BERNA – Per l’ex biancoblù Cory Schneider il viaggio in Europa con i suoi New Jersey Devils rappresenta un piccolo tuffo nel passato, anche se per il portiere con passaporto svizzero non ci sarà alcuna occasione di giocare prima del ritorno negli Stati Uniti.
Costretto ad un’operazione all’anca al termine della passata stagione, il 32enne sul ghiaccio di Berna ha potuto solamente allenarsi, ed anche per il debutto in regular season in calendario sabato dovrà lasciare spazio al backup Keith Kindaid.
Il pensiero di dover attendere non gli ha però tolto il sorriso, visto che una nuova visita in Svizzera dopo il lockout del 2012 era tra i desideri di Schneider da diverso tempo.
“Questa è la prima volta che torno in Svizzera dopo il lockout”, ci ha spiegato. “Sono stati anni molto pieni, e dall’ultima volta che ero qui sono diventato papà di due bimbi. Quando ho scoperto che saremmo venuti in Svizzera durante il preseason l’idea mi è subito sembrata eccitante, è bello poter essere qui e vedere nuove zone del paese. Quando ho giocato nell’Ambrì è stato stupendo vivere in Ticino, ma ho apprezzato molto l’opportunità di passare del tempo nella città di Berna”.
Quali ricordi serbi di quel breve periodo passato in Svizzera?
“Durante il lockout io e mia moglie avevamo apprezzato particolarmente la qualità di vita che c’è nel vostro paese. È una nazione perfetta in cui vivere, ed inoltre la prossimità con l’Italia apre tantissime opportunità. In quel periodo avevo poi potuto giocare la Coppa Spengler di Davos, e ricordo dei paesaggi assolutamente stupendi. Abbiamo degli ottimi ricordi e, chi lo sa, magari un giorno faremo ritorno, ma per ora spero di avere ancora una lunga carriera in NHL”.
In pista invece cosa ti aveva colpito?
“Dal punto di vista sportivo giocare il derby contro il Lugano è stato fantastico. Naturalmente non vi avevo mai preso parte, e tutti i giocatori che per la prima volta disputavano quella sfida sono rimasti colpiti dall’ambiente creato dai tifosi. È una rivalità particolare ed è stato divertente farne parte per una volta. L’entusiasmo che si respira regala delle sensazioni che sono sicuramente diverse rispetto a quelle a cui siamo abituati negli Stati Uniti”.
Un’atmosfera particolare la si vive anche alla PostFinance Arena. Stavolta non hai giocato, ma il Berna lo avevi sfidato nel 2012 in biancoblù…
“Mi ricordo quella partita, è stata piuttosto complicata (ride, ndr). Il Berna aveva diversi bravi giocatori, tra cui Tavares e Josi, oltre ad avere una squadra già dal principio molto attrezzata. Eravamo riusciti a tenere la sfida in bilico per un po’, ma per finire gli orsi avevano trovato il modo di segnare. Ricordo un pubblico incredibile, un po’ come nel match di cui siamo stati ospiti qualche giorno fa tra Berna e Bienne. È bello pensare che tutti i ragazzi nella nostra squadra abbiano potuto vivere questa particolare esperienza”.
La NHL sta cercando di espandere i propri confini con il concetto di Global Series, da giocatore cosa pensi di queste iniziative?
“L’obiettivo è quello di espandere l’hockey il più possibile, dunque la trovo una buona idea. Tante persone amano questo sport, che è però giocato in maniera diversa a dipendenza della nazione in cui ci si trova. La lega svizzera è diversa da quella russa, che a sua volta è diversa dal campionato svedese. La NHL sta dunque cercando di mostrare al mondo il proprio stile di gioco, così da conquistare altri fans con il nostro modo di vivere l’hockey. Allo stesso tempo si ha l’occasione di celebrare alcune squadre locali come il Berna, facciamo tutti parte della stessa grande famiglia”.
Ti piacerebbe giocare qualche stagione in Svizzera al termine della tua carriera in NHL?
“Il passaporto svizzero è qualcosa di cui vado fiero. Pensando all’hockey questo potrà sicuramente aprirmi delle porte, nel caso in cui avrò ancora voglia di giocare nel momento in cui il mio percorso oltre oceano sarà arrivato al capolinea. Per ora è ancora un pensiero lontano, ma dopo le belle esperienze avute mi piacerebbe tornare prima o poi”.