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Lugano

La tempesta è passata, ma non si può smettere di remare

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In tempi non sospetti, era giorno più giorno meno la fine del mese di ottobre, proprio su queste pagine è stata pubblicata una riflessione sullo stato di salute del Lugano e le sue potenzialità. In quel periodo la squadra sottocenerina non se la passava di certo alla grande, la classifica era piuttosto deficitaria, e si era appena concluso l’ormai dimenticato “caso Domenichelli”.

Ora, un mese e mezzo di distanza, il Lugano ha scalato qualche posizione di classifica portandosi sopra la linea, ha superato indenne alcuni momenti durissimi e ha lavorato parecchio sul mercato. La citata posizione in graduatoria ora non che sia tranquillissima, ma può dirsi abbastanza soddisfacente dopo il terribile inizio autunno.

Ciò che più deve interessare non è la sola classifica, bensì come si è arrivati a questo punto della stagione e quali prospettive si possono immaginare, pur in un contesto incertissimo come quello del campionato svizzero. A ottobre qualcuno scaldava già gli animi e fomentava dubbi sulle reali capacità del Lugano e del suo allenatore, ma quasi sorprendentemente, la gran parte dei tifosi bianconeri era fiduciosa e intrigata dalla nuova avventura targata FischerAndersson. Questo perché il sostenitore luganese ha saputo fare un cambiamento mentale che non era così scontato ma dovuto, visti i cambiamenti in atto negli equilibri della LNA e quelli forzati nelle strategie bianconere.

Le strategie, appunto, sono cambiate e sono in continuo progresso, così come le attese negli ambienti vicini alla squadra. Dopo aver resistito ai momenti più bui, la dirigenza si è compattata attorno a Fischer, dimostrando pazienza e fiducia, e i risultati da qualche settimana cominciano a vedersi.

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Il coach bianconero non ha voluto aspettare la prossima stagione per avere un Lugano “suo”, e dopo la cessione di Domenichelli – oltre a quella di Campoli – altri movimenti hanno scaldato l’autunno intorno alla Resega. Se il passaggio di Jordy Murray al Rapperswil può passare per normale cessione, perché in fondo il volenteroso fratello di Brady Murray non è mai riuscito a convincere appieno, il trasferimento di Dan Fritsche ha avuto ben altre risonanze.

Non è un mistero che il nipote di John fosse la “ciliegina” sul mercato di Huras, e che fino alla mancata conferma dell’ex coach di Lugano, Ambrì e ZSC Lions e Berna, i progetti su di lui e le sue stesse aspettative fossero ben altre. E non e ha mai fatto mistero nemmeno Fischer che l’ex ginevrino non fosse il giocatore ideale per il suo credo – e non mi riferisco solo al lato tecnico, basti tornare a certe dichiarazioni di settembre e ottobre – e tenere un giocatore come lui nel terzo o quarto blocco era ormai uno spreco.

Le condizioni di salute di Vauclair e la coperta corta in difesa hanno poi fatto il resto, portando Maurer in anticipo alla Resega, accelerando improvvisamente la trattativa sull’asse Zurigo-Lugano. Decisione condivisibile o meno vedendo la diversa caratura dei due giocatori, ma occorre anche basarsi sull’utilità e sulla “sostituibilità” nei propri ruoli. Visto il mercato svizzero e la rosa bianconera si capisce che, seppur a malincuore, è sicuramente meno difficile sostituire un Dan Fritsche al centro del quarto blocco – con un Dal Pian o un Sannitz ad esempio – che un Vauclair o un Hirschi in difesa, e comprendendo la predilezione dello staff tecnico per una difesa solida e ampiamente coperta oltre che per l’utilizzo dei giovani del vivaio, ben si capisce il perché di tale transazione.

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Detto delle partenze, arriviamo alle “new entry”, partendo da quel Micflikier inizialmente bollato come semplice rincalzo e tremendamente sottovalutato. Non sarà particolarmente spettacolare, l’ex biennese, ma dopo qualche iniziale partita d’adattamento e qualche titubanza nelle ultime giornate, ha sfoderato una media punti maledettamente alta e regolare, piazzando sin qui 10 reti e 8 assist in 19 partite, con un +10 che la dice lunga sull’efficacia della piccola ala, sempre più inseparabile da Brett Mclean, anche lui protagonista di una stagione sin qui da incorniciare.

Se c’è però qualcuno che ha saputo alzare di uno scalino il livello della squadra e in particolare del reparto offensivo, quello è Fredrik Pettersson. Il piccolo campione del mondo, anche lui precocemente giudicato, è un piacere per gli occhi di ogni tifoso e soprattutto un’arma offensiva micidiale, capace di distinguersi in ogni situazione di gioco. L’arrivo dell’ala svedese è coinciso con il recupero di Metropolit, piuttosto apatico e distaccato da problemi privati dopo la pausa di novembre, ma recuperato con intelligenza e raziocinio da Fischer, a conferma anche delle qualità umane e di motivatore del tecnico.

Queste soluzioni hanno permesso al coach di testare – anche con discreto successo – un inedito schieramento a quattro stranieri offensivi, con Heikkinen destinato sempre più spesso alla tribuna, viste anche le prestazioni troppo anonime del difensore. Il tecnico ora dovrà anche confermare le ottime caratteristiche di comunicatore e motivatore non solo con il finlandese, ma anche verso i portieri, con un Manzato che divide il pubblico, un Merzlikins che unisce l’enorme talento all’incostanza data dall’esuberanza giovanile e un Flückiger sulla via del ritorno. Di certo le idee del tecnico nella gestione del gruppo all’inizio hanno fatto storcere il naso, ma il suo modo di pungolare l’orgoglio dei giocatori meno abbienti ha trovato parecchi estimatori, dopo i risultati ottenuti con le sue cure, vedasi nel caso i “pazienti” Metropolit, Walsky, Rüfenacht e Micflikier, tutti passati per il suo divano da psicologo e rialzatisi con forze tutte nuove.

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Con pazienza e qualche “sacrificio umano” si è arrivati ad avere una squadra che strappa applausi anche sotto il profilo del gioco – cosa che non avveniva dai tempi di Slettvoll, per dire – oltre che quello caratteriale, prova di una ricostruzione che sta procedendo bene dopo le difficoltà iniziali.

I bianconeri sono ancora troppo incostanti e immaturi soprattutto dal lato mentale, ma questo fa parte di un normale processo di maturazione della squadra e dello staff tecnico, e da certi errori si può solo imparare e uscire più forti. A due terzi circa della stagione regolare, la posizione di classifica del Lugano non può dirsi di certo tranquilla, ma farsi prendere dal panico o dalla smania dei numeri rischierebbe di rovinare il lavoro messo in atto da Fischer e Andersson, che come detto a fine ottobre sarà ancora lungo e pieno di insidie.

Probabilmente per raggiungere i play off si dovrà lottare con il coltello tra i denti fino alla 50esima giornata. Esserne consapevoli già sin d’ora non mette al riparo da brutte sorprese ma almeno aiuta a convivere con il bagno d’umiltà che la famiglia bianconera ha saputo fare questa stagione, dalla dirigenza, passando per la squadra, fino ad arrivare ai tifosi, mai come quest’anno comprensivi e vicini al gruppo. Tra meno di venti partite saremo ancora qui, a scrivere il terzo capitolo di questa rinascita bianconera, sperando di poter discutere con entusiasmo di un esperimento – che oggi sembra sempre più una solida realtà – riuscito, ma che soprattutto, a costo di scacrificare risultati immediati, sappia porre basi solidissime per il futuro.

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