L’ultima di Sean Simpson sulla panchina della nazionale non è stata di certo tra le più entusiasmanti, e per ultima si intende come stagione agonistica della Nazionale svizzera. Dopo l’ubriacatura dell’argento di Stoccolma di 12 mesi fa, qualcuno ipotizzò che il coach canadese fosse finalmente riuscito a portare definitivamente la squadra rossocrociata tra le elette. A far risvegliare tutti da quel sogno ci hanno pensato dapprima i giochi Olimpici, e pochi mesi dopo i mondiali appena conclusisi a Minsk.
Diciamocelo, la squadra argentata del 2013 ebbe dalla sua molteplici fattori che gli permisero di raggiungere quel risultato. Va riconosciuto che quella messa in pista a Stoccolma fu la nazionale probabilmente migliore di sempre, a livello di collettivo e individualità, con giocatori – citiamo Gerber, Walker, Suri, Hollenstein e altri – che raggiunsero un picco di prestazioni altissimo proprio durante la rassegna iridata, e uniti a star come Josi e Niederreiter alzarono il livello del gruppo proprio al momento giusto.
Il gruppo, appunto, che già a Sochi ma soprattutto a Minsk ha mostrato avvisaglie di leggeri ma significativi cedimenti, con i leader designati come il difensore di Nashville non proprio delicato in alcune dichiarazioni mezzo stampa sull’argomento “impegno” da parte di alcuni compagni. Inutile vivere di ricordi, ma quello del 2013 era un gruppo affiatato, affamato, e con la voglia di riuscire finalmente a raggiungere i posti che contano, ma lasciando anche per i mesi successivi l’impressione che qualcuno di quel gruppo fosse ormai sorprendentemente sazio.
Questione caratteriale, di mentalità e motivazione, problema recondito non solo apparso in maniera poco velata durante questi ultimi mesi in seno alla selezione nazionale, ma conosciuto già anche fra i confini del campionato svizzero. Il fatto che i mondiali di hockey si giochino tutti gli anni e senza dei tornei di qualificazione come nel calcio non aiuta nemmeno i selezionatori, confrontati con chi decide di rifiutare la chiamata ben conscio di avere la chance seguente già dopo 12 mesi.
Sean Simpson anche per questo non ha avuto vita facile durante questi ultimi mondiali e le precedenti partite di preparazione, ma va pur detto che anche alcune sue scelte – Benny Plüss e Stancescu solo per fare due nomi – hanno fatto a dir poco storcere il naso, e anche la squadra, pur se nettamente inferiore agli scorsi tornei è sembrata persino preparata male sul lato della disciplina e della grinta, per ciò che si è visto nelle prime sfide.
Nemmeno la sorte, tanto benevola – ma anche “cercata” da chi ha piena fiducia e tanta fame – durante i mondiali scorsi e avversa durante gli ultimi tornei ha aiutato il coach dimissionario, ma sarebbe inopportuno addossare anche solo una parte delle colpe alla Dea bendata per il quadro generale mostrato negli ultimi mesi.
Sean Simpson aveva un compito, al momento del suo avvento sulla massima panchina svizzera: portare la Nazionale rossocrociata a un livello tale da poter oggettivamente lottare per le semifinali perlomeno ai campionati del mondo e con regolarità.
Il suo doveva essere un lavoro più che altro mentale e tattico, ma aldilà dell’argento storico, unico (speriamo solo per poco) ed esaltante di Stoccolma, non ha mai dato l’impressione di saper dare equilibrio di anno in anno a una Nazionale forte ma non inesauribile, a un gruppo folto ma non numeroso, insomma a una squadra che non poteva (non può?) permettersi di giocare e ambire agli stessi traguardi con due formazioni diverse, ma che deve sempre mostrarsi nel massimo della sua forma e motivazione per non sfigurare.
La prima era moderna della Nazionale svizzera – tralascio il periodo buio, per non dire peggio, vissuto negli anni 90′ – segnata da Ralph Krueger ci ha permesso di uscire dal fango e tornare a dire la nostra nel gruppo A. Il coach canado-tedesco ha dato ai giocatori il coraggio, la disciplina difensiva e tolto quella paura che ci faceva fare brutte figure con l’Italia o l’Austria di turno, Simpson doveva farci fare il salto in più, ma nonostante il fantastico secondo posto, un po’ di amarezza rimane, soprattutto per gli ultimi risultati.
Il prossimo “CT” avrà senza volerlo sicuramente più adesioni alle sue selezioni, non fosse altro che una faccia nuova significa nuove motivazioni e motivi per cui mettersi in mostra, e tutti si sentiranno a un nuovo punto di partenza. La pressione non sarà solo sulle spalle del coach ma anche di chi lo sceglierà, conscio che se Simpson è stato solo un passo avanti, a fronte dei due preventivati, con il prossimo ci si attende finalmente una nazionale pronta a lottare con regolarità per i posti che contano.
Sarà veramente Glen Hanlon a prendere in mano la Svizzera? Sicuro è che una faccia nuova non guarderà quelle che ha intorno, e sicuramente può essere solo un bene.