HELSINKI – Il Mondiale prosegue in direzione di Tampere, ma non per la Svizzera. La Nazionale di Patrick Fischer ha salutato nuovamente il torneo sul più bello, ed il senso di amarezza per essersi fatti eliminare da degli Stati Uniti modesti – ma ben organizzati tatticamente per sfruttare le proprie qualità – non può essere compensato dai discorsi che chiamano in causa una prima fase superata da imbattuti, oppure i progressi nel gioco rispetto alle recenti delusioni di Riga e Pechino.
Dei buoni segnali questa Nazionale li ha sicuramente lanciati, ed anzi è proprio per questo che aver mancato nuovamente l’appuntamento con le semifinali fa male, perché la sensazione è che la Svizzera potesse davvero ritagliarsi un ruolo da protagonista in questo Mondiale. Magari non tanto da poter andare fino in fondo, ma sicuramente per essere lì a giocarsi una medaglia.
Bisognerà insomma trovare l’oggettività per fare tesoro delle buone cose mostrate in quelle sette vittorie preliminari – pur in un girone che, senza la Russia, aveva dei vertiginosi sbalzi di qualità – ma anche per ascoltare attentamente i campanelli d’allarme che già erano suonati contro Kazakistan, Francia oppure Germania. In varie circostanze la Svizzera si è insomma messa in difficoltà, ma aveva trovato le risorse per reagire e fare ancora sue le partite, senza però crescere davvero per arrivare pronta agli impegni più significativi.
“La partita da vincere era quella contro gli Stati Uniti, e non lo abbiamo fatto”, ha commentato Dario Simion con lucidità, ed il ticinese ha sicuramente ragione. Perché di fatto il girone di qualificazione va in funzione della fase finale, e se da un lato è vero che anche i più forti su una partita secca possono essere sorpresi ed avere la peggio – ne sa qualcosa la Svezia – i rossocrociati contro gli States non si sono fatti trovare pronti.
L’avvio di gara è stato nuovamente mancato – un po’ come successo nelle sfide immediatamente precedenti, ma stavolta il blocco è sembrato più mentale – e le due rocambolesche reti degli States le si vedevano comunque maturare cambio dopo cambio. La Svizzera si è insomma paralizzata, nel secondo tempo ci ha provato quasi a convincere sé stessa di poter ancora raddrizzare la situazione, ma di fatto non ha mai lasciato intendere di poter prendere in mano il momentum della sfida. Un gol avrebbe forse cambiato la situazione, ma alla fine le lacune emerse nel corso del torneo hanno presentato il loro conto.
Il Mondiale d’altronde non permette alcun margine d’errore quando si inizia a fare sul serio, e dopo le delusioni degli ultimi anni lo scoglio dei quarti di finale sta iniziando a diventare una maledizione. Inevitabile dunque tornare a riflettere su alcune scelte, come quella di lasciare a casa Raphael Diaz (ma anche Alatalo oppure Loeffel) per puntare su un Dominik Egli apparso subito inadatto a livello internazionale, oppure di privarsi di alcuni elementi come Brunner e Mottet che vedono d’istinto la porta avversaria.
La perdita di Scherwey è stata importante – ed anche in questo senso una “peste” come Mottet avrebbe fatto comodo – ed i mancati arrivi di Josi e Fiala forse hanno scombussolato i piani di Patrick Fischer, ma ora che il Mondiale è concluso le considerazioni dello staff chiamano prevalentemente in causa processi di crescita e sviluppo dei giocatori, e meno la voglia di tornare a vincere.
Una cosa non esclude l’altra, anzi i due concetti si stimolano a vicenda, ma per raggiungere gli obiettivi si dovrà trovare un mix che ha uno sguardo al futuro ma senza la paura di concentrarsi sul presente. La Svizzera sa di poter essere tra le grandi, ma ci vorrà più carattere per non smarrire questa consapevolezza proprio sul più bello.