Ci sono grandi giocatori, altri che vengono considerati campioni, ed altri ancora invece finiscono nella leggenda. È a quest’ultima categoria che fa parte Andrew James Bathgate, conosciuto più semplicemente come “Andy” e che nel 1971 decise di lasciare il Nordamerica per vivere un’avventura nella lontana Europa.
Lontana soprattutto nella quotidianità, per lui che a New York per oltre un decennio era considerato una vera icona. Il suo numero 9 riposa infatti sotto le volte del Madison Square Garden, dopo una carriera eccezionale che lo aveva visto ottenere 1’008 punti in 1’123 partite NHL. Alzò al cielo la Stanley Cup nel 1964, quando a metà stagione venne scambiato ai Toronto Maple Leafs, mentre nel 1959 interruppe il dominio di Gordie Howe strappandogli l’Hart Trophy come miglior giocatore della lega.
Una carriera leggendaria, appunto, ma in quegli anni l’eco delle sue gesta difficilmente arrivava in Europa, figuriamoci nella piccola realtà hockeyistica ticinese. Tutto cambiò però in una calda mattinata d’estate.
Era il 30 luglio 1971 quando scoppiò la notizia: l’Ambrì Piotta aveva ingaggiato una vera stella della NHL, il sesto miglior marcatore di tutti i tempi, che sarebbe arrivato alla Valascia per rivestire il doppio ruolo di allenatore e giocatore. “Un mostro sacro”, lo definì la stampa dell’epoca. “Un arrivo che avrà l’effetto di una bomba nel piccolo mondo dell’hockey svizzero”.
A rendere possibile il contatto tra il club leventinese e la stella NHL fu il cecoslovacco Jiri Kren che – dopo aver portato in Valle il canadese Bob Hall solo un anno prima – approfittò di un suo viaggio negli Stati Uniti per sondare il mercato. Proprio in quel periodo si venne a sapere l’intenzione di Bathgate di prendersi una pausa dalla NHL, una sorta di anno sabbatico in cui avrebbe volentieri militato in Europa, scoprendo una nuova realtà e mantenendosi nel contempo in allenamento.
Quella che sembrava una missione impossibile divenne velocemente una concreta possibilità, a partire dalla telefonata che Kren fece all’allora dirigente Bertino Guscetti, come raccontato nel 2016 in un articolo firmato da Alcide Bernasconi. “È un’occasionissima”, ed immediatamente Guscetti convocò Cipriano Celio per scoprire di più sul giocatore grazie ad un annuario NHL. Le statistiche erano incredibili e nel giro di pochi minuti venne riunito l’intero comitato dell’Ambrì Piotta, che era ancora alla ricerca di uno straniero per rinforzare la squadra.
Le cifre che regolavano il mercato in quegli anni erano chiaramente modeste, e nel suo viaggio di “scouting” a Kren era stato indicato un budget massimo di 18-20mila franchi. Per portare alla Valascia il canadese c’era però bisogno di uno sforzo in più.
“20mila dollari, questo è quello che chiede”, affermò dall’altro lato del telefono Jiri Kren, ben consapevole che con il cambio dell’epoca quello significava chiedere alle casse biancoblù di mettere sul tavolo ben 80mila franchi. Alla fine arrivò il via libera, quella era una chance più unica che rara ed il rischio si poteva correre.
La firma arrivò il 26 luglio 1971 e l’annuncio ufficiale qualche giorno dopo. Una volta giunto in Leventina e superato inizialmente qualche problema di comunicazione – il compito di fare da interprete era affidato allo stesso Kren – il debutto assoluto in biancoblù avvenne in amichevole a Milano, quando l’Ambrì sfidò i Diavoli Standa. Alla partita di preparazione oltre confine si presentarono oltre 600 tifosi biancoblù, e come loro anche la stampa rimase a bocca aperta.
“Bathgate è uomo di manovra – questo il primo giudizio – non uno showman quanto un cesellatore. Un giocatore che sa correre sui pattini ma che solitamente non corre in quanto, intelligentemente, fa scivolare il disco. Insomma: un professionista inserito in una squadra di dilettanti”, si leggeva l’indomani sui quotidiani.
La differenza tra Bathgate ed i suoi compagni – oltre ad essere evidente – si rivelò essere anche un problema. Il giocatore aveva portato ad Ambrì i dettami della scuola canadese, ma non fu semplice trovare dei compagni di squadra che potessero comprendere il suo modo di giocare e dunque essere efficaci al suo fianco. Per il debutto ufficiale il 16 ottobre in casa del Kloten il compito venne affidato a Jiri Kren e Danilo Butti.
Quella prima partita contro gli aviatori entrò negli annali ancor prima di avere luogo, tanto era l’attesa di vedere Bathgate in pista. Il canadese Ian Campbell, giocatore e allenatore del Kloten, scelse l’unica tattica possibile per cercare di fermare il fenomeno biancoblù, ovvero una stretta marcatura a uomo affidata a Heinz Lüthi.
Quest’ultimo sin dal primo ingaggio cercò di innervosire l’avversario gridandogli nelle orecchie ad ogni cambio “Bathgate, no goal!”, ed inizialmente la tattica funzionò. Andy – che non era certo noto per la sua tolleranza alle provocazioni, una sua discata volontaria in pieno volto a Jacques Plante rese evidente la necessità di introdurre le maschere per i portieri – rimediò immediatamente dieci minuti, ma al suo rientro in pista il registro cambiò.
L’Ambrì si impose infatti per 8-3 e Bathgate mise la firma addirittura su quattro gol e tre assist, rimandando al mittente i dubbi di chi era scettico visti gli infortuni che avevano contraddistinto il suo passato, tra cui dei problemi al ginocchio che l’avevano accompagnato per tutta la carriera. In quella stagione finì per ottenere 35 punti (20 gol) in 21 partite.
Ad ammirare le gesta di Bathgate – il primo canadese della NHL a trasferirsi in Europa – era presente addirittura un giornalista del New York Times, che raccontò al pubblico della metropoli la piccola realtà in cui stava vivendo il loro beniamino. A tutta pagina si poteva leggere di alte montagne, di giornate sulle piste da sci di Airolo, e di una gita a Venezia in un weekend di pausa.
“Il Ticino mi è rimasto nel cuore”, aveva commentato anni dopo.