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Lugano

Il Lugano è in maschera, ora riveli la sua faccia

I bianconeri sono arrivati alla pausa dei Giochi Olimpici con atteggiamento “bipolare”. Tra incertezze straniere e attaccanti da recuperare, solo i playoff emetteranno la sentenza

LUGANO – La pausa benedetta, la pausa maledetta. Non si scappa, c’è chi nei fermi del campionato vede oasi nel deserto in cui rinfrescarsi all’ombra di un pino coreano, altri semplicemente degli steccati che, potendo, salterebbe con grande agilità nemmeno stesse pubblicizzando un olio da cucina.

Scherzi a parte, il Lugano rientra in pieno nella prima categoria, ed è sembrato che ad arrivare alle tre settimane olimpiche fosse un arrancante studente agli ultimi giorni di scuola prima delle vacanze.

L’ultima infausta serata di campionato contro il Kloten ha detto sostanzialmente due cose: la prima è che il Lugano è e rimane squadra estremamente caratteriale, vanitosa e “schizzinosa”, una di quelle che si carica come una molla solo dinnanzi all’avversario di grido. La seconda impressione è che i bianconeri non abbiano ancora raggiunto, per il motivo appena spiegato, la maturità per garantirsi una regular season in completa scioltezza.

È vero, la partecipazione ai playoff non è mai stata messa minimamente in dubbio, Chiesa e compagni hanno occupato le prime posizioni della graduatoria dalle prime giornate fino ad oggi ma, proprio per questo e dopo aver superato momenti estremamente delicati come quello tra dicembre e gennaio, perdere velocità proprio ora è un vero peccato.

Non che la cosa non sia ancora parzialmente rimediabile nelle ultime tre giornate, quando affronteranno due dei possibili sfidanti nei quarti di finale, ossia ZSC Lions e due volte il Davos, tanto per capire che il destino è ancora anche nelle mani dei bianconeri.

Della sconfitta contro il Kloten (ma anche di quella di Bienne) si è già detto, scritto e urlato abbastanza, e ci mancherebbe che chi paga un biglietto non debba arrabbiarsi di fronte a uno spettacolo del genere. Ma qui si torna sulle capacità mentali della squadra di Greg Ireland, un gruppo che per la prima volta dalla sua ultima “costruzione” si è trovato a gestire una situazione tranquilla di classifica, senza più (per fortuna) dover inseguire col fiatone il treno dei playoff.

Una situazione che si è rivelata a doppio taglio, con certi rilassamenti enormi e pericolosi che hanno ribadito quanto debba ancora crescere questa squadra per gestirsi sull’arco di più mesi. “Allenare significa affrontare una serie infinita di sfide: la maggior parte di esse ha a che vedere con la fragilità dell’essere umano”. Questa massima di un certo Sir Alex Ferguson ben rappresenta ciò con cui è stato confrontato più volte Greg Ireland nella sua gestione, quella fragilità che ha probabilmente portato i bianconeri a certi risultati.

Non una fragilità che porta timore, bensì il contrario, una fragilità che porta fin troppa sicurezza e spesso si tramuta in supponenza. Intendiamoci, nulla di tragico, il coach canadese ha saputo tirare fuori questa squadra da una pozza di sabbie mobili mica da ridere e sicuramente saprà ritrovare le parole giuste – che a volte si sono rivelate più tattiche che di vere e proprie arrabbiature – per preparare la squadra a ciò che la squadra attende maggiormente, ossia i playoff.

Questo gruppo, dopo il Berna, è quello che negli ultimi due playoff si è trovato maggiormente a proprio agio e, se è vero che alla fine conta solo chi alza la coppa, certi segnali non sono assolutamente da sottovalutare. Battere tre volte su quattro in stagione il Berna non significa essere più forte della corazzata di Kari Jalonen, ma – anche alla luce dell’ultima sfida alla Resega – spesso la volontà e la fiducia arrivano dove la tecnica e la profondità della rosa non riescono.

Già, la profondità. Da non confondere con la “qualità”, la profondità del roster è il vero limite del Lugano. La difesa e il sistema di gioco hanno dato segnali chiari, senza un paio di interpreti importanti nelle retrovie (Furrer, ma pure Ulmer e Riva) non è buio pesto ma si comincia a dover accendere i fari, per questo i tifosi accendano qualche cero per proteggerne la salute.

Questo succede anche perché c’è un Sanguinetti che dopo un buon inizio si è perso nell’ombra di errori grossolani e soprattutto nella sua scarsa personalità, provando ancora una volta che azzeccare il difensore straniero in Svizzera rimane una questione molto difficile, e chissà se il direttore sportivo Habisreutinger, dopo il mancato arrivo anticipato di Loeffel, porterà nuove forze straniere nelle settimane da qui alla fine di febbraio.

Nuove forze straniere che hanno destato qualche dubbio in attacco, con quell’Emerson Etem giunto alla Resega in condizione a dir poco precaria, con l’infortunio muscolare rimediato nei primi minuti della partita contro il Berna quasi sicuramente figlio di quella mancanza di ritmo. L’americano potrebbe essere una pedina interessante per dare velocità e un gioco diretto al Lugano, ma non dovesse recuperare in queste settimane che ci separano dai playoff, anche il suo arrivo potrebbe essere considerato quasi “fallato”.

Molto dipenderà anche dalle condizioni, soprattutto mentali, di attaccanti come Hofmann e Fazzini, risultati scarichi e fuori fase sotto porta, anche in questo caso il ritorno dai Giochi Olimpici di Hofmann e il lavoro che svolgerà Fazzini in queste settimane saranno fondamentali per ritrovare le reti altrettanto importanti dei due sniper, senza poi dimenticare il recupero di Klasen.

Quindi sì, la pausa per il Lugano è “benedetta”, sperando che la mente borderline di questa squadra riesca a trovare quel certo equilibrio per finalmente darsi un’accelerata con i fiocchi.

Alla fine di tutto questo rimane una sola certezza, che i playoff e solo loro diranno che squadra è il Lugano, perché con la fine del carnevale anche i bianconeri dovranno tirare giù la maschera…

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