box play, tenendo a rapporto la squadra sul ghiaccio dopo le sconfitte contro Friborgo e Bienne.

Il canadese, assieme all’assistente Jussi Silander, conta molto sull’esperienza dei leader in squadra, e lo ha dimostrato stando a colloquio con un esperto delle situazioni speciali come Raffele Sannitz, ormai un punto di riferimento di questo Lugano: “Se sono un punto di riferimento non lo so, ma sicuramente nel ruolo di centro difensivo ho dato e so dare ancora molto, quando la situazione lo richiede io mi faccio sempre trovare pronto”.

Raffaele Sannitz, si riparte dopo il weekend scorso che vi ha visti sconfitti due volte. Giocare solamente tra un fine settimana e l’altro è un problema in questo caso?
“Dal mio punto di vista, come giocatore, ovviamente prima si gioca e meglio è, soprattutto quando si viene da delle sconfitte e ci si vuole rimettere in carreggiata. D’altra parte però queste pause servono ai coach per sistemare le cose che non sono funzionate e danno il tempo per lavorare, però ovviamente il calendario è questo e lo prendiamo così com’è. Adesso il ritmo per noi è questo, ma poi arriverà un periodo prima di Natale che sarà molto più fitto di impegni”.

È giusto affermare che queste due ultime sconfitte hanno visto non a caso un Lugano un po’ troppo individualista che ha smesso di puntare sulla forza di squadra?
“Sì, credo che questo aspetto sia uscito soprattutto quando ci siamo trovati ad inseguire nel risultato, e ognuno ha cercato di risolvere la partita in maniera individuale dimenticandosi un po’ della pazienza del gioco di squadra. È solo con l’organizzazione e un sistema che coinvolge tutta la squadra che si vincono le partite ma, spesso, quando si viene da un periodo positivo certe sconfitte ti insegnano che nulla è scontato, che da soli non si può risolvere nulla”.

Quindi per ripartire nulla di meglio che un weekend di fuoco contro lo Zugo alla Resega e poi il derby della Valascia…
“Sicuramente sarà un bel fine settimana ma, pur banale che sia, di partite facili non ce ne sono, e vanno affrontate alla giusta maniera tutte quante. Saranno partite importanti, lo Zugo è dietro di noi ma sta tentando di risalire e quindi i punti in palio valgono tantissimo perché noi vogliamo restare in alto e staccare quelli che stanno dietro. Detto dello Zugo credo che del derby ci sia poco da dire… Semplicemente perché è il derby”.

Nella trasferta di Bienne hai toccato l’invidiabile cifra di 700 partite giocate con la maglia del Lugano. Guardandoti indietro qual è il primo pensiero che ti viene?
“Mi viene in mente di quando ero bambino, che come tutti sognavo di diventare un giocatore professionista. Io ci sono riuscito e l’ho fatto per la squadra del mio cuore, di casa mia, quella in cui sono cresciuto partendo dalle giovanili e questo mi rende felice ed orgoglioso. Le 700 partite sono veramente tante, perché uno all’inizio sogna di giocare molto ma poi la cifra la vedi solo quando la raggiungi ed è una bella sensazione. Guardando in questi anni passati con il Lugano ci sono ricordi bellissimi come i titoli vinti ma ovviamente anche ricordi più brutti, partite in cui ti dici che forse era meglio non esserci (ride, ndr). Ma prendo tutto, il ricordi belli e quelli brutti, che fanno tutti comunque parte di una storia, e sono felice e fiero di averne fatto parte”.

Oltre a questo traguardo, recentemente hai raggiunto anche quello di 100 reti in National League, un bottino comunque rispettabile in un ruolo come il tuo…
“Chiaro, nel mio ruolo non segno molto, non sono nemmeno uno “sniper” ma credo che 100 reti in National League non siano niente male, mi sono sorpreso anch’io del numero a dire la verità perché non guardo mai le statistiche”.

Alessandro Chiesa, il capitano – a margine di questa intervista, ndr – ti ha descritto come “una bandiera ed un esempio per i più giovani”, ti rispecchi in questa descrizione?
“Io ho sempre cercato di essere me stesso, e se questo ha fatto di me un riferimento ne sono felice. Però penso che i ragazzi più giovani vedano in me un esempio come carriera, nel senso che sono partito dalle giovanili per essere ancora qui oggi dopo così tante stagioni e anche loro sognano questo, poi se vedono in me anche un leader questo non lo so”.

Però nello spogliatoio sei comunque una figura importante…
“Come ho già detto, io cerco solo di essere me stesso, mi piace scherzare e portare allegria nello spogliatoio, ma so anche quando è il momento di essere seri e lavorare duramente. Credo che i miei compagni mi rispettino anche per questo, perché so ridere e scherzare ma quando ci sono i momenti che contano io non mi tiro mai indietro e voglio essere sempre lì in mezzo a lottare”.

Questo aspetto, in un ruolo come il tuo è visto più nel gruppo, mentre fuori si tende un po’ a dimenticare quei giocatori con ruoli più “operai” e meno appariscenti…
“Questo succede sicuramente ma è non quello che conta per me, il mio stile di gioco è questo e so di essere utile in quella maniera. È la “disgrazia” dei giocatori di terza e quarta linea, il tifoso com’è giusto che sia, ricorda le magie dei giocatori più talentuosi, ma so che chi di dovere sa quello che faccio, lo apprezza e a me va bene così”.

Tanto che “chi di dovere” negli anni ha sempre contato su Sannitz e sulla sua polivalenza, questo è anche un riconoscimento, ci pare?
“Sono nato come centro difensivo, ma ho giocato anche in prima linea, poi qualcuno ha cominciato a piazzarmi all’ala e oggi posso fare pure quello… Insomma è la fortuna o la sfortuna, dipende dai punti di vista, di essere un giocatore che si è sempre adattato a qualunque ruolo e sa leggere il gioco meglio di quanto se la cavi tecnicamente. Alla fine devo dire di essere felice di tutto questo, anche di quando mi piazzarono a fare il difensore”.

In porta però è meglio non rischiare…
“Ah no, quello mai! Per fortuna nessuno me lo ha ancora chiesto…”.

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