KLOTEN – Chi la dura la vince. Dalla paura di dover smettere, alla promozione con il Kloten. Sandro Zurkirchen ripercorre per noi il suo lungo cammino, un mix tra hockey e famiglia.
Sandro, dopo un anno di assenza (a eccezione di 4 partite disputate con il Ginevra tramite licenza B) torni a calcare il palcoscenico più prestigioso, quello di National League, che sensazioni provi?
“È semplicemente fantastico aver raggiunto il grande obiettivo della promozione. È stato anche il fattore predominante per cui avevo deciso di firmare a Kloten. Non è stata una passeggiata. Da fuori la gente e i media ci hanno sempre dipinti come i grandi favoriti, ma sapevamo di dover affrontare un percorso impervio condito dal duro lavoro, insomma bisogna sempre giocare prima di tutto. Ci sono tanti elementi che entrano in gioco nell’arco di una stagione, è stato un lungo processo di sviluppo e alla fine siamo stati premiati”.
E tornare sul ghiaccio, dopo i tanti problemi di salute patiti a causa di una commozione cerebrale nell’ultimo campionato disputato a Lugano, non era per nulla scontato…
“Si è trattato di un periodo molto duro, quando è la testa a essere colpita è sempre delicato. Ho dovuto stringere parecchio i denti. Ho trascorso tre mesi senza disputare alcuna partita, non stavo bene, ho avuto molto disturbi agli occhi. Una volta rientrato ho nuovamente incassato un colpo e praticamente mi sono portato dietro i sintomi della botta sino in estate. Ho avuto un sacco dubbi in merito al recupero. In quei momenti ti fai tante domande, ti chiedi se sarai ancora in grado di svolgere il tuo lavoro. Sì, ho avuto paura di dover appendere i gambali al chiodo”.
Invece fortunatamente Zurkirchen si è ripreso e in coppia dapprima con Dominic Nyffeler e poi nel postseason con Tim Wolf è arrivato al sospirato traguardo. Coppie di portiere forti, una soluzione vincente…
“Io credo che la concorrenza sia sempre positiva e aiuta a fornire prestazioni migliori. Sono sempre motivato sapendo di avere al fianco un ottimo elemento. L’importante è collaborare, non bisogna ad esempio essere gelosi l’uno dell’altro, è imperativo spingersi reciprocamente al fine di migliorare. Inoltre si può sempre imparare da un abile collega”.
E in questo senso Zurkirchen la sa lunga, nel corso della sua lunga carriera ha fatto coppia ad esempio con portieri del calibro di Markkanen, Schäfer e Huet. Nella stagione a venire la musica non cambierà, a contendergli il posto negli aviatori ci sarà il forte finlandese Juha Metsola…
“Sono in effetti abituato, non è nulla di nuovo per me, d’altronde sempre più club puntano ad avere due estremi difensori validi. Come già detto prevale l’aspetto positivo. Quando ero a Zugo avere al mio fianco Markkanen è stato un grande vantaggio. Era espertissimo, a mio avviso Jussi è stato uno dei migliori estremi difensori di sempre ad aver militato in Svizzera. Il suo livello mi impressionava, sicuramente ha influenzato la mia progressione. Idem con Huet, l’ho avuto come compagno durante un campionato a Losanna e in quello successivo è stato il mio allenatore. Momenti fantastici, mi ha aiutato molto pure riguardo al mentale e in tutto ciò legato all’off-ice e alla preparazione”.
A proposito di Markkanen, qual è stata la tua reazione all’ingaggio di suo figlio Juho da parte del Lugano qualche mese or sono?
“Mi sono sentito molto vecchio, è incredibile come passa il tempo, me lo ricordavo in quel di Zugo, era un ragazzino di una decina d’anni. Dopo aver appreso la notizia ho immediatamente scritto a suo padre”.
Non solo gli ex colleghi hanno aiutato il 32enne a formarsi, un’altra persona importante nella sua carriera è stata Michael Lawrence, l’attuale allenatore dei portieri dei bianconeri. Il canadese lo allenò anche durante la sua prima avventura ticinese, quella leventinese,,,
“Con Mike ho uno splendido rapporto di amicizia. Lui è un grande professionista, lavora meticolosamente ed è attentissimo ai dettagli. Ho potuto approfittare molto del suo know-how. Ci sentiamo ancora spesso. Partecipavo anche ai suoi campi estivi di allenamento che teneva Oltreoceano, purtroppo però a causa della pandemia negli ultimi anni non ho potuto presenziarvi”.
Nel complesso hai già disputato oltre 350 partite nella massima lega, un numero importante, sei uno che guarda le statistiche?
“Spero se ne aggiungeranno molte altre. Osservare i numeri a volte è interessante, anche durante la stagione, senza però interpretarli a fondo. A me interessa ad esempio la media di reti incassate a incontro, cerco sempre di restare al di sotto dei 2 gol subiti al fine di dare al mio team una chance di vincere il match”.
Nella stagione 2012-13 disputasti tre partite con il Turgovia accanto a tuo fratello Claudio, quali sono i ricordi in merito?
“Lo Zugo mi prestò per due anni alla società di lega cadetta, nella prima giocai più di 40 partite, nella seconda, quella in cui appunto giostrava mio fratello minore, ne disputai solamente tre dato che Markkanen ebbe un lungo infortunio. Fu molto speciale, le prime e uniche volte dove potemmo giocare insieme. Nemmeno nelle giovanili, a causa della differenza di età (Claudio è di due anni più giovane ndr), fu possibile. Le mie prestazioni furono catastrofali, ero sempre troppo impegnato a osservare mio fratello e dunque distratto. Ogni tanto ci capita ancora di discuterne, sono belle emozioni”.
È un desiderio, magari tra 5 o 6 anni, tornare a giocare assieme nelle fila del Seewen, tu in porta e lui in attacco?
“Da parte mia eccome, decisamente. Credo che dipenderà da lui. Essere attivi massimi livelli amatoriali in MySports non è evidente. Ogni anno Claudio è sempre combattuto tra lo smettere e il continuare a causa degli impegni scolastici e lavorativi”.
Il Seewen è la società di punta dell’hockey svittese, Zugo e Rapperswil sono realtà vicine al tuo cantone di origine, eppure siete pochissimi a giocare nel massimo campionato, come te lo spieghi?
“È una bella domanda, a cui è difficile dare una risposta. Ai miei tempi oppure a quelli di Bürgler era più difficile andare a giocare nell’EVZ rispetto a oggi. Ora è più facile spostarsi in generale, ci sono addirittura dei ragazzi che varcano il Gottardo per andare sino ad Ambrì. Il livello dell’hockey diventa però sempre migliore, l’asticella si alza continuamente ed è più difficile fare il salto di categoria, a volte è anche questione di fortuna. Inoltre non tutte le famiglie possono assumersi le incombenze e i carichi necessari a sostenere i propri figli. I miei genitori hanno dovuto fare sacrifici enormi ai tempi per permettermi di svolgere questa passione a determinati livelli”.
L’ultima domanda riguarda la sfera privata, la vita da babbo del piccolo Henrik. Con un nome del genere è un predestinato a seguire le tue orme…
“Chiaramente si pensa subito a Henrik Lundqvist (l’ex grande portiere dei New York Rangers ndr), ma pure Zetterberg (ex stella svedese che militò durante il lockout nello Zugo ndr), di ruolo attaccante, si chiama così (afferma sorridendo ndr). Non abbiamo però scelto questo nome per onorare uno di loro due, semplicemente ci piaceva. Ovviamente mi piacerebbe se dovesse seguire la mie orme, ma spetterà a lui svolgere le attività che lo divertiranno in base alle sue passioni. Ad agosto compirà 4 anni, adesso possiamo fare tante cose insieme, siamo già andati sul ghiaccio a pattinare. È una fase magnifica, ogni giorno si vedono i progressi che compie, capisce sempre di più. Durante il campionato, la notte prima di una partita, mia moglie fa la parte del leone e devo ringraziarla, io posso dormire e prepararmi a puntino. Logicamente nel complesso le pause ora sono più corte rispetto a prima, al bimbo non importa mica delle mie partite, di eventuali vittorie o sconfitte, ma è bellissimo così”.