Dominique Heinrich per l’hockey austriaco è decisamente una figura di culto e uno dei giocatori di riferimento. In 17 anni di professionismo il difensore ha disputato 870 partite nel massimo campionato ottenendo ben 453 punti, ha vinto addirittura 6 titoli, una Continental Cup e ha disputato quasi una quarantina di match in CHL. Pure per la Nazionale è stato un vero pilastro, partecipando a 10 Mondiali, tra cui l’ultimo appena terminato. Con il simpatico classe 1990 abbiamo fatto una bella chiacchierata partendo proprio dall’incredibile avventura di Stoccolma e Herning.
Dominique sono passate ormai quasi due settimane dalla fine dei vostri Mondiali, come stai, ti sei ripreso dalle fatiche?
“Sto bene, quando si arriva a casa e si può riabbracciare la famiglia si torna in fretta al quotidiano e si ricaricano presto le batterie. Sono state settimane dure, ma condite da tanti successi e quest’ultimi ti aiutano a smaltire rispettivamente dimenticare le fatiche”.
È stato un percorso fantastico per l’Austria aver centrato la qualificazione ai quarti di finale di un Mondiale dopo oltre 30 anni…
“Incredibile. Anche negli ultimi anni eravamo andati vicino a questo traguardo, ma nonostante ciò era ancora per così dire un po’ lontano. Quest’anno il nostro obiettivo era ovviamente la salvezza, ma internamente parlavamo di un possibile raggiungimento dei quarti di finale. Era una specie di traguardo nascosto e alto, ma quando tutto funziona e c’è la giusta chimica, nello sport è possibile raggiungere alte mete e noi ci siamo riusciti”.
In carriera hai vinto molto, come posizioni nella gerarchia dei tuoi traguardi questo Mondiale?
“Sicuramente occupa una posizione di vertice, ma è difficile fare una classifica esatta. Ho vinto sei titoli, è vero, ma anche il campionato mica lo si vince ogni anno. Pure ogni Gara 7 di una finale o di una serie di playoff è ad esempio qualcosa di molto speciale, però ne ho disputate parecchie, mentre giocare un quarto di finale a un Mondiale resta qualcosa di unico”.
Tu sei nato e cresciuto a Vienna. Quando si pensa sportivamente a questa splendida città il pensiero va verso il calcio e i leggendari derby tra l’Austria e il Rapid, non certo all’hockey. Come sei arrivato dunque al disco su ghiaccio?
“Hai proprio ragione, è il calcio a farla da padrone. Fino ai 10 anni ho praticato diverse discipline, ero talentuoso in ambito sportivo e sino a quell’età ho giocato in particolar modo a calcio. Un giorno il mio club pallonaro ci regalò dei biglietti gratuiti per andare a vedere una partita di hockey del Wiener Eislauf Verein. Fu un colpo di fulmine, rimasi letteralmente stregato ed entusiasta che decisi subito d’intraprendere pure io questa disciplina. Durante mezzo anno giocai sia a calcio che a hockey, per i miei genitori e nonni fu un enorme carico, dovevano superarsi nello scarrozzarmi. Poi diventò troppo e quindi decisi di dedicarmi esclusivamente all’hockey”.
Decisamente la scelta giusta. A proposito di hockey e Vienna, mi ricordo i Mondiali del 2005, furono spettacolari e trascorsi due settimane veramente gradevoli. Tu avevi 15 anni, eri un teenager, come li avevi vissuti?
“Sono onesto, a quell’epoca ero veramente un patito di hockey, conoscevo tutti i giocatori, passavo ore alla PlayStation a giocare a NHL e di notte spesso restavo sveglio per seguire le partite di oltreoceano. Ero entusiasta dunque di poter vivere un Mondiale a casa. Degli amici, membri del nostro club di hockey, per l’occasione avevano istituito un fanshop dove vendevano merchandising dell’evento. Io riuscii tramite loro a ricevere un accredito per il Mondiale in qualità di collaboratore del negozio (Heinrich ride ndr). Riuscii dunque ad assistere a ogni match, cosa che puntualmente feci. Fu una cuccagna. Un aneddoto? Durante una partita Dany Heatley, star canadese, ruppe il bastone in due. Questo fu riportato in seguito sulla panchina di riposo, io corsi immediatamente a recuperarlo, lo portai a casa e lo appesi sulla parete di camera mia”.
A tuo avviso è possibile che tra una decina d’anni si possa tornare a Vienna e più in generale sul suolo austriaco a disputare un Mondiale?
“Non è utopia, ma devono cambiare diverse cose all’interno del nostro mondo hockeistico. Ci vogliono le persone giuste. Oggi c’è troppa gente che va al lavoro solamente con l’intento di arrivare a fine giornata e tornare a casa. Ci vogliono passione e visione. Ora è difficile e non si sta andando nella direzione giusta. Vienna sarebbe una città bellissima per tornare ad ospitare un Mondiale, certo bisognerebbe fare probabilmente qualcosa a livello d’infrastrutture, vale un po’ in generale per l’intero territorio. Ripeto, è possibile, ma ci vogliono le risorse umane giuste”.
Torniamo a te. Stando a Eliteprospects sei alto solamente 172 cm e pesi 73 chili…
“A dire il vero la mia altezza è solamente di 170 cm, ho imbrogliato un pochettino (Heinrich ride ndr)”.
Pensavo lo facessero solo i portieri. Tu sei l’esempio che pure un peso piuma con una stazza minuta, hockeisticamente parlando, può fare una grande carriera…
“È così. Sono sempre stato uno dei più piccoli. Bisogna trovare la propria via al fine di vincere i duelli, avere un grande cuore e uno spirito battagliero. Le regole sono cambiate negli ultimi lustri per quanto riguarda i check e le trattenute, il gioco è diventato più veloce. Queste evoluzioni conseguenti alle modifiche rendono la vita più semplice a quelli come me, ma in fin dei conti la corporatura è uguale. Conta solo la volontà”.
Come mai, eccezion fatta per poco più di mezza stagione in Svezia a Örebro nel 2016, hai sempre e solo giocato in Austria? L’estero non è mai stata una tua priorità?
“Onestamente avrei sempre voluto giocare all’estero, è sempre stato il mio obiettivo. Nel 2015 a Praga disputai il mio primo Mondiale della massima serie e giocai molto bene. Ebbi addirittura dei contatti con alcuni agenti NHL, ma naturalmente non se ne fece nulla, ma già solo l’interesse fu molto bello. Non ha praticamente mai funzionato l’opzione estero, non so dirti il perché. Ai tempi non conoscevo praticamente nessuno, non avevo gli agganci, questo ha forse influito. L’anno dopo andai comunque in Svezia, un mio amico aveva dei contatti con l’Örebro, firmai persino già in dicembre e per due anni, ma l’avventura durò meno del previsto, ci rimasi poco. Non posso però lamentarmi, sono contento della mia carriera”.
Anche perché, giocare in due città come Salisburgo e la tua Vienna, tra le più belle in Europa, è un privilegio in fondo…
“Hai assolutamente ragione, sono felicissimo di questo. Quando a 17 anni lasciai Vienna per trasferirmi a Salisburgo la città mi sembrava troppo piccola per vivere grandi avventure, uscire, divertirmi, ecc. Dopo un paio di anni, specialmente con la famiglia e i figli, mi sono reso conto che Salisburgo era davvero ideale: non troppo grande, non troppo piccola. E Vienna… beh, è casa mia, una città molto vivibile e piena di attrazioni. Anche Örebro mi piaceva molto, assomiglia un po’ a Salisburgo”.
A proposito di estero, non sei geloso dei tuoi compagni di Nazionale, i vari Rohrer, Baumgartner, Wolf, Zwerger dotati di licenza svizzera? Se pure tu l’avessi avuta, probabilmente saresti arrivato da noi e avresti guadagnato parecchi soldini in più…
“Logicamente ci si fanno dei pensieri a tal proposito. Cosa sarebbe accaduto se… ma siamo nel campo delle ipotesi. Sarebbe stato divertente. Penso che avrei potuto ritagliarmi il mio spazio nel vostro campionato con una licenza simile, ma Vienna è troppo distante dalla Svizzera e quindi non era possibile. Sono però felicissimo per tutti i nostri ragazzi che possono sfruttare la licenza e giocare a un simile livello. È un bene per loro e ovviamente anche per la nostra Nazionale”.
Una capatina in Svizzera l’hai comunque fatta. Nel 2016 disputasti la Coppa Spengler con il Lugano. Come arrivasti ad indossare la maglia bianconera e che ricordi hai di quella settimana?
“Fu un’esperienza davvero speciale. Il Lugano si prese cura alla grande di mia moglie e del sottoscritto. Il mio agente Patrick Pilloni conosceva bene l’allora direttore sportivo dei bianconeri. Tramite lui e il mio connazionale e amico Stefan Ulmer ci fu l’aggancio. Seguivo sempre la Coppa Spengler alla televisione. Viverla in veste di giocatore fu magnifico. C’era tantissima gente, un ambiente infuocato, tutti a Lugano mi accolsero benissimo. Ricordo ad esempio ragazzi come Dario Bürgler e Damien Brunner, così cari, così simpatici e gentili. Peccato aver perso la finale contro il Canada, sarebbe stato splendido vincere il torneo, ma indipendentemente da ciò resteranno un Natale e un Capodanno indimenticabili per me”.
Hockeisticamente parlando l’austriaco più famoso del Ticino è ovviamente Dominic Zwerger, che ci dici di lui?
“Di Zwergy non si può mai dire abbastanza. Ci siamo capiti e siamo entrati in sintonia da subito. È un talento incredibile. Quando è in fiducia è uno dei giocatori più forti che io conosca, quando non è il caso invece fa fatica, ma è così per tanti atleti. È una persona con un cuore grandissimo, io spero semplicemente che la gente lo veda così, non si limiti allo Zwerger giocatore, che vada oltre e lo sostenga sempre”.
Il tuo contratto con i Vienna Capitals è ormai scaduto. A Herning mi hai detto che probabilmente la tua grande carriera finisce qui. Due settimane più tardi è cambiato qualcosa?
“Ho riflettuto molto in questo lasso di tempo in merito, ho avuto pure dei contatti. Tra un paio di giorni andrò con la famiglia a Mykonos in vacanza. Sarà l’occasione per pensarci ancora e poi deciderò, è anche una scelta legata appunto ai miei cari”.
Allora magari qualche soldino posso puntarlo sul fatto che c’incontreremo ai Mondiali di Zurigo la prossima primavera?
“(Heinrich ride di gusto) Se dovessi continuare e ricevessi la convocazione sicuramente parteciperei, l’atmosfera della nostra Nazionale è superba e ci vogliamo tutti bene all’interno del gruppo”.
Prima di lasciarti andare, svelaci i tuoi progetti futuri. Rimarrai nell’ambito hockeistico oppure vorrai fare qualcosa di totalmente nuovo?
“È un mix di entrambe le cose. Mi piacerebbe lavorare nel ramo del marketing legato allo sport e aiutare anche la federazione austriaca con la ricerca di sponsor e contatti. Così facendo potrei ad esempio continuare a seguire i Mondiali sul posto (Heinrich ride ndr). Vedremo, ho un paio di idee”.
