
ANGLET – Era una delle maggiori promesse del nostro hockey. In fondo bastano due partecipazioni ai Mondiali U18 al fianco di Nico Hischier a rendere l’idea. Oggi, a 27 anni, Dominik Volejnicek dopo quattro stagioni nel Sierre – dove era uno dei leader – ha decisamente cambiato ambiente hockeistico e milita nella massima lega francese.
Il lucernese nella scorsa estate si è trasferito ad Anglet. La cittadina di circa 40’000 abitanti, praticamente attaccata alla rinomata località balneare Biarritz e a Bayonne – città famosa per la sua storia e l’arte – dista nemmeno 30 km dalla frontiera spagnola e quindi dai Paesi Baschi. Anche Pau, una delle “capitali” del Tour de France e spesso punto di partenza per affrontare le mitiche salite pirenaiche come il Tourmalet, si situa a soli 100 km di distanza. Lourdes infine, una delle mete di pellegrinaggio più importanti al mondo, è a due ore di auto.
Insomma, la zona è conosciuta per tante attrazioni e peculiarità, ma non certo per l’hockey. Con il figlio d’arte, prodotto dell’EVZ, abbiamo parlato di questa sua nuova avventura decisamente fuori dai canoni.
Dominik Volejnicek, come ti trovi in Francia?
“Direi bene. La qualità di vita, l’organizzazione del club e tutto il resto sono ottimali e professionali. Sono qui con la mia compagna e il mio cane, mi sento quindi come a casa. Purtroppo a livello sportivo all’inizio ho avuto qualche difficoltà, mi sono in effetti infortunato, ho dovuto essere operato e il recupero è durato parecchie settimane, quindi non ho ancora ingranato a dovere (1 assist in 13 partite, ndr).
Come mai questa scelta? In fondo a Sierre (42 reti e 58 assist in 4 anni) eri uno dei giocatori chiave…
“Stavo giocando la mia quarta stagione con Sierre, con l’avvento di McSorley erano in corso diversi cambiamenti. Avevo captato verso il finale del campionato che lui non aveva una grande considerazione di me, non era un mio fan. Mi ero dunque già guardato un po’ attorno in Svizzera, ma ormai si sa che la Swiss League attualmente vive un periodo difficile finanziariamente parlando. Quando a marzo i dirigenti vallesani mi hanno definitivamente comunicato che non rientravo più nei piani, ho cominciato concretamente a cercare delle altre soluzioni. La mia volontà era di giocare in un club di Swiss League di alto livello, oppure cercare qualcosa all’estero. Fare nuove esperienze, conoscere nuove realtà è qualcosa che mi ha sempre affascinato”.
Come sei arrivato dunque alla decisione di firmare ad Anglet, e com’è nato il contatto?
“A marzo, quando appunto sapevo che non sarei rimasto a Sierre, ho chiesto al mio agente di sondare tutto il mercato estero. Mi sono detto che ci sarebbe pur stata una qualsiasi squadra interessata al sottoscritto. Poco importa dove. Il mio desiderio era di finire in una massima lega di qualsiasi campionato. Certo, è raro che uno svizzero cerchi un posto all’estero, ma ero fiducioso che si sarebbe trovata una soluzione. Il mio agente ha spulciato tutte le leghe, in particolar modo quella ceca, dove non sarei contato come straniero visto che ho pure il passaporto ceco. Anche l’Austria era un’opzione, ma lì investono su stranieri ancora migliori. In Danimarca e in Norvegia i club non hanno risorse così buone come in Francia. Oltretutto in Francia si possono schierare 10 stranieri, il mio agente ha dunque contattato tutte le squadre transalpine. Due società erano interessate e alla fine ho firmato con l’Anglet”.

Qual è stata la reazione di famiglia, amici ed ex compagni di squadra? Qualcuno ti ha detto che eri fuori di testa?
“Diciamo che all’inizio parecchie persone mi hanno guardato sbalorditi. Parliamoci chiaro, la Svizzera è un paradiso dell’hockey, ci sono ottimi stipendi e trasferte brevi. Qualsiasi giocatore che non vuole giocare in Svizzera di base è un mezzo folle (Volejnicek ride, ndr). La mia famiglia si è voluta rassicurare, mi ha veramente chiesto parecchie volte se fossi sicuro di questa decisione e se fosse una buona cosa. Io ero però certo della mia scelta. Già prima di addentrarmi nella ricerca mi ero informato se sarebbe potuto essere interessante fare questo passo. Avevo parlato e chiesto informazioni a diversi conoscenti in merito. Il livello della Lega Magnus è buono, due o tre squadre potrebbero giocare anche in NL, penso ad esempio a Grenoble e Rouen. Ora che è passato un po‘ di tempo, parecchi amici e familiari mi contattano per avere novità e informarsi su come stia andando la mia avventura. C’è molto più interesse rispetto a prima quando militavo in Swiss League“.
È comprensibile in fondo, anche perché giochi in un luogo dove tanti altri vanno in vacanza. Hai il tempo per fare il turista?
“Sì, il tempo c’è, specialmente durante le pause dedicate alla nazionali, ma devo dire che ho sottovalutato un po’ il tempo rigenerativo. Qui in Francia, ad eccezione di Bordeaux che dista a tre ore di torpedone, le distanze sono molto lunghe e le trasferte in sostanza durano praticamente sempre due notti di bus. Una all’andata e una al ritorno. Quindi quando sei a casa, sei contento se puoi stare nel tuo letto. Comunque è bello visitare città nuove e farsi un’idea della regione”.
Pure Bilbao e San Sebastian sono a un tiro di schioppo, ci vai ogni tanto a fare il turista e a goderti la vita basca?
“A San Sebastian sono già andato con la mia compagna e mio padre, che era in visita di cortesia. In soli 45 minuti di treno ci si arriva, è comodissimo. È una città molto grande, davvero speciale. Un’altra chicca molto bella è la cittadina di Saint-Jean-de-Luz, in riva al mare, veramente deliziosa. Di base però noi frequentiamo maggiormente Anglet e le città limitrofe, quindi Biarritz e Bayonne”.
Ho visto che la vostra pista, “la Patinoire de la Barre” è praticamente sulla spiaggia, in riva all’Oceano Atlantico…
“La regione è un po‘ la Florida francese, per così dire. Attualmente ci sono 19 gradi, ma ci sono ancora compagni di squadra che dopo l’allenamento tolgono subito i pattini, indossano il costume da bagno e le ciabatte e si tuffano nel mare per rinfrescarsi. È veramente particolare uscire dallo spogliatoio e ritrovarsi immerso tra la sabbia. A me fa ancora più strano, pensando appunto che negli ultimi quattro anni ero tra le montagne vallesane. Qui invece è veramente una regione balneare, io mi godo molto le passeggiate in riva al mare”.

Quanti spettatori avete? In città si respira un po’ di hockey o sei un perfetto sconosciuto, una sorta di “esotico”? Ho visto che alcuni nomi leggendari hanno vestito la maglia dell’Anglet in passato, come ad esempio il mitico Brian Propp o l’ex Losanna, Serge Poudrier…
“Al momento credo che noi hockeisti possiamo ancora essere considerati una specie di “esotici”. Qui è il rugby a farla da padrone, ci sono sino a 17‘000 spettatori a quelle partite. Noi ne abbiamo all’incirca 1’500, ma c’è da dire che è anche più o meno la capacità massima del nostro impianto, dunque giochiamo sempre con il tutto esaurito. Questo vale per diverse altre realtà francesi. A Marsiglia ad esempio si gioca davanti a 5‘500 spettatori, a Bordeaux ce ne sono 4‘500, a Rouen 3‘500, è sempre tutto pieno. Insomma, ci sono molti più spettatori che in Swiss League, però ecco, quando io giro in città con la mia auto raffigurante lo stemma del club, la gente spesso fa fatica a posizionarla rispettivamente a identificare di cosa si tratta. La speranza è che presto l’interesse aumenti, in questo senso c’è un progetto per costruire una nuova pista che dovrebbe sorgere tra circa un lustro”.
Com’è il livello dell’Anglet? Concretamente una sfida contro il Sierre come finirebbe?
“È difficile da dire, anche perché il Sierre quest’anno è al top ed è tra le favorite di Swiss League. Io credo che sarebbe una partita combattuta. Da noi possono appunto giocare ben 10 stranieri e oltretutto c’è un altro stile di gioco. Qui è tutto più fisico, anche per me è stato un problema all’inizio. Lo sapevo, intendiamoci, ma non mi aspettavo una tale differenza. I giocatori qui sono tutti più alti e pesanti, non sarebbe evidente per una compagine svizzera adattarsi a questo tipo di hockey. Forse il Sierre vincerebbe di poco contro di noi, ma di fronte a un Bordeaux, Rouen, Angers o Grenoble perderebbe nettamente”.
Parliamo un po’ di te. Da teenager sembravi avere un grande potenziale. Hai giocato dei Mondiali U18 al fianco di gente dal calibro di Hischier, Siegenthaler, Kurashev, Malgin, Thürkauf. Ciò ti rende fiero, oppure prevale la sensazione che avresti potuto fare di più nella tua carriera?
“È un aspetto su cui ho riflettuto molto negli ultimi 3-4 anni. Guardando a ritroso ho compiuto un paio di errori nella mia carriera, c’è poi stata anche qualche frenata dovuta agli infortuni. Ad esempio a Zugo, quando avevo potuto disputare i miei primi incontri in NL, mi sono infortunato quasi subito e persi tre mesi. Ricevetti una nuova chance, ma non andò bene, giocavo perlopiù nell’Academy e la differenza di livello tra la SL e la NL era parecchia, era dunque durare rifare superficie. In seguito scelsi di andare a Losanna, ma lì in quegli anni c’erano tanti soldi e di conseguenza molti giocatori in rosa. Era durissima farsi largo. Fui prestato al La Chaux-de-Fonds, dove feci molto bene. I neocastellani volevano ingaggiarmi, ma avevo ancora un anno di contratto con i vodesi. Avrei dovuto rescindere il mio contratto e accasarmi aux Mélèzes. Non lo feci, fui girato nuovamente in prestito a Sierre. Intendiamoci, non fu una cattiva opzione, ma lì c’erano sempre 2 o 3 giocatori che ricevevano un ruolo migliore. Io sono quindi rimasto sempre un po‘ nell’ombra e così ho perso tempo, malgrado abbia trascorso dei buoni anni a Sierre”.
Nel tuo curriculum vanti anche un anno in Svezia, nella U20 del Malmö. Con te giocava un giovane Marcus Sylvegard, il forte svedese del Bienne…
“Avevo 18 anni, fu un’altra bella esperienza, un altro modo per scoprire di più tutto quello che ruota attorno al mondo hockeistico e per farmi un’idea più chiara. Ero uno dei migliori svizzeri della mia classe di età a quei tempi, volevo scoprire una nuova nazione e misurarmi con altri ragazzi. In Svezia mi resi conto che c’era una massa di elementi migliori di me, o perlomeno una quindicina per squadra che avevano almeno il mio livello. Ho visto la realtà con i miei occhi, un’altra rispetto a quella della piccola Svizzera. In Svezia c’è una grandissima formazione, solo i migliori riescono davvero ad arrivare al professionismo e in alto. Sylvegard? Aveva un anno in meno di me, ma ricopriva già un ruolo importante all’interno del team. Suo papà inoltre era il presidente o il direttore sportivo del club. Marcus voleva sempre vincere, ma in fondo questa è una mentalità tipica di tutti gli svedesi”.
Hai ancora contatti con fenomeni come Hischier, Siegenthaler, Kurashev e via dicendo?
“Con le star di NHL no, ormai ognuno va per la sua strada. Nell’hockey le carriere e quindi i sentieri si dividono. Ho perlopiù contatti con i ragazzi cresciuti assieme a me a Zugo, penso ad esempio a Calvin Thürkauf o Joren Van Pottelberghe per citarne due molto conosciuti in Ticino”.
La tua famiglia ha lo sport nelle vene. Tuo papa Zdenek negli anni ’70 e ’80 ha giocato in LNB per Lucerna, Ginevra, Zugo, La Chaux-de-Fonds e Ajoie. Che ruolo ha avuto nella tua carriera, è stato un esempio?
“È tuttora un esempio. Grazie a lui sono arrivato all’hockey, d’altronde non c’era altra scelta. O disco su ghiaccio o niente. Ho iniziato a calzare i pattini all’età di 3 o 4 anni. Il babbo mi ha sempre allenato e accompagnato alle partite analizzandole. Lo fa tuttora, siamo in contatto quotidianamente, continua a darmi consigli e osserva sempre tutti i miei match. A volte ci sono differenze di vedute tra noi, ma appunto, lui è sempre stato presente per me ed è sempre stato l‘unico a essere onesto. Questo ancora al giorno d’oggi, continua a dirmi cosa faccio bene e cosa no“.
Come mai il babbo arrivò in Svizzera dall’allora Cecoslovacchia?
“Si torna indietro al 1968, la Primavera di Praga. Diversi cittadini cecoslovacchi potevano decidere a quell’epoca se rimanere in patria o emigrare in un altro Paese. I miei nonni scelsero la seconda opzione e avevano tre possibilità per andare in posti in cui si era accettati: Svizzera, Sudafrica o Nuova Zelanda. Sono decisamente felice che abbiano optato per la soluzione elvetica. Mio papà era un ragazzino, giocava già ad hockey e in Svizzera continuò a esercitare questa sua passione”.
Prima parlavi di “hockey oppure nulla”, ma tua sorella Chiara è stata invece professionista di tennis. Qualcosa non torna…
“(Dominik ride di gusto, nrd). In effetti sono due le attività di famiglia. Mio padre in sostanza trascorreva il suo tempo con me, mentre la mamma si occupava di mia sorella con il tennis. Chiara aveva un grande potenziale, ha giocato per 2-3 anni da professionista, ma poi si ruppe un ginocchio proprio nel suo momento migliore. Fu costretta a una pausa forzata di nove mesi e poi dovette scegliere se continuare con il tennis o mettere le basi al fine di avere la sicurezza di un futuro professionale. Scelse la seconda possibilità. Oggi continua a giocare, ma solo come hobby”.
E tu? Ormai gli anni passano anche per te. Sei il classico tipo che vuole giocare il più a lungo possibile, oppure inizi a pensare al dopo hockey?
“Sono un po‘ cambiato negli ultimi due anni, anche appunto a causa della situazione finanziaria problematica della Swiss League. Chiaro, io fondamentalmente vorrei giocare il più a lungo possibile, ma per farlo c’è bisogno di squadre economicamente forti. È quindi doveroso farsi dei pensieri in merito al futuro. Mi piacerebbe restare nel mondo dell’hockey, ottenere i vari diplomi e poi diventare allenatore. Per quanto concerne la mia carriera nell’immediato futuro vedremo, gradirei giocare un secondo anno all’estero, ma dipenderà appunto dalle mie prestazioni nei prossimi mesi”.
Dominik, ti ringraziamo per la tua disponibilità, non prima però di chiederti qual è Il tuo rapporto con il Natale e dove lo trascorrerai…
“Non ho un rapporto particolarmente speciale con questa festività. Resteremo ad Anglet, siccome abbiamo solo un paio di giorni liberi, quindi non vale la pena rientrare in Svizzera. Lo festeggerò con la mia compagna e il nostro cane. Abbiamo ricevuto un paio di prodotti elvetici dai genitori, probabilmente ci gusteremo una buona fondue, sarà dunque un po’ come essere a casa”.


