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Interviste

Schafhauser: “L’hockey una grande passione, Lugano una famiglia”

GRANCIA – È difficile resistere all’empatia di un uomo che sorride alla vita come pochi altri saprebbero fare dopo che il destino gli ha portato via l’uso delle gambe. Basta una calorosa stretta di mano per capire che quell’uomo ha molto da insegnare, lui che nella sua vita ha trovato un ostacolo, in quella maledetta notte a Davos di 20 anni fa, ma che quell’ostacolo lo ha superato, trasformandolo in una nuova partenza.

Mentre lo intervistiamo (ma più che un’intervista è una bella conversazione con una persona di cui si ha l’impressione di conoscere da sempre) Pat Schafhauser non viene perso un secondo dallo sguardo fiero di sua moglie Anna e delle sue due figlie, che lo accompagnano ovunque: “Sono la mia vita, mi danno la forza di affrontare col sorriso ogni mia giornata”.

Vicino a lui un pannello con una sua fotografia dei tempi in cui giocava per il Lugano fanno riaffiorare vecchi ricordi, e tornare a Lugano è sempre qualcosa di particolare:

“Per me è sempre emozionante tornare a Lugano, i ricordi sono tanti ed è bellissimo poter incontrare di nuovo vecchi amici che ancora oggi si ricordano di me, mi sento a casa, come in una grande famiglia. Inoltre sono felicissimo di rivedere i compagni con cui sono rimasto in contatto e che mi hanno sempre sostenuto nei momenti difficili, come Jean-Jacques Aeschlimann. Peccato solo per il tempo, avrei voluto che la mia famiglia potesse godersi questa piccola vacanza in un posto bellissimo come il Ticino con il sole, ma siamo tutti contenti di essere qui”.

Appena arrivato in Ticino hai assistito alla partita tra Lugano e Ambrì Piotta… Nonostante il momento difficile delle due squadre hai apprezzato lo spettacolo?
“Assistere al derby contro l’Ambrì Piotta è stato emozionante e dopo tanti anni ho avuto ancora i brividi in quell’ambiente fantastico. Mi sono accorto che la carica di adrenalina che ti da questa partita non se ne va mai, e avevo voglia di scendere sul ghiaccio a giocare! Per la mia famiglia è stata la prima volta a un derby ticinese, e sia mia moglie che le mie figlie sono rimaste a bocca aperta di fronte a quella atmosfera. È stato bello vedere il Lugano vincere e sarò sincero: tutto questo mi manca moltissimo”.

In quel Lugano che hai visto nel derby ci sono diversi giovani, due di questo si chiamano Alessio Bertaggia ed Elia Riva, i cui padri sono stati sia tuoi avversari (Luigi Riva) che compagni di squadra in bianconero…
“Di Elia Riva ricordo suo padre Luigi come avversario nei derby, poi arrivò a Lugano la stagione successiva al mio incidente, mentre Alessio Bertaggia lo ricordo benissimo quando da bambino entrava a salutare suo papà Sandro negli spogliatoi dopo le partite. È bellissimo vedere queste nuove generazioni che seguono le orme paterne e hanno successo, lo è soprattutto per me che lavoro tutti i giorni con ragazzi giovani. Però d’altra parte vedere sul ghiaccio questi ragazzi che l’ultima volta in cui li avevo visti erano dei bambini significa che stiamo invecchiando molto in fretta! (ride, ndr)”.

Restando a quegli anni, poi ci fu l’episodio del tuo incidente a Davos che avrebbe potuto abbattere chiunque, ma tu hai reagito immediatamente, tanto che due anni dopo eri già in panchina alla Hill-Murray School come assistant coach…
“Per me è stato naturalmente distruttivo sapere che non avrei più camminato, ma nello stesso  momento sapevo che non avevo tempo per piangermi addosso, quel che era successo non poteva essere cancellato e dovevo reagire in fretta. Ho avuto la fortuna tramite alcune conoscenze di rientrare nel mondo dell’hockey e questo mi ha aiutato moltissimo per non impazzire, perché mi sono detto che la vita non finiva lì, ma ripartiva in un altro modo”.

Per i ragazzi che alleni puoi essere non solo un coach ma anche un esempio di perseveranza, quando hai capito che era la strada giusta per te?
“Quando ho avuto l’opportunità di diventare assistant coach e ho respirato di nuovo l’odore del ghiaccio ho capito che non potevo stare lontano dall’hockey e che quella era la strada che dovevo seguire. È una passione troppo grande e poter trasmettere ai miei ragazzi la mia stessa passione è appagante. Ora sono ormai quasi 20 anni che faccio questo lavoro alla Hill Murray High School, per i ragazzi voglio essere come un padre e un esempio, spiegandogli che nella vita, per quanto possa essere dura a volte, gli ostacoli sono solo nuove opportunità sulla nostra strada. Cerco di trasmettergli la forza e la passione per andare avanti, perché senza quella non puoi andare da nessuna parte”.

Quella passione che Pat Schafhauser metteva sul ghiaccio non è mai stata dimenticata dai tifosi bianconeri, che inneggiano il tuo nome a ogni partita casalinga del Lugano…
“So che non mi hanno mai dimenticato, e ricordo ancora quell’enorme maglia con il numero 4 esposta dalla Curva Nord qualche anno fa, è stato incredibile. Vorrei ringraziarli uno ad uno per l’affetto che sanno ancora darmi dopo tanti anni, per me sono qualcosa di speciale”.

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