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Interviste

Marti: “Sappiamo di avere una buona squadra, ma per vincere serve sempre il massimo”

Il difensore dopo il successo in Gara 3: “Il 95% non basta, questo deve essere ben scolpito nelle nostre teste, è doveroso tenere sempre i piedi per terra. Ora vogliamo essere performanti anche in trasferta”

(JustPictures)

ZURIGO – Il difensore Christian Marti è evidentemente soddisfatto dopo la vittoria ottenuta per 5-1 contro il Davos in Gara 3, che permette allo Zurigo di portarsi sul 2-1 nella serie di semifinale. I Lions sembrano invincibili in casa, questa è stata la tredicesima vittoria consecutiva nei playoff davanti al pubblico amico. C’è una spiegazione?

“Negli ultimi tempi, dopo ogni mia intervista, dico qualcosa e poi succede esattamente il contrario oppure faccio qualche cazzata. Quindi forse è meglio che non dica niente in merito a questa statistica (Marti ride, ndr). Devo proprio esprimermi? È bello giocare in casa davanti ai nostri tifosi, mettiamola così. Credo che l’obiettivo di ogni squadra sia di essere forte nella propria pista, si vuole attirare i fans e offrire qualcosa. Ma non è mica che ci concentriamo solo sulle partite casalinghe pensando semplicemente di vincere quelle e che sia sufficiente, il nostro scopo è anche di essere performanti in trasferta”.

La sconfitta patita a Davos è stata abbastanza stupida, ma avete risposto bene dando l’impressione di essere restati calmi…
“Non so, forse è quello che si capta dall’esterno. Abbiamo i nostri momenti dove potremmo agire meglio. Siamo una squadra simile a quella vincente dell’anno scorso, sappiamo di avere un buon gruppo, ma sappiamo pure che giocare al 95% non basta. Solo se andiamo al massimo possiamo vincere, poco importa chi ci sta di fronte. Questo deve essere ben scolpito nelle nostre teste, è doveroso tenere sempre i piedi per terra”.

La rete del pareggio del Davos, il vostro autogol a porta vuota durante una penalità differita, è stata clamorosa. Era però già successo in questa stagione, a Bienne, quando in quell’occasione eravate stati voi ad approfittarne. A tuo avviso è semplicemente sfortuna, oppure vi siete comportati male?
“Non lo so… Avevamo da tanto tempo il possesso del puck. Dopo un po’, in queste circostanze, diventi goloso, ti ecciti, ti gasi, vedi la giocata e non pensi mica a un’eventualità del genere che porta all’autogol. È una merda, non può succedere. Per fortuna siamo riusciti a reagire”.

Decisiva, direi, la vostra disciplina. Avete incassato molte meno penalità del Davos…
“Assolutamente, è un punto grandissimo questo. Quando giochi tanto in boxplay diventa difficile per tutti. Poi, ovviamente, bisogna fare i complimenti al nostro powerplay, le reti devi segnarle, anche perché una squadra che supera tante inferiorità può tranquillamente portare il momentum dalla sua parte”.

Torniamo indietro a dicembre. Il particolare e insolito cambio dell’allenatore da Crawford a Bayer come lo avete vissuto?
“Eravamo sorpresi, praticamente nessuno si aspettava la partenza di Crawford. Qualche partita immediatamente dopo l’avvicendamento non è andata bene, qualche traccia c’è stata, cambiare un coach è sempre un processo. Lui deve conoscere noi, noi dobbiamo conoscere lui. Siamo noi che giochiamo, ma è lo staff che deve darci l’ispirazione e la linea da seguire. L’allenatore è quello che decide, noi facciamo quello che ci chiede, ma ci vuole un po’ di tempo per trovare l’assetto, l’intesa e capirsi”.

Penso che per Bayer non sia nemmeno stato così semplice entrare in scena all’improvviso…
“Dovresti chiederlo a lui. Chiaramente è un altro tipo rispetto a Crawford, e ci siamo appunto dovuti abituare un attimo. Noi siamo professionisti e dobbiamo saper gestire simili mutazioni. È importante anche non esagerare, volendo magari dare degli aiuti al nuovo arrivato parlando troppo. L’intenzione di fondo è buona, ma bisogna lasciare al nuovo allenatore lo spazio per poter lavorare sulle sue idee senza immischiarsi troppo o prodigarsi in suggerimenti”.

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