
HERNING – Il Mondiale deve ancora entrare nella sua fase calda, ma per la Nazionale svizzera c’è già stata una serata dalle forti emozioni. L’arrivo a torneo in corso di Kevin Fiala è stato accompagnato da una difficile situazione in cui si è ritrovato l’attaccante e la sua famiglia, con la compagna che negli scorsi giorni ha purtroppo perso il secondo figlio di cui era incinta.
La dedizione alla Nazionale del giocatore dei Los Angeles Kings ha così assunto un significato ancora più importante ed emotivo, con Fiala che ha colpito tutti per la maniera con cui ha affrontato la situazione.
“Per me vestire la maglia della Svizzera è molto importante. Significa rappresentare una nazione intera e giocare per tante persone, ed inoltre amo davvero i ragazzi che compongono la squadra ed il suo staff”, ci ha spiegato l’attaccante. “Ogni volta che ne ho la possibilità voglio dunque dare qualcosa indietro, e non sottovaluto mai l’importanza di giocare in Nazionale. È una cosa a cui do davvero un grande significato”.
Quando giocasti il tuo primo Mondiale avevi solo 17 anni, e ti ritrovasti nello stesso torneo con elementi come Ovechkin e Jagr…
“Sì, non me lo scorderò mai. Vedere quei giocatori sul ghiaccio fu speciale. Da bambino sogni sempre di poter giocare e vivere momenti del genere, ma non avrei mai pensato potesse accadere sul serio. Nella mia mente fu dunque un sogno diventato realtà. Cercai di godermi ogni momento, e fu davvero una grande esperienza”.
Quello fu inoltre un anno in cui giocasti anche il Mondiale U18 e U20. Pazzesco…
“Sì, follia! Era stata una stagione con davvero tanto hockey per me, feci davvero il pieno d’esperienza”.
Ora però sei tu ad essere una delle stelle di questo Mondiale. Con il tempo sei arrivato dove volevi?
“Con il passare degli anni e avendo delle buone stagioni, il tuo livello di fiducia aumenta. Personalmente ho vissuto un’annata positiva con i Kings, ed anche con la Nazionale siamo arrivati a questa edizione del torneo da vice-campioni, dunque le sensazioni sono sicuramente positive. Ovviamente per me la prospettiva è diversa rispetto a dieci anni fa, anche perché dopo così tanto tempo è normale aspettarsi che sia un giocatore migliore. Anche oggi come in passato, mi godo ogni momento”.
Essere diventato papà un anno fa deve però aver cambiato molte cose…
“Ovviamente impari tanto, e la priorità numero uno ora non sei più tu. Ti rendi conto di tanti aspetti della vita a cui in passato non facevi nemmeno caso, e sto davvero apprezzando questo nuovo capitolo. Penso mi stia rendendo una persona migliore”.
Inoltre il fatto di avere il sostegno costante di tua moglie deve essere fondamentale, il mondo dell’hockey ti chiede tanto…
“Sì, anche se lei non è particolarmente appassionata di sport, ma diciamo che è piuttosto una mia fan. Fa qualsiasi cosa per sostenermi, e dunque non posso che ribadire quanto già detto in altre interviste, non potrei avere una moglie migliore. Questo mi dà grande fiducia in tutto quello che faccio, è l’ingrediente imprescindibile per avere successo”.
Perdere la finale a Praga lo scorso anno ha lasciato una ferita aperta in Nazionale?
“Non direi così. Quello che è successo un anno fa, è nel passato. Avevamo dato tutto, ma alla fine non eravamo riusciti a raggiungere l’obiettivo. Fine della storia. È uguale pure se ripenso al 2018. Ora siamo qui con una nuova squadra, ci sono persone nuove ed altre che erano già presenti in passato, ma la realtà è che gli scorsi tornei sono terminati. Quella di giovedì sarà la quarta partita, prendiamo una cosa alla volta e vedremo cosa succederà. Ma siamo eccitati, questo è sicuro”.

Ai tempi della U17 a Zurigo giocavi in una squadra in cui c’erano anche Suter, Malgin e Siegenthaler. Già allora avevi la percezione che quella sarebbe stata una generazione eccezionale?
“È una cosa a cui stavo proprio pensando di recente, ovvero ai giocatori che sono usciti dalla nostra classe di età. Ricordo che all’epoca eravamo molto competitivi, volevamo diventare sempre più forti e non ne avevamo mai abbastanza. Ci spingevamo a vicenda per migliorare, ed eccoci oggi. È una cosa speciale vedere che ci sono qui così tanti ragazzi che facevano parte di quel gruppo”.
Ti ricordi quell’opportunità che avesti nell’overtime della finalissima nel 2018? È un episodio a cui ripensi ancora?
“No, mai. Ora mi ci hai fatto pensare con questa domanda, ma tra pochi minuti me lo sarò già scordato. In questo senso il Mondiale è particolare, perché una volta finito hai praticamente un’estate di tempo per processare quello che è successo. Nei mesi successivi ci avevo dunque rimuginato sopra parecchio, ma era da anni che non tornavo con la mente a quell’episodio. D’altronde non c’è nulla che possa fare, anche quell’anno avevo dato il mio meglio ma si vede che non era destino. Ciò che conta è essere pronti per la prossima chance”.
Hai giocato in vari mercati NHL, tra l’entusiasmo che caratterizza i Nashville Predators e uno stato in cui l’hockey è ovunque come il Minnesota. Come si posiziona invece Los Angeles?
“Ovviamente non è una città che vive di hockey. A St. Paul, in Minnesota, tutti ti conoscono, invece a LA puoi passare inosservato e questa è una cosa che mi piace. Lo stile di vita inoltre è più rilassato, ci sono il sole e la spiaggia, ed inoltre hai la concorrenza di tanti altri sport e celebrità in generale. Non sei sostanzialmente nessuno in quel contesto. Puoi davvero fare di tutto, è una realtà grandissima”.
Dopo la tua prima partita avevi spiegato il triste episodio che hai dovuto affrontare con la tua famiglia. Hai ricevuto molti messaggi di sostegno?
“Sento sempre grande sostegno quando decido di giocare per la Nazionale, ma stavolta ovviamente la sensazione è stata più marcata. Volevo semplicemente che si sapesse la verità. Non c’è nulla da nascondere. Ci sono tante famiglie che si ritrovano in una situazione del genere, ed ovviamente non è bello, ma nessuno deve sentirsi da solo”.

(lakingsinsider.com)
Sei il nominato al King Clancy Memorial Trophy dei Kings per il secondo anno di fila, e ti distingui per la tua fondazione “Fiala’s Friends”. Perché ritieni importante essere attivo anche in questo senso?
“Mi piace molto svolgere questo tipo di attività. È importante per me dare un contributo che vada oltre l’hockey, dunque mi metto a disposizione per visitare i bambini malati e come hai detto ho avviato un mio progetto di beneficenza tramite cui raccogliamo dei soldi. Penso sia importante dare una mano ai meno fortunati nel dimenticare le condizioni difficili in cui si trovano e divertirsi un po’, anche se per loro può essere difficile. Quest’anno c’è anche in programma una partita di beneficenza contro gli ZSC Lions, formeremo una squadra di giocatori NHL i cui nomi verranno resi pubblici presto. Sono molto eccitato per questo evento, che per me sarà il primo in Svizzera”.
L’ultima domanda deve essere sugli Edmonton Oilers. Contro di loro sembrate sempre sbattere contro un muro, sono oramai diversi anni che vi eliminano al primo turno dei playoff…
“Questa è una buona domanda. Sono arrivato a Los Angeles tre anni fa, e nella prima serie che ho giocato contro di loro c’era molto equilibrio, mentre la passata stagione non avevamo avuto alcuna chance. Questa volta però credo che avremmo dovuto batterli, penso che siamo una squadra migliore di loro ed eravamo avanti 2-0, ma abbiamo commesso alcuni errori in momenti chiave, quando avremmo dovuto uccidere la serie e invece abbiamo finito per dar loro vita. Ne hanno approfittato e ce l’hanno fatta pagare. Sono stati bravi a fare le cose giuste al momento giusto, al contrario di noi”.


