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Interviste

Berthon: “Due titoli in tasca senza aver giocato i playoff, ma quello del Ginevra lo sento mio”

L’attaccante francese ci racconta la sua particolare stagione: “Sto recuperando dall’infortunio e sono già tornato sul ghiaccio. È stato un anno unico, anche se ho dovuto guardare i giochi che contano dalla tribuna”

“Il suo lavoro nell’ombra non è sempre stato ricompensato con il giusto valore. Eliot Berthon è uno che ha sempre sudato per i colori indossati, ha sempre esclusivamente lavorato per lo stemma davanti alla maglia e non per il nome stampato dietro. È un esempio per i giovani, vederlo lavorare quotidianamente in modo duro. E soprattutto ogni giorno sfodera il suo sorriso e la sua positività. In ogni posto dove è passato ha lascato un’impronta, una traccia indelebile e che rimarrà sempre incisa nelle memorie di tutti i suoi attuali e vecchi compagni di squadra. Eliot è un fratello per me”.

Questa è l’introduzione di Adrien Lauper, suo ex compagno di squadra, dedicata al nostro interlocutore Eliot Berthon. Con il 31enne ex giocatore dell’Ambrì Piotta abbiamo ripercorso l’ultima folle stagione – caratterizzata da un infortunio e da due titoli – e soprattutto l’inizio della sua avventura elvetica, quando da giovanissimo lasciò la sua terra nativa, la Francia, per cercare la fortuna in Svizzera.

Eliot, dapprima una domanda obbligata, come va dopo l’infortunio patito ai legamenti del ginocchio?
“Adesso sto bene. I primi momenti dopo l’operazione stati difficili e duri. È stata la prima volta nella mia carriera che mi sono dovuto sottoporre a un intervento chirurgico complicato. Sono stato operato il 2 febbraio, ho quindi avuto molto tempo a disposizione per recuperare la mobilità e la muscolatura. Adesso sono già riuscito a tornare sul ghiaccio e dovrei iniziare l’imminente campionato normalmente, questo è il mio obiettivo”.

La scorsa annata è stata pazza. Hai iniziato il campionato con il Ginevra, in seguito sei stato girato al La Chaux-de-Fonds, poi è arrivato l’infortunio e infine hai vinto due titoli in un mese…. Altro che un ottovolante…
“Sì, è stato un anno particolare. Il mio obiettivo era di guadagnarmi un posto da titolare a Ginevra, ma la squadra era molto competitiva e giocavo poco. Necessitavo di tempo di gioco, sia mentalmente che fisicamente. Ecco che dunque il trasferimento a La Chaux-de-Fonds mi ha dato una bella spinta. Il mio focus era lì, tutto improntato sui playoff di Swiss League, era meglio che restare a Les Vernets in tribuna. Ero motivato, pieno di gioia e poi poco prima del postseason è arrivato l’infortunio. È stato un colpo duro. Sono stato costretto a dover guardare i giochi che contano dalla tribuna. È un paradosso, alla fine mi sono ritrovato con due titoli in tasca senza aver disputato una partita di playoff. Forse è un po’ il karma che ha girato favorevolmente dalla mia parte, è magari anche la ricompensa per i sacrifici e il lavoro compiuto in questi anni”.

Tua moglie e tua figlia non devono averti visto molto con tutti questi festeggiamenti…
“Con i neocastellani non ho festeggiato, mi trovavo a Ginevra al fine di riprendermi dall’operazione, la fisioterapia aveva la precedenza. Per il titolo con i granata invece ho fatto festa alla grande, ho partecipato alle varie celebrazioni al 100%. D’altronde ero parte integrante della squadra, avevo svolto tutta l’estate la preparazione, avevo giocato durante la regular season e nei playoff ho cercato di aiutare i compagni da fuori, portando positività. Insomma l’ho festeggiato e gustato come se avessi giocato e lo sento anche mio questo titolo”.

Torniamo agli inizi: sei nato e cresciuto a Lione, non lontanissimo dalla frontiera, e poi i sei trasferito a Ginevra a soli 13 anni. Ti senti più francese od ormai più svizzero?
“Domanda divertente. Ho trascorso più tempo della mia vita in Svizzera che in Francia e da oltre un anno ho ottenuto il passaporto elvetico. Mia moglie è svizzera, idem la nostra bambina, ma non si dimenticano le origini. Onestamente mi sento entrambi, sono dunque un francoelvetico direi”.

È stato difficile integrarti? Il piccolo francese che arriva in Svizzera per giocare a hockey, non deve essere stato evidente farsi accettare…
“Durante i primi periodi ho dovuto superare delle prove, non sapevo dove mettere i piedi, per dirla in gergo. Disponevo comunque di buone abilità, ero un buon giocatore. Ciò mi ha aiutato a togliere qualche dubbio in merito all’arrivo di un francese. Certo, dovevo essere migliore degli altri per giustificare la mia presenza. A quei tempi a Ginevra c’era Philippe Bozon, mi ha aiutato molto. In definitiva è andato tutto bene, le varie tappe nel settore giovanile si sono svolte senza intoppi o problemi”.

Con i tuoi genitori lontani, chi si è preso cura di te nei tuoi primissimi anni?
“Abitavo presso una famiglia ospitante assieme a un altro giocatore arrivato con me dalla Francia, ovvero Victor Barbero (ex attaccante tra gli altri di Ginevra, La Chaux-de-Fonds e Ajoie ndr). Dopo un annetto circa la sua famiglia si trasferì ad Annemasse, una cittadina francese nei pressi di Ginevra e mi accolsero presso di loro”.

Certo che non deve essere stato semplice lasciare i genitori, i tuoi cari, in così giovane età…
“A volte non ci si pensa, non si ragiona, ma andare via a 13 anni è davvero presto. Certo è stato duro non vedere più i genitori, il fratello, la sorella e gli altri parenti, è stato un cambiamento grande, anche a livello scolastico. Ma ciò mi ha aiutato a maturare. E poi c’era l’obiettivo, ovvero quello di riuscire a guadagnarsi un posto da professionista in Svizzera. Mi sono sentito un privilegiato, avere la chance di poter ottenere ciò e sapevo che dovevo riuscirci al fine di poter trarre benefici”.

E il piccolo francese c’è riuscito eccome, con alle spalle ormai più di 500 partite nella massima lega, una gran bella cifra. Devi esserne fiero…
“Si chiaramente, sono felice, ma senza i sacrifici dei miei genitori e più in generale della mia famiglia non ci sarei mai arrivato, gran parte del merito va dunque ai miei cari”.

Non molti sanno che tuo fratello maggiore Quentin gioca pure lui a hockey, e ha anche vinto un titolo francese con il Rouen. Raccontaci la sua storia, come mai non ha provato il percorso rossocrociato?
“Quentin è stato all’origine del nostro trasloco. Quando lui aveva 13 anni la nostra famiglia lasciò Lione per trasferirsi a Rouen (la capitale dell’hockey transalpino ndr), proprio per permettergli di poter svolgere l’attività nel modo migliore. Due anni più tardi io dissi che avrei voluto andare in Svizzera e tentare questa strada. Pure mio fratello avrebbe voluto, ma c’era una regola all’epoca. A 15 anni non potevi più giocare nelle categorie dei novizi se arrivavi dall’estero e non avevi precedentemente militato almeno nei mini. Quentin era dunque troppo vecchio. Qualche anno più tardi la regola è stata abolita, ma ormai per lui era troppo tardi. È comunque riuscito a costruirsi una bella carriera in Francia, abbiamo svolto due cammini differenti e spesso parliamo di queste nostre esperienze decisamente diverse”.

Ripercorrendo la tua carriera, a mio avviso la tua più grande delusione è stata la mancata partecipazioni ai Mondiali casalinghi di Parigi nel 2017… Ho ragione?
“Lo sai che ti devo smentire? Non direi. Ho sempre avuto un rapporto un po’ complicato con la Nazionale francese. Sì, ho disputato tre Mondiali, ma non sono mai riuscito a imporre il mio gioco come facevo nei club. Sono sempre stato fiero d’indossare la maglia della Francia, ma per me il club è sempre venuto prima della mia Nazionale. Alcuni colleghi storceranno il naso e non saranno d’accordo, ma per me è così. Io ho sempre vissuto la convocazione con i transalpini come una specie di ricompensa dopo una buona stagione, ho vissuto belle emozioni, quello sì. Ma ribadisco, la mia priorità è sempre stata nei confronti del mio club e quindi la mia più grande delusione non può essere accostata alla Nazionale”.

Hai ancora un anno di contratto con il Ginevra… E dopo?
“Vorrei guadagnarmi un posto da titolare, ma l’obiettivo è di non mettermi troppa pressione, non ho più 20 anni. Bisogna approfittare di questi momenti, goderseli. L’importante è essere pronto a livello fisico, dare il massimo agli allenamenti, mettersi troppa pressione non aiuta. Vorrei giocare ancore per qualche anno, a Ginevra oppure da qualche altra parte. Chiaramente con il maggior numero di stranieri e più in generale con l’aumento della qualità del campionato e con l’avvento di giovani veramente talentuosi diventa sempre più difficile trovare spazio. Ma sono convinto che posso ancora dare qualcosa e mostrare le mie qualità, sono quindi ottimista. Per quanto concerne il dopo hockey sicuramente io e la mia famiglia resteremo qui a Ginevra. Ormai la nostra vita è qui. Ho qualche idea professionale, vedremo. Mi piacerebbe magari restare nel club granata e lavorare con i giovani. Ci sono tante opportunità però anche al di fuori dell’hockey, ad esempio diventare poliziotto potrebbe essere un’opzione per me. Tra l’altro pure Bouby Lauper per un attimo ha avuto questa idea, poi però l’ha accantonata, ma probabilmente lo sapevi già. Essere in un corpo di polizia deve essere un po’ come fare parte di una squadra di hockey, mi fa pensare alla coesione e allo spirito di gruppo. Insomma, vedremo cosa mi riserverà il futuro”.

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