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Ambrì Piotta

Il Lugano vince un derby vibrante e intenso ma dai mille errori

LUGANO – AMBRÌ

6-3

(3-2, 0-0, 3-1)

Reti: 5’26 Hamill (Fora) 0-1, 8’52 Chiesa (Klasen, Furrer) 1-1, 9’15 Kparghai (KienzleFilppula) 2-1, 9’57 Fuchs (Pestoni, Hamill) 2-2, 10’30 Kienzle (Kparghai, Hirschi) 3-2, 45’37 Klasen (Vauclair, Martensson) 4-2, 51’53 Pestoni (Monnet, Berger) 4-3, 56’55 Sannitz 5-3, 59’02 Hofmann (Kparghai) 6-3

Note: Resega, 7’800 spettatori (tutto esaurito). Arbitri Stricker, Vinnergorg; Kaderli, Kovacs
Penalità: Lugano 4×2′ + 1×5′ + 1×20′ (Chiesa), Ambrì 8×2′

LUGANO – A leggere la classifica viene automatico e logico pensare ad un derby dai contenuti poveri, almeno sul piano tecnico-tattico.

Il Lugano era in pieno vortice negativo dopo l’allontanamento di Patrick Fischer e reduce dall’ennesima pesante sconfitta, patita stavolta alla Tissot Arena da parte del Bienne. Christian Wohlwend, pur con tutta la buona volontà del caso, non è riuscito a indurre bianconeri la reazione attesa almeno sul lato caratteriale, e con fuori ancora Brunner, Walker e Steinmann, il coach ad interim ha tentato di dare un assetto più equilibrato e “operaio” alla squadra. Il rimescolamento ha visto la nuova separazione degli svedesi e la promozione di Reuille e Morini come ali nei primi due blocchi, presentando così terzetti d’attacco inediti.

Pelletier dal canto suo ha presentato la stessa squadra che è stata battuta venerdì dal Davos, al termine di un incontro ben giocato dai biancoblù, ma che contro gli smaliziati grigionesi hanno pagato col prezzo massimo diversi errori individuali. Il coach leventinese poteva comunque contare su una squadra che ha dimostrato di lottare e di mettere sul ghiaccio lo spirito di gruppo, qualità che mancava terribilmente sul versante bianconero.

Gli uomini di Wohlwend hanno però dimostrato di sapercele ancora mettere, seppure con la confusione tattica che contraddistingue il momento del Lugano – impossibile pensare che pochi giorni cambiassero qualcosa – ma perlomeno il derby ha risvegliato in loro un certo ardore. A giovarne, con il tutto miscelato alla verve che l’Ambrì Piotta sa mettere in pista è stato lo “spettacolo” in pista, soprattutto in un pirotecnico primo periodo.

Intendiamoci, entrambe le squadre hanno messo in pista dettami tattici da mani nei capelli, creato una zona neutra più somigliante a un deserto di sale, e buchi difensivi di dimensioni bibliche. Pelletier e Wohlwend con  gli attacchi di cuore, ma pubblico perlomeno divertito e appassionato.

Al primo periodo, terminato sul 3-2 per i bianconeri – tutte le reti cadute nel giro di 5’ – ha fatto seguito un secondo tempo uguale per “qualità” (sigh) ma senza reti, nonostante i tre pali colpiti da Lugano, di cui uno in shorthand e quello di Giroux in power play.

Nessuna rete nei secondi 20’ minuti, ma perlomeno è stato derby, con scaramucce, provocazioni e ribaltamenti di fronte, e i due portieri erettisi a protagonisti da applausi in ben più di un paio di riprese, con Merzlikins particolarmente attivo sulle scorribande di Monnet e banda, troppo spesso liberi di tagliare in due il terzo difensivo del Lugano.

Il leitmotiv della serata è andato avanti anche per il terzo tempo, di nuovo equilibrato, ma con la solita selva di errori su un fonte e sull’altro. Pestoni ha saputo rispondere a Klasen riaprendo il match, ma Sannitz e Hofmann hanno chiuso la contesa proprio durante l’ultimo tentativo vero di rimonta biancoblù, apparso poco lucido e tardivo.

Il Lugano torna a respirare, e soprattutto torna a mostrare la grinta mancata nelle ultime trasferte, difficile dire se sia un segnale di ripresa o semplicemente l’aria del derby, fatto sta che dai bianconeri ci si aspettava perlomeno un carattere diverso.

Inutile pretendere o sperare che in questi giorni Wohlwend possa fare molto sul piano tecnico-tattico, ma il coach a interim luganese ha avuto il merito di mescolare i blocchi e ridare alla squadra un certo smalto di lavoro e sacrificio, anche se per i miracoli non è ancora attrezzato.

Sul fronte leventinese c’è da mangiarsi le mani per le numerose occasioni sprecate e per i grossolani errori che hanno causato occasioni da rete o power play, ed è un peccato per il cuore che questa squadra mette in pista. Difficile dire se certi errori veramente clamorosi siano di natura tattica o per limiti tecnici dei protagonisti, fatto sta che la fragilità difensiva messa in mostra pure dai biancoblù deve far preoccupare lo staff tecnico.

Alla fine questo derby lo ha vinto – brutto dirlo ma è la realtà delle cose – il meno peggio. Ossia un Lugano che ha saputo sfruttare meglio i momenti chiave in fase offensiva, come i power play, e che ha trovato in Merzlikins – subentrato a uno sfortunato Manzato, infortunatosi dopo 8 minuti – un portiere in grande forma e spesso decisivo.

Per entrambe le squadre il lavoro da fare è enorme, con un Lugano in attesa di una guida tecnica e alla ricerca di un’identità, prima ancora che di un gioco, e un Ambrì che non può più permettersi certi errori, quelli che sono costati un weekend da zero punti e l’ultimo posto in classifica.

fattore2

SFRUTTARE GLI ERRORI ALTRUI: Lugano e Ambrì hanno dato vita a un derby intenso e piacevole, ma sul piano tecnico-tattico è stato disastroso.

Si sapeva che avrebbe vinto chi avesse commesso meno errori, o meglio, sfruttato meglio quelli dell’avversario. Così a vincere il derby è stato il Lugano, ed è giusto, ma se lo avesse fatto l’Ambrì nessuno avrebbe avuto da ridire.

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