PRAGA – La Nazionale svizzera impegnata a Praga è composta da tanti volti noti, tra giocatori stabilmente affermati in patria ed elementi NHL che comunque abbiamo già visto in rossocrociato nelle più recenti edizioni del Mondiale. E poi c’è il portiere Akira Schmid, un elemento tutto da scoprire e che negli anni è un po’ passato sotto i radar degli appassionati vista la sua partenza per il Nordamerica già da giovanissimo.
Il 24enne cresciuto nel Langnau ha giocato la sua prima partita da titolare ad un Mondiale contro la Gran Bretagna, un match in cui è stato raramente impegnato ma che per lui è valso subito lo shutout.
“È stata una giornata davvero speciale per me, ma devo ringraziare la squadra che ha fatto un ottimo lavoro davanti a me. Raramente gli avversari hanno avuto delle buone possibilità, il disco è sempre girato al largo ed il mio lavoro è dunque stato più semplice del solito”, ha commentato il portiere nel giro dei New Jersey Devils.
Spesso però ai portieri non piacciono questo genere di serate. Ricevere poche sollecitazioni è un’arma a doppio taglio…
“Esatto, in quelle situazioni le partite possono diventare insidiose. Solitamente si preferisce ricevere un maggior numero di tiri per essere nel ritmo della sfida. Giocare contro squadre poco quotate inoltre può essere una trappola, non hanno una precisa struttura di gioco come le avversarie più forti, ed allora può sempre capitare il caos oppure il rimbalzo sbagliato che ti mette in difficoltà. Se giocherò altre partite del torneo? In squadra non abbiamo un programma definito per quel che riguarda i portieri, siamo in tre e lo staff gestisce le sue decisioni giorno per giorno”.
Sei partito dalla Svizzera molto giovane, e praticamente non hai mai giocato in National League… Per te far parte della Nazionale è anche un modo per riavvicinarti un po’ all’hockey svizzero?
“È vero, ho lasciato la Svizzera piuttosto presto e capita di non ricordarsi bene come funzionino le cose in patria, specialmente dal momento in cui si supera l’età in cui non si può più essere convocati nelle selezioni giovanili. È dunque bello essere qui, anche se ovviamente ai New Jersey Devils ci sono altri svizzeri e con loro si mantiene un po’ il “sapore” di casa. A Praga siamo però un’intera squadra, possiamo parlare la nostra lingua ed è bello dopo alcuni anni essere di nuovo in un contesto del genere”.
Per la Svizzera il 2026 sarà un anno molto importante… Olimpiadi e poi Mondiali casalinghi. Pensi già a questo scenario?
“Sicuramente la prospettiva di ospitare un Mondiale in casa è qualcosa di eccezionale per il nostro hockey, e guardo con ambizione anche alle Olimpiadi dello stesso anno, le prime per cui sarò eleggibile per la convocazione. Il fatto che si sia trovato un accordo con la NHL per la partecipazione dei giocatori d’oltre oceano ha portato grande entusiasmo, sicuramente farò di tutto per poter essere in quella squadra. Giocare alle Olimpiadi è un sogno che ho sin da bambino”.
In tanti si immaginano già una tua convocazione…
“Ragionare in prospettiva è sempre difficile, questo in generale nello sport. Ogni stagione è buona per vedere il breakout di un singolo giocatore, di cui magari non ci si aspettava un’impennata del livello, dunque guardando al futuro potrebbero esserci portieri a cui ad oggi non pensiamo che raggiungeranno degli ottimi standard. Sicuramente ci sono tanti buoni portieri svizzeri in National League, dunque ovviamente per i prossimi anni dovrò dare il mio meglio per meritarmi la convocazione, non la considero sicuramente qualcosa di automatico. Ma per ora mi concentro sul Mondiale attuale, poi si vedrà”.
Guardando al futuro della Nazionale c’è però preoccupazione per quanto riguarda i portieri. Sono passati i tempi in cui c’erano vari svizzeri tra i pali in NHL…
“Credo che in generale la Svizzera possa vantare dei buoni portieri. Non bisogna dare troppa importanza al numero di portieri che riesce a giocare in Nordamerica, a volte ci sono anche delle situazioni particolari e tempistiche che non rendono possibile un trasferimento oltre oceano. Basti pensare a Genoni, che ha avuto una carriera eccezionale pur non avendo mai giocato in NHL, ma a livello internazionale ha sempre fatto bene. Le leghe europee inoltre non sono sicuramente scadenti, la cosa importante è che le giovani promesse abbiano la possibilità di giocare e svilupparsi, solo così è possibile arrivare ad un buon livello”.
Nell’attuale torneo sei affiancato da Genoni e Berra, una bella opportunità per te di carpire qualche segreto?
“Decisamente sì, ed infatti parlo molto con loro. Chiedo delle loro precedenti esperienze, hanno avuto entrambi delle carriere importanti e sono molto aperti con me. Lo apprezzo tanto, e stanno rendendo la mia prima partecipazione ad un Mondiale più semplice, anche fuori dal ghiaccio”.
Circa un anno fa eri invece il protagonista dell’incredibile serie vinta dai New Jersey Devils sui New York Rangers. È ad oggi l’apice della tua carriera?
“Assolutamente. Era la mia prima serie di playoff, ed avevo davvero i nervi a fiori di pelle. È un ricordo che conserverò a lungo, assieme al mio debutto in NHL, che però in senso generale non era stato in un contesto così eccitante. Contro i Rangers la squadra aveva reagito alla grande alle prime due sconfitte, ho ricevuto tanto aiuto. Anzi, i tiri pericolosi degli avversari non erano stati moltissimi in quella Gara 3. Diciamo che a livello d’immagine ne sono uscito meglio di quanto non fosse stata la mia prestazione (ride ndr)”.
Come hai gestito la pressione di dover giocare al Madison Square Garden una partita fondamentale? Eravate sotto 2-0 ed eravate quasi all’ultima spiaggia…
“Ero davvero nervoso. La notte precedente sono a malapena riuscito a dormire, ero eccitato all’idea di poter giocare una partita dal genere. Però una volta iniziato il match, passando da tutte le proprie routine, le cose sono andate sempre meglio. D’altronde eravamo sotto per 2-0 dopo aver giocato due partite in casa, dunque non c’era molto da pensare ma bisognava semplicemente andare sul ghiaccio e giocare per vincere”.
Quest’anno invece vi tocca guardare i New York Rangers andare lontano… Fa male?
“Ovviamente da giocatore dei Devils è dura vedere i Rangers tra i protagonisti di questi playoff, mentre noi abbiamo compromesso praticamente già nella prima parte di stagione le possibilità di arrivare al post season. Dopo la scorsa stagione a New York hanno lavorato nella giusta direzione durante l’estate e nel corso del campionato, hanno una grande squadra partendo dalla difesa sino ad arrivare alla classe incredibile dei loro attaccanti. E poi hanno quello che è probabilmente il miglior portiere al mondo, ed ovviamente questo non guasta. Igor Shesterkin è semplicemente incredibile. Penso che andranno lontano, ma nei playoff può davvero succedere di tutto”.
Nell’ultima stagione non hai trovato molto spazio in NHL, ed anche in AHL i tuoi numeri non sono stati eccezionali. È stata una stagione deludente?
“In generale possiamo dire che è stata deludente, ma mi sono trovato in situazioni molto importanti che mi hanno permesso di imparare parecchio. Non è stato un anno perso, ha imparato tanto dalle difficoltà. Bisogna accettare che non sempre si può giocare bene, ed i momenti complicati possono durare anche dei mesi. In quei casi devi capire come scrollarti di dosso i problemi, ed ora posso fare tesoro di queste esperienze”.
In stagione New Jersey ha acquisito due portieri via trade… Dopo quei playoff ti aspettavi maggiore fiducia da parte del club?
“Non ho percepito una mancanza di fiducia. Quando mi hanno girato in AHL ho sempre ricevuto delle spiegazioni, sono ancora giovane e sono nel pieno di un processo di crescita. I Devils inoltre hanno un gruppo di difensori con poca esperienza, dunque delle difficoltà in retrovia erano messe in conto. I primi ad essere spediti nelle minors in quei casi sono i giovani, che hanno bisogno di giocare per accumulare esperienza. La franchigia ha inoltre un ottimo sistema in senso generale, il supporto non manca”.
Le aspettative nei tuoi confronti erano però alte, hai dovuto gestire una certa pressione dopo quelle ottime performance nei playoff?
“Non direi che c’era pressione, sapevo di non poter fare una stagione sui livelli di quelle apparizioni nei playoff. Con quelle partite però l’asticella era sicuramente stata posta in alto, dunque vuoi fare il massimo per avvicinarti il più possibile, ma a volte ci sono cose che non puoi controllare. Guardo però la cosa a livello di squadra, sui Devils c’erano tante aspettative e si è commesso l’errore di credere che alcuni risultati sarebbero arrivati semplicemente come se ci venissero regalati. Non è stato così e l’abbiamo pagata. Come squadra – ed anche a livello personale – non abbiamo mai davvero trovato il ritmo, se non un po’ nel finale”.
Vedi dunque il Mondiale come un’opportunità di rivalsa?
“Ora che me lo chiedi sì, potrei vederlo in questa maniera. Ma il focus principale è quello di imparare il più possibile, lavorare bene in allenamento e trarre il massimo dall’esperienza. Sono sul ghiaccio con tanti giocatori ed allenatori che per me sono una novità, ed inoltre il torneo è corto e dunque si lavora con logiche diverse rispetto ad un campionato”.
Il tuo contratto ai New Jersey Devils è in scadenza, cosa ci dici del tuo futuro?
“Mi piacerebbe restare. Mi hanno sempre trattato bene, ma vedremo se mi vorranno ancora oppure no. Durante l’estate si capirà quale direzione vogliono intraprendere. Escludo comunque un ritorno in Europa, voglio restare in Nordamerica e non fare come alcuni elementi che dopo alcuni anni in cui non riescono a stabilirsi in NHL fanno ritorno. Preferisco rimanere nel contesto nordamericano, so di poter giocare a quel livello e l’ho dimostrato. Penso si tratti solamente di trovare continuità e stabilità nel gioco. Da quel che ho percepito dai colloqui di fine stagione ho comunque avuto l’impressione che mi vogliano ancora con loro, ma in NHL non si sa mai cosa può succedere e le cose cambiano velocemente. In questo momento non posso che aspettare”.
Da bambino avevi degli idoli di cui volevi emulare le gesta?
“Il mio portiere preferito era sicuramente Carey Price, e dietro di lui sono arrivati i vari svizzeri che sono riusciti a giocare in NHL. Alla mente vengono ovviamente Martin Gerber, David Aebischer, Jonas Hiller, Reto Berra… Mentre pensando al campionato svizzero l’esempio da seguire è ovviamente Genoni. Ma quando sei bambino cambi idea velocemente, ed il mio portiere preferito cambiava spesso da un periodo all’altro. Ma questi nomi sicuramente sono stati importanti per me”.
Pensando invece al contesto del Langnau chi ti viene in mente?
“Mi ricordo di aver ammirato Robert Esche che, curiosità del caso, ora è il presidente degli Utica Comets. Poi ovviamente ci sono i ragazzi con cui ho giocato, come Damiano Ciaccio e Ivars Punnenovs. Tornando più indietro nel tempo mi ricordo inoltre di Matthias Schoder”.
A Newark la leggenda è invece Martin Brodeur, ancora nell’organizzazione ma al lavoro dietro una scrivania. È spesso a contatto con la squadra, magari per qualche consiglio?
“Ci ho parlato un paio di volte, ma è sempre piuttosto occupato visto il ruolo che riveste nell’organizzazione. Non lo vediamo molto spesso, a dire il vero. Non ho mai ricevuto da lui dei consigli particolare, ma è bello poterci chiacchierare ricordando la carriera leggendaria che ha avuto. È inoltre particolare notare come ai suoi tempi fosse uno dei portieri più alti, mentre oggi sarebbe quasi tra i più piccoli”.
Un’ultima battuta su Nicolas Daws, pure lui nell’organizzazione dei Devils ed impegnato con la maglia canadese. Siete in contatto?
“Siamo tutti nello stesso hotel, dunque mi capita di incrociarlo e scambiamo sempre qualche battuta. Voleva sapere della mia partita e delle difficoltà di ricevere pochi tiri, considerando che lui era tra i pali contro la Norvegia ed addirittura non ha dovuto parare alcuni tiro nei primi due tempi di gioco. Davvero una situazione pazzesca”.