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Lugano

Per il Lugano sognare è lecito, provarci un obbligo

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Uno, due, tre e…tutti assieme tiriamo un sospiro di sollievo. Sì, facciamolo, perché prima di affrontare il clou del campionato e sciorinare qualche considerazione sul futuro cammino del Lugano, diamo uno sguardo indietro per riassumere brevemente quel che è stato di queste cinquanta partite, le emozioni, i dubbi, le certezze così come le gioie e i brividi.

Vi è da dire che il pronostico del quarto/quinto posto che tutti o quasi pronosticavano è stato rispettato, anche se rimane l’amaro in bocca per quei punti lasciati qua e là nell’ultimo periodo che sono costati le posizioni di vertice. Però, non fosse altro che per il campionato separato giocato dagli ZSC Lions, non ci si può esimere dall’essere perlomeno soddisfatti per essere arrivati a soli 3 punti dalla seconda posizione, sintomo di grande equilibrio tra “le altre” ma anche della grande crescita avuta dal Lugano da fine autunno in poi.

Inutile star qui a pensare dove sarebbero potuti essere ora i bianconeri senza quei terribili mesi di ottobre e novembre, anche perché l’impressione è che paradossalmente siano state quelle difficoltà a rendere il Lugano la squadra migliore – dopo ovviamente i Lions – tra metà novembre e fine gennaio. La crescita palesata a livello di squadra, quel passo in più fatto con di testa è figlio di una mentalità, quella di Fischer, vincente a altezze estreme, accettata dai suoi giocatori perché sincera, fin troppo a volte, e supportata da una società finalmente più defilata a livello mediatico ma anche completamente dedita alle idee del suo tecnico.

Già si è parlato in lungo e in largo delle scelte dolorose prese in corsa dallo staff tecnico, e allora non vorremmo più dilungarci sugli addii forzati dei grandi nomi dello spogliatoio, ma semplicemente far risaltare il miglioramento avuto da chi è rimasto, o almeno di qualche nome che merita questo accenno. Fischer e Andersson (troppo poco nominato l’ex capitano), a differenza di tecnici precedenti, hanno avuto il coraggio di responsabilizzare non solo i leader designati, ma anche i giovani e i “gregari”.

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Basti pensare alla crescita di Ulmer, il vero e proprio straniero di difesa, che a 23 anni ha preso in mano la difesa bianconera terminando la regular season con 21 punti e uno splendido +18, – quarto tra i difensori della LNA – oppure all’estrema importanza di un’altro U23 come Kostner, leader come esempio sul ghiaccio, dedito al sacrificio e al lavoro sporco come pochi. Bisogna però poi riconoscere come la crescita dei bianconeri sia coincisa con l’arrivo di due stranieri, dell’inarrestabile Pettersson e del sottovalutato Micflikier.

Lo svedese è l’idolo dei tifosi, quando è sul ghiaccio il ritmo e l’intensità cambiano, il potenziale offensivo aumenta e la sua energia naturale contagia tutti i compagni. L’ex biennese invece, quatto quatto, ha segnato in 35 partite ben 16 reti delle quali molte decisive, e a parte un certo comprensibile appannamento all’inizio dell’anno nuovo, sembra essere tornato a fare quello che sa far meglio, ossia dar velocità alla manovra e essere presente sotto porta, anche se meno spettacolare del piccolo svedese.

C’è un altro membro dello staff tecnico bianconero che lavorando più nell’ombra viene poco menzionato e forse sottovalutato, ma il suo impegno è confermato dalla crescita dei portieri, e ovviamente stiamo parlando di Leo Luongo. Il fratello del più famoso portiere dei Florida Panthers ha messo la sua mano lavorando mentalmente con Manzato e Merzlikins, facendo del primo un portiere più costante e sicuro, che sempre più raramente commette errori, e del secondo una sicura promessa, migliorandolo sul piano tecnico e della calma.

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Non voglio certo dimenticare i vari Mclean, Walker, Sannitz o Fazzini, Kparghai o Walsky, tutti protagonisti di un’ottima regular season, ma sappiamo perfettamente qual è la loro importanza e, ahimè, occorre parlare anche delle delusioni. L’ultima, la più grande, è sicuramente quella di aver dovuto interrompere il rapporto con Metropolit, ma anche di Pacman si è già parlato abbastanza e sarebbe ingeneroso continuare con le speculazioni su quello che è ormai un capitolo chiuso.

Tra le altre delusioni c’è sicuramente il nome di Heikkinen, mai più tornato ai livelli a cui ci aveva abituati una stagione fa e qui il fatto che Fischer punti ai quattro attaccanti stranieri non lo aiuta a ritrovare motivazioni ed emozioni. Senza la verve del finnico ne ha risentito anche il power play del Lugano, che se di questo periodo manca di velocità e organizzazione, perde pure l’unico vero “bombardiere” dalla linea blu assieme a Pettersson, e ricordare che le superiorità numeriche possono essere decisive nei play off è eufemisticamente superfluo.

Il power play è una delle debolezze di questo Lugano, apparso nelle uscite a cavallo della pausa per i giochi olimpici piuttosto legnoso e privo di quell’energia che era il marchio di fabbrica della squadra bianconera. Difficile dire se quella palesata nelle ultime sfide sia semplicemente stanchezza o gestione piuttosto rilassata delle energie, quello che è certo è che ora che la squadra è al completo e dal momento che ha ingaggiato tra le sue fila un veloce e enorme pattinatore come Lehtonen, ci si aspetta che nei play off cambi il suo volto. Già, Mikko Lehtonen. Per ora il colosso finnico non sembra aver deluso le attese, ironicamente, nel senso che è esattamente sui livelli piuttosto mediocri che ha sempre tenuto dal suo arrivo in Svizzera. La rete segnata a Zugo può essere un bel toccasana nel suo processo di integrazione negli schemi, ma tant’è che le perplessità rimangono, anche se solo il tempo ci dirà se la scelta è stata proficua.

Ora sulla strada di Mclean e compagni si para il rognoso Ginevra del topscorer della LNA Matthew Lombardi, la squadra più in forma del momento, almeno per ciò che concerne la produzione offensiva. Romy e compagni hanno rifilato a Bienne, Friborgo e Rapperswil rispettivamente alle prime due ben 8 reti e 5 ai sangallesi, denotando però anche un certo squilibrio, subendo sì “solo” 2 gol dal Bienne, ma ben 6 dal Gottéron e 5 dai Lakers. Praticamente l’inverso del Lugano, che se sul fronte offensivo ha le micce un po’ bagnate – 2 reti a partita negli ultimi 5 match – in quello difensivo continua a lavorare bene, con soli 4 gol subiti ultime 3 sfide disputate.

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Volendo guardare ancora più dentro il lavoro difensivo di Hirschi e banda, c’è da sottolineare l’efficacia del box play, che addirittura in 3 contro 5 registra un 100% di riuscita nelle ultime 7 situazioni in cui si è giostrato in doppia inferiorità numerica. Per questo dico che Lugano non deve temere la forza offensiva del Servette, ma dovrà essere bravo a impedire che i granata applichino il loro tipico gioco di rottura a centro pista e alle assi, concentrandosi sulla disciplina difensiva.

E per applicare queste direttive sarà imperativo che i bianconeri tornino a mostrare quello che è stato il loro marchio distintivo, ossia l’energia “perpetua” e la velocità d’esecuzione. Esaltando queste caratteristiche con continuità, l’ostacolo ginevrino potrà crollare, anche consci del vantaggio casalingo a favore dei romandi, cosa che negli ultimi anni si è imparato a relativizzare.

Aldilà delle considerazioni tecniche, delle reali possibilità e della concorrenza, i playoff sono fatti per essere vinti, non per facili vacanze, e solo i vincenti fanno strada. Il primo vincente il Lugano lo ha sulla panchina, a guidare un gruppo diventato sempre più compatto e sicuro di se stesso, al suo apice persino “svergognato”, in senso positivo e ad immagine del suo mentore. Difatti, come c’era da attendersi, nessuno di questo gruppo si è nascosto, l’obiettivo è arrivare fino in fondo.

Inutile star qui ora a temere l’avversario, la trasferta o pensare a eventuali fallimenti, il tempo dei calcoli è finito, comincia quello fatti.

Allora bando alle paure, chi non ci crede si arrenda subito.

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