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Interviste

Fora: “Da Josi mi lascio ispirare, sono arrivato a 100 partite con un gioco duro e semplice”

L’ex biancoblù ha debuttato da settimo difensore: “In questo ruolo devi avere il focus giusto, per restare in partita anche giocando meno del solito. Devi fare le cose semplici, perché il tuo compagno cambia durante il match”

PRAGA – Il difensore Michael Fora fa ormai parte dell’inventario della Nazionale. A soli 28 anni è già al suo quinto Mondiale e nella partita d’esordio contro la Norvegia ha festeggiato la sua centesima partita in rossocrociato.

“Non è scontato arrivare a questa cifra, la concorrenza aumenta sempre, arrivano i giovani da dietro. È sempre un piacere poter difendere i colori svizzeri e continuare a imparare qualcosa da tutti i membri della Nazionale qui presenti”.

Insomma, malgrado tu non sia ancora un vecchietto, stai comunque diventando uno dei veterani. È cambiato il tuo ruolo all’interno della Nazionale, aiuti magari i meno esperti?
“Il mio ruolo è sempre lo stesso, giocare bene difensivamente e provare ad aiutare tutti fuori dal ghiaccio. Ho sempre cercato di dare l’esempio, ma non sono uno che ama tanto parlare, né dentro né fuori dal ghiaccio”.

Come ti trovi qui a Praga?
“Va tutto molto bene, il feeling è buono, anche i nuovi giocatori che si sono uniti dopo si stanno integrando, ci sono ovviamente però appunto ancora dettagli da sistemare”.

Contro la Norvegia sei stato il settimo difensore. È più difficile come ruolo, dato che spesso non hai lo stesso partner e hai cadenze d’impiego magari non sempre regolari?
“Già l’anno scorso mi era capitato di esserlo, effettivamente non mi accade spesso. La prima cosa che ho pensato, è che devo essere pronto mentalmente. La chiave del settimo difensore è proprio il focus, riuscire a restare in partita anche se si gioca meno minuti del solito. Devi giocare il più semplice possibile per avere la migliore intesa con il tuo compagno di linea che per forza di cose cambia durante il match”.

Prima ci dicevi di volere imparare qualcosa dai compagni presenti. Uno su tutti Roman Josi…
“Prima di tutto è una persona fantastica, è molto facile parlargli e chiedergli dei consigli. Sul ghiaccio basta osservarlo, si vede che anche un giocatore come lui nelle partite difficili fa le cose semplici, quelle piccole che di solito sembrano sempre scontate, e le fa molto bene. Per uno come me che si basa su questa tipologia di gioco, duro e semplice, di sicuro serve tutto ciò. Per il resto mi lascio semplicemente ispirare”.

Un po’ di mesi fa intervistai Elias Bianchi. Quando gli chiesi chi fosse stato il suo miglior compagno nella sua lunga carriera, fece il tuo nome, citandoti come esempio per quanto riguarda l’etica del lavoro…
“È davvero emozionante sentire queste parole dette da lui, mi fa molto piacere. Siamo stati per lungo tempo compagni di viaggio in auto quando ci recavamo ad Ambrì. Conosco Elias davvero molto bene. Alla fine è così, io ho basato tutta la mia carriera su questo aspetto, sì ho un po’ di talento, ma quello che ho fatto è soprattutto grazie al duro lavoro dietro le quinte. Penso che Elias lo abbia visto perché era uno dei compagni che più mi stava vicino e da lui ho cercato d’imparare molto nei miei primi anni di carriera”.

Ti manca un po’ l’Ambrì Piotta, hai contatti ancora regolarmente con il club?
“Alcuni amici ovviamente li sento, specialmente Daniele Grassi. In estate durante la pausa sono in Ticino. Ho giocato ad Ambrì con tanti ragazzi con cui sono cresciuto, nei novizi, negli juniori. Sono amici della mia cerchia stretta, ma non solo nel mondo dell’hockey, in generale. Ovviamente però quando sono a Davos vivo la mia vita e gioco nella mia squadra, come è giusto che sia”.

Qual è la differenza principale tra Davos e Ambrì? Forse a livello mediatico nei Grigioni c’è meno stress per voi giocatori?
“Sì a Davos ci sono meno giornalisti, ma non so se mettere questo al primo posto. Alla fine siamo giocatori di hockey e il contorno fa parte di questo mondo. È anche grazie a voi giornalisti che questo sport viene visualizzato e popolarizzato. Al primo posto metterei forse la filosofia, è un po’ differente. Gli allenatori sono molto simili a quelli dell’Ambrì, quindi davvero persone fantastiche, a Davos però c’è forse un po’ più di esperienza nel complesso, penso ad esempio ad Ambühl o a Wieser, oppure a qualche straniero che ha giocato in NHL, con cui mi sono potuto confrontare in difesa. Giocatori che ti danno davvero ispirazione”.

Torniamo al Mondiale, ora sotto con l’Austria…
“Dovremo migliorare i piccoli dettagli, quelli che non ci hanno permesso contro la Norvegia di non incassare reti e poi giocare bene sull’arco dei 60 minuti. È importante migliorarsi continuamente, essere legati in fase difensiva, vale per tutti e cinque i giocatori in pista”.

Hai già sentito il tuo amico Zwerger?
“Onestamente no, non ci siamo ancora incontrati, l’ho visto allenarsi, magari ci incontreremo in hotel alla sera e scherzeremo insieme”.

Dove può arrivare questa Nazionale elvetica? Hai già vinto un argento nel 2018, ma la fame sicuramente non manca al fine di scrivere una nuova pagina storica…
“Certamente, tanti presenti in squadra hanno già vissuto questa emozione, è ancora nella testa di molti. Siamo consapevoli di avere un grande potenziale, la squadra e lo spirito sono veramente buoni, ma prendiamo partita dopo partita, bisogna crescere durante il torneo e arrivare pronti al momento decisivo per performare al massimo”.

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