SVIZZERA – USA
0-3
(0-2, 0-0, 0-1)
Reti: 11’59 Meyers (Bellows, Hughes) 0-1, 16’42 Gaudette (Peeke) 0-2, 54’06 Meyers (Kuhlman, Farrell) 0-3
Note: Helsinki Ice Hall, 3’727 spettatori
Arbitri: Ansons, Ohlund; Kroyer, Van Oosten
Penalità: Svizzera 1×2′, Stati Uniti 2×2′
Assenti: Sandro Aeschlimann, Christian Marti (sovrannumero), Tristan Scherwey (infortunato)
HELSINKI – Poteva e doveva essere il Mondiale giusto, quello dove la Svizzera poteva mostrare al mondo di meritare la nomea di vera contendente per l’oro, il Mondiale dove si sarebbe tornati ad assaporare le magie e le sensazioni meravigliose di Stoccolma e Copenaghen, e magari era pure quello giusto per cercare anche di vincerlo quell’oro.
Invece no, anche Helsinki è amara, come Riga e Bratislava, e il sogno si infrange di nuovo e per la terza volta su quei maledetti quarti di finale. È vero, il torneo iridato di hockey è così corto e “denso” che per forza di cose quattro delle favorite salutano tutti già al primo stadio delle sfide ad eliminazione, ma per la Svizzera le premesse erano certamente altre.
Non solo per il girone chiuso al primo posto imbattuta, non solo per per aver pescato un avversario, gli USA, sicuramente più abbordabile di Cechia, Svezia o Finlandia, ma anche perché i rossocrociati sono arrivati ad Helsinki forti delle loro convinzioni, della loro opportunità di schierare giocatori che sono comunque dei top a livello globale come Timo Meier e Nico Hischier e di avere messo assieme un gruppo coeso, unito e che sa giocare assieme da tanto tempo, e soprattutto con quella grande voglia di rivalsa dopo le lacrime dei giochi olimpici invernali.
È quindi una delusione enorme, anche aldilà delle assenze di Josi, Fiala e Andrighetto, perché l’unica (e prima) partita da non sbagliare, Patrick Fischer l’ha sbagliata sul piano tattico contro un avversario tutt’altro che irresistibile.
E col senno di poi alcune sue scelte gli si sono ritorte contro, almeno sull’aspetto del ringiovanimento della rosa, con un Egli protagonista in negativo sullo 0-2 ma completamente spaesato per tutto il torneo, le scelte rischiose di non avere alternative di vero livello nel caso di defezioni dalla NHL (e guarda caso puntualmente avveratesi) ma questa è pasta da aggiungere alle scelte iniziali, facile avvertire ora a giochi fatti, il dito ora va puntato sulla partita contro gli USA, che fa quasi più male di quell’eliminazione all’overtime contro il Canada a Kosice e quella dell’ultimo Mondiale ai rigori contro la Germania.
Fa male proprio perché nonostante le scelte di cui sopra e gli errori concessi dalla difesa, questa squadra aveva tutti i mezzi per passare oltre la selezione a stelle e strisce, ma arrivata di fronte all’ostacolo non ha saputo prendere le misure per scavalcarlo, tentando inutilmente di aggirarlo senza trovare sbocchi, e soprattutto dopo aver di nuovo bucato il primo tempo, con una rimonta che stavolta non si è avverata, perché onestamente gli USA – seppur non di altissimo livello – non erano neppure la Francia.
E questa sconfitta sta molto nelle mani del selezionatore rossocrociato, che con il passare del tempo ha cominciato a giocare a ranghi ridotti (oltretutto dopo aver perso anche Corvi per una commozione cerebrale), giocando a dischi nell’angolo contro una difesa dal quintale di media, arroccata davanti all’ottimo Swayman in uno slot inaccessibile.
Quinn sull’altro fronte se l’è giocata come meglio poteva, basandosi sulle qualità e le caratteristiche della propria selezione. Difesa rocciosa (ridotta a cinque uomini oltretutto), slot difensivo dominato davanti a un portiere forte e ripartenze sicure e prudenti affidate alla velocità delle sue ali, un utilizzo perfetto ed intelligente delle proprie risorse.
Certo, questo non è un processo al selezionatore rossocrociato, Fischer ha dietro un lavoro decennale che pochi sarebbero stati in grado di attuare per creare una nuova identità e un nuovo ambiente attorno a questa squadra, e sarebbe impensabile solo credere di forzarlo a farsi da parte quando i giocatori hanno di nuovo voglia di indossare questa maglia, con il rischio di tornare indietro di dieci anni.
Il punto è che anche l’ex allenatore del Lugano (come tutto lo staff) deve trovare nuovi sbocchi tattici, crescere nella capacità di leggere le partite, e fare un uso migliore delle risorse, anche se come in questo caso fossero state fatte scelte opinabili a livello di selezione, ma il materiale per andare come obiettivo minimo in semifinale la Svizzera ce l’aveva eccome, ecco perché questa sconfitta fa male ora e ne farà anche in futuro, augurandosi che venga usata per crescere e cercare di fare il passo avanti che si attende.
“Making Miracles”, lo slogan del mondiale finlandese. Alla Svizzera proprio non è riuscito.
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