Vi dicono nulla i nomi Mark Hardy e Ken Baumgartner? Scommetto che alla maggior parte di chi legge sorge un punto interrogativo alla vista di questi due nomi. Ebbene, i due citati non sono altro che due giocatori che in una certa maniera hanno scritto una pagina dell’hockey svizzero, una pagina che prima dell’avvento di internet e dei database storici sullo sport in pochissimi conoscevano.
Mark Hardy fu il primo giocatore nato su suolo svizzero a segnare una rete in NHL, episodio avvenuto nel 1980 quando giocava nei Los Angeles Kings. Hardy, difensore da 900 e rotte partite tra Kings e Rangers è figlio di Lea Hardy, straniero del Sankt Moritz alla fine degli anni ’50, periodo in cui nacque appunto Mark a Samedan.
Ken Baumgartner invece (dal nome un po’ più familiare) è stato il primo giocatore dal passaporto rossocrociato ad andare a segno in NHL, e lo fece anche lui con la maglia dei Los Angeles Kings circa sette anni dopo Hardy. A dire la verità Baumgartner è svizzero a metà, figlio di emigrati grigionesi stabilitisi in Manitoba e possidente quindi di doppia nazionalità canadese ed elvetica, e di lui serbono ricordi soprattutto a Coira, sua squadra di appartenenza nella stagione 1986/87.
Veniamo al punto, sfogliato gli almanacchi e sfoltito le cittadinanze, il primo giocatore svizzero di nascita, di origine e di passaporto a segnare un gol in NHL è stato Reto Von Arx con la maglia dei Chicago Blackhawks il 7 ottobre del 2000.
Un momento storico per l’hockey svizzero, ancora poco considerato anche perché la nuova era della Nazionale, quella di Ralph Krueger e che ha di fatto segnato un bivio per il movimento elvetico, era cominciata da poco e i giocatori rossocrociati erano ancora considerati piuttosto provinciali e non dotati del carattere necessario.
Sarebbe stato Mark Streit qualche anno dopo a tracciare la via, ma fin lì le avventure nel campionato più bello del mondo dei pionieri Pauli Jaks, dello stesso Von Arx e Michel Riesen erano state molto brevi.
Ma quel giorno di inizio ottobre e di nuovo millennio, il nativo di Bienne ha comunque scritto la storia dell’hockey svizzero con una maglia prestigiosa, la stessa cosa che ha fatto per tutta la sua carriera sulle piste di casa. Draftato al nono turno dalla franchigia di Chicago, Von Arx debutta sul prestigioso palcoscenico nordamericano il 5 di ottobre, già alla prima giornata contro i Buffalo Sabres.
I Blackhawks stanno attraversando una lunga crisi, le soddisfazioni targate Quenneville, Toews, Kane e compagnia bella sono ancora lontane all’orizzonte, in panchina c’è una vecchia conoscenza dell’hockey svizzero a scommettere su Von Arx, quell’Alpo Suhonen – ultimo coach europeo in NHL – che aveva già visto le gesta del centro quando era allenatore del Kloten e in seguito dell’ultimo Zürcher SC prima che diventasse ZSC Lions.
Il coach finnico aveva preso in mano la squadra da Lorne Molleken, il quale l’aveva ricevuta da Craig Hartburg, in un andirivieni di allenatori che troverà stabilità qualche anno più tardi con Brian Sutter e poi con il leggendario “Coach Q”. Contro i Sabres alla prima giornata Von Arx viene già schierato per ben tredici minuti, senza segnare alcun punto, ma in molti si accorgono che la classe di quel giovane svizzero va ben oltre le basse aspettative degli addetti ai lavori.
Bastano infatti altri due giorni al numero 17 per timbrare il cartellino nella data fatidica del 7 ottobre contro i Columbus Blue Jackets, alla loro prima partita assoluta nella storia e nei quali gioca anche un certo Petteri Nummelin, fino a pochi mesi prima compagno di squadra di Von Arx a Davos e prossimo a scrivere la storia in bianconero.
Contro la squadra di Dave King il bernese trova addirittura una doppietta, dapprima con un gran tiro dallo slot angolato su bell’assist di Anders Eriksson e poi con un facile (si fa per dire) tocco sotto porta dopo un aggiramento della gabbia da parte di Steve Sullivan. La partita finisce con una vittoria per 5-3 dei Blackhawks, ma soprattutto con le due reti di Von Arx, che per l’hockey svizzero in piena evoluzione a cavallo del nuovo millennio significano moltissimo.
Von Arx è stato infatti anche il capitano della nazionale rossocrociata che pochi mesi prima era stata protagonista di un bellissimo sesto posto e del miracolo contro i padroni di casa della Russia, e come portabandiera nella sua avventura in NHL ha aperto un varco nello scetticismo verso il nostro hockey.
Purtroppo, nonostante un’altra rete in 19 incontri, Von Arx non ha intenzione di passare una stagione nelle minors come prospettato dal trasferimento a Norfolk in AHL dopo l’avvicendamento in panchina tra Suhonen e Denis Savard, il quale gradisce giocatori più presenti sul piano fisico e combattivo rispetto al tecnico Von Arx.
La sua presenza nella luccicante NHL è di breve durata (più lunga e significativa comunque di quelle nello stesso anno di Michel Riesen e Thomas Ziegler) ma è stata un altro scalino superato dalla Svizzera dopo la toccata e fuga di Jaks a metà anni ’90, e ha in un certo senso aperto un primo varco per altri decisi a tentare la fortuna oltreoceano.
Von Arx deve comunque moltissimo ad Alpo Suhonen per il suo debutto, un allenatore che conosceva a menadito l’hockey svizzero, grande conoscitore della nostra realtà e che lo aveva visto muovere i primi passi da professionista sulle piste elvetiche, il primo a credere nelle possibilità del bernese di sfondare in NHL.
L’unico limite di Von Arx è stato quello di dar prova che le “star” svizzere non erano del tutto caratterialmente pronte al grande salto e anche lui non volle pazientare una o due stagioni in attesa di uno scambio verso una franchigia che ponesse basi migliori rispetto a quella in piena crisi di Chicago.
Ad ogni modo anche in quel breve periodo Von Arx è riuscito a scrivere una pagina di storia dell’hockey e dello sport svizzero, una delle tante che vedremo portare la sua firma nel nuovo millennio.