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Interviste

Spylo: “A Bienne trovai un posto speciale, era casa mia ma oggi sarebbe dura tornarci”

In molti ricorderanno il canadese per il suo irresistibile tiro di polso: “Passavo ore ad esercitarmi sul ghiaccio e nel garage di casa, anche fissando il disco alla paletta con una corda. La Svizzera? Trovai finalmente stabilità”

(Postfinance/PHOTOPRESS/Marcel Bieri)

Chi se lo dimentica quel suo mitico tiro di polso? Probabilmente nessuno. Ahren Spylo ha deliziato le platee soprattutto a Bienne, quando dal 2010 fino al 2016 è stato uno dei leader della compagine bernese. In totale durante la sua carriera in NL il canadese ha realizzato 100 reti e fornito 92 assist.

Il suo marchio di fabbrica era appunto quel tiro: così forte, così preciso, così difficile da leggere per i portieri avversari. Oggi 40enne, l’ex attaccante ha ormai cambiato vita.

Prima di iniziare a porgli le domande, è lui a voler sapere com’è la vita in Svizzera e com’è il tempo. È sorpreso e rallegrato della nostra chiamata, ci definisce dei veri hockeyjunkies e non possiamo dargli torto. Infine aggiunge che il suo tedesco è arrugginito dato che dal rientro in Canada non lo usa più e quindi è meglio conversare in inglese.

Ahren, innanzitutto come stai?
“Sto bene, sono tornato a vivere nella mia città d’infanzia, ovvero a Waterloo in Ontario. Qui sono nato e ho trascorso i primi anni della mia vita. È bello essere tornato in questo posto, dove conservo tanti bei ricordi da ragazzino, mi ha fatto piacere rivedere le facce note e tornare a frequentare i vecchi amici”.

Professionalmente cosa fai?
“Mi occupo di mercati immobiliari, sono un broker e ho acquisito la licenza per esercitare. Lavoro in sostanza nella ditta di famiglia. Mio padre ha sempre operato in questo campo. Anche mio fratello Adam, pure lui ex giocatore, lavora con noi. Per me era naturale in definitiva continuare l’attività e la tradizione. Io mi occupo spesso dei bisogni di conoscenti e gestisco i loro affari appunto in ambito immobiliare”.

L’hockey fa ancora parte della tua vita, giochicchi ancora?
“Ogni tanto ho qualche richiesta, qualche amico magari mi chiede di partecipare a qualche partitella o evento, ma onestamente non ho più fatto nulla. A volte ho pure delle richieste per aiutare a svolgere qualche mansione in qualità allenatore, ma per il momento mi limito a dare dei consigli”.

(PostFinance/PHOTOPRESS/Gabriele Putzu)

Non ti manca l’hockey giocato?
“Ormai la mia vita è cambiata, tutto è differente. Certo a volte mi capita di pensare a quando ero ancora un giocatore. Spesso mi capita di parlarne con la gente in loco, d’altronde i canadesi, specialmente appunto nella zona di Toronto, adorano l’hockey e amano parlare di questo sport, l’interesse è molto alto”.

Waterloo è nei pressi di Toronto, ma pure Buffalo e Detroit non sono distanti. Vai ogni tanto a vedere qualche partita NHL?
“Sono andato ad esempio a guardare i Maple Leafs nei playoff lo scorso anno. È stato veramente divertente, si respirava una grande atmosfera. In città c’è stato un vero boom per l’hockey negli ultimi anni, dopo qualche periodo magari un po’ più buio. In generale mi piace andare a vedere lo sport, ad esempio a volte mi reco allo stadio per seguire qualche partita di football americano”.

Dal Canada alla Svizzera. Si può dire che sia stata una sorta di tua seconda casa, specialmente a Bienne?
“Sicuramente, è proprio così, Bienne era casa mia. Ci ho trascorso tanto tempo, ho costruito tante relazioni. Era tutto così piccolo in sostanza, tutto così familiare. È stato un periodo folle, magnifico, quando arrivai non sapevo cosa aspettarmi. Era proprio un’altra vita. Rientrare a Waterloo è stato un grande cambiamento per me”.

Sei tornato a Bienne in questi ultimi anni a trovare i tuoi vecchi amici?
“No, è un sentimento difficile da descrivere. Mi piacerebbe tanto tornare a fare una visita, anche se poi forse sarebbe dura ripartire nuovamente. Ho visto veramente tanti posti splendidi in tutta la Svizzera”.

Gli anni a Bienne sono stati i migliori della tua carriera?
“Sì decisamente. All’inizio della mia carriera ero sempre in una sorta di loop. Praticamente ogni anno ripartivo da zero, con qualcosa di sconosciuto, di nuovo, era una sorta di follia. Dovevo integrarmi, conoscere la nuova realtà, tutto cambiava. Sono passato dalla AHL, alla Svizzera, poi la Germania, in seguito la KHL e così via. A Bienne trovai la stabilità, tutti mi apprezzavano. Insomma è un posto speciale per me”.

(PostFinance/PHOTOPRESS/Marcel Bieri)

Hai giocato nel vecchio Stade de Glace e nella nuova Tissot Arena. Quale impianto preferivi e perché?
“Non ho una preferenza, per me è stato speciale giocare in entrambe le piste. Quando arrivai a Bienne si parlava già di una nuova arena, ma c’era scetticismo. Era una sorta di leggenda, in pochi ci credevano, sembrava un sogno più che altro. Noi giocatori sentivamo un po’ la pressione, dovevamo fornire dei buoni risultati per aiutare nell’impresa. Giustificare insomma con buone prestazioni l’importanza di una nuova costruzione. Infine la Tissot Arena arrivò per davvero. Fu molto eccitante partecipare alla sua stagione inaugurale, ovviamente era molto comoda e dotata di tanti lussi rispetto allo spartano Stade de Glace. Anche quella vetusta pista però era fantastica per me, con quei vecchi spogliatoi. Era la nostra casa, la nostra identità”.

Torniamo allo Spylo giocatore. Il tuo polsino era incredibile. C’era un segreto?
“Due cose direi. Dapprima allenarsi tanto. Non solo sul ghiaccio. Io passavo ore e ore a tirare contro la porta del garage di casa. È sempre importante fare tanta pratica nel movimento del tiro. Ciò vale per qualsiasi sport, non solo nell’hockey, anche nel golf o nel baseball ad esempio. Devi trovare la tecnica, il movimento, il bilanciamento giusto e adatto al tuo corpo rispettivamente fisico. La seconda? A volte applicavo una corda sulla paletta del bastone, vi fissavo il disco e poi lo colpivo. Più lo facevo, maggiore diventava la potenza del mio tiro”.

Hai avuto tanti infortuni nella tua carriera. Ne risenti ancora oppure a livello fisico stai bene?
“È frustrante quando subisci certi infortuni, come quello che ebbi al ginocchio. Fu molto serio, durante la stagione del lockout, era l’ottobre del 2012. Incassai una brutta carica e la mia stagione terminò. La classe arbitrale a mio avviso in generale in Svizzera non tutela abbastanza la salute dei giocatori. Rientrai in Canada a fare la riabilitazione e nel campionato successivo riuscii a tornare sul ghiaccio. Non è stato un periodo facile, anche perché in qualità di straniero tutti si attendono sempre tanto da te. In generale sto bene, certo qualche piccolo acciacco c’è, ma è normale. Vado a correre regolarmente e francamente mi sento quasi più in forma di quando ero un giocatore (Spylo ride ndr)”.

(PostFinance/PHOTOPRESS/Sandro Campardo)

Riesci a spiegarci la famosa storia del cambio di nome? Quando arrivasti in Svizzera per la prima volta nel 2006 ti chiamavi Nittel, il nome di tua madre, poi qualche anno dopo, al tuo ritorno, ti ripresentasti con il nome Spylo…
“Onestamente non so nemmeno io tutti i retroscena. Io ero un ragazzino, a me francamente del nome non me ne importava. Mia mamma aveva tanti parenti a Waterloo, tra cui i suoi genitori, a differenza di mio padre. Eravamo molto legati ai nonni e quindi si scelse il nome Nittel. Quando arrivai in Svizzera io risultavo germanico e quindi il nome Nittel andava bene in sostanza. Quando poi mi trasferii in Germania, i funzionari comunali mi dissero invece che il mio nome legale era Spylo e non Nittel. Non so come funziona la burocrazia e che storia si celasse dietro. Quindi presi il nome Syplo e rimase tale”.

Ancora un’ultima domanda, hai dei sogni che ti piacerebbe realizzare?
“Non lo so. Sono un tipo che preferisce vivere alla giornata e si gode la vita. Forse un giorno sarebbe bello tornare nel mondo dell’hockey, magari in qualità di allenatore. Nella mia carriera ho avuto tanti coach, ho vissuto tante esperienze hockeistiche in diverse parti del mondo. Magari sarebbe bello poter dare un po’ del mio vissuto ad altri. Ma non parlerei di un sogno”.

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