Non è mai facile per un giocatore effettuare la riconversione una volta terminata la carriera. Alcuni riescono a rimanere nel mondo dell’hockey, in qualità ad esempio di allenatori, dirigenti, agenti o direttori sportivi, ma la maggior parte evidentemente deve reinventarsi e in Svizzera non c’è in sostanza nessuno che possa vivere di rendita.
Certo, si è fatto un passo avanti rispetto al passato: oggi praticamente qualsiasi hockeista deve aver ottenuto un diploma o svolto una formazione lavorativa, ma resta il fatto che dopo tanti anni trascorsi a rincorrere un disco, cambiare vita professionale rappresenta spesso un ostacolo.
Jonathan Sala, responsabile del centro servizio clienti della Svizzera Italiana di Raiffeisen, è da sempre un grande amante dell’hockey e spesso offre una chance professionale a ex atleti.
“Lavoro presso la Raiffeisen Svizzera da sei anni. In generale, ho molta esperienza nell’ambito del servizio alla clientela. Non ho mai giocato a hockey, ma mio papà mi portava già nel passeggino alla Valascia. Sono nato e cresciuto a pane e Ambrì, sono un supertifoso. Prima in qualità di “curvaiolo”, poi ho trascorso un periodo nel gruppo di sostegno con mia moglie”, ci ha spiegato Sala.
“In seguito ho avuto l’occasione di entrare ancora più all’interno del club. Io e mio fratello siamo stati i responsabili delle statistiche per tre anni, fino al lockdown. Facevo quasi tutte le trasferte, a volte lavoravo anche sul bus e riuscivo a conciliare l’attività lavorativa con quella all’Ambrì. È stato veramente un bel periodo. Ora sono tornato unicamente a fare il tifoso, ma ho mantenuto diversi contatti”.
E ora un po’ di hockey lo hai per così dire portato anche alla Raiffeisen, dando lavoro a diversi ex giocatori…
“Attualmente sono quattro coloro che sono impiegati presso di noi: Adrien Lauper, Giona Bionda, Anthony Neuenschwander e Peter Biasca. Tra due mesi ci sarà una new entry, ovvero Matteo Nodari”.
Come mai questa scelta di dare loro fiducia? Non è sempre comune, spesso le aziende puntano su persone che hanno già esperienza lavorativa nel ramo, abituate anche a certi orari di ufficio…
“Prima di tutto bisogna fare una premessa. Una struttura come la nostra ha un turnover elevato. Noi puntiamo sui giovani da far crescere, in questo senso non ci distanziamo molto dal mondo dell’hockey. Siamo una fucina di talenti che diventeranno poi futuri consulenti ipotecari, ad esempio. Spesso una buona parte dei nuovi impiegati non ha background tecnico, quindi lavoriamo sui singoli, sui loro profili e cerchiamo di creare un bel mix. Diventa interessante spingere certi tipi di personalità. Abbiamo iniziato con Bouby Lauper, era una sorta di prova. Quando cominciò a lavorare da noi, giocava ancora e lavorava a metà tempo. Tutto è nato, per così dire, da lui. Io lo conoscevo già prima, dai tempi di Ambrì e a mio avviso la sua personalità avrebbe funzionato bene all’interno del nostro meccanismo. Certo, si è dovuto lavorare molto con i nostri coach per fornirgli l’apporto tecnico, e lui dal canto suo ci ha portato tanta energia positiva, motivazione e voglia di fare”.
Ti sei accorto in entrata di alcune difficoltà degli ex giocatori ad adattarsi alla nuova realtà?
“Dipende molto dalle varie personalità. Bouby, ad esempio, è molto estroverso ed espansivo, un passaggio da un ambiente dell’hockey a una banca non è scontato. Occorre adattare il proprio modo di essere alla nuova realtà, è stato difficile fare uno switch dal suo modo di essere prima a ora. Intendiamoci, è sempre la stessa persona, ma ora si è calato perfettamente nel ruolo. A livello di orari lavorativi diversi? No, quello non è mai stato un problema per nessuno”.
Eri rispettivamente sei più indulgente con gli ex atleti all’inizio del loro percorso lavorativo presso di voi?
“Assolutamente no, fra me e loro c’è comunque un’altra linea di conduzione, i responsabili di ogni team. Io non devo dare una vita privilegiata a loro semplicemente perché sono ex giocatori. Certo, quando arriva nel gruppo gente come Lauper, magari qualcuno rimane un po’ di stucco. Sono personaggi pubblici che per gli amanti dell’hockey hanno lasciato un segno. È bello gestire queste dinamiche”.
Loro erano abituati alla vita di spogliatoio, fatta di tanta collegialità. Ritrovi maggiormente, grazie alla loro presenza, questa caratteristica all’interno del vostro ufficio e, se sì, come si manifesta?
“Esatto. Questo è anche uno dei punti fondamentali per cui ho puntato e investito su di loro. Portano lo spirito di squadra e lo trasmettono all’intero team. Per noi è un valore inestimabile. La nostra filosofia è atipica per essere una banca: puntiamo sull’atmosfera, i valori e il benessere dei collaboratori. Se i dipendenti sono contenti, le performance arrivano da sole. Bouby è l’esempio perfetto: porta energia, positività e resilienza. Recentemente abbiamo avuto situazioni di elevato stress, e profili come Lauper hanno dato il 200% per garantire la qualità del servizio e colmare le lacune. I giocatori di hockey hanno questo DNA”.
Immagino che ci siano tante discussioni sull’hockey nella vostra sede…
“Certo, ma ce n’erano già tante prima, ora ancora di più. Paradossalmente però, con gli ex giocatori si parla meno, è più fra gli altri impiegati. Loro ormai sono usciti da questo mondo, e forse non è sempre semplice vedere l’ex compagno che la sera prima ha segnato una rete. Giona Bionda, ad esempio, si discosta molto dall’argomento”.
Alcuni, come Lauper, sono in là con gli anni, hanno avuto una carriera lunga ed è dunque normale che abbiano smesso. Altri invece sono ancora giovani, come per esempio Neuenschwander. Si nota un po’ di tristezza per aver smesso?
“Anthony è con noi da solo due mesi, quindi è difficile risponderti. Inoltre, ha ancora un piede nell’hockey allenando a metà tempo la U20 dell’Ambrì. Giona, come ti ho detto prima, ha proprio chiuso del tutto il capitolo hockeistico, il suo focus è ora sulla sua carriera professionale. Bouby all’inizio aveva tanta forza ed entusiasmo, ma dopo un annetto ha avuto un down. Insomma, non è facile: l’hockey può venire a mancare dopo un po’”.
Ultima domanda: a tuo avviso, le società professionistiche fanno abbastanza per accompagnare e aiutare i propri giocatori verso il dopohockey?
“Per me è difficile da giudicare. Sicuramente le conoscenze accumulate nel mondo hockeistico possono essere utili. Da noi, Adrien Lauper è arrivato tramite segnalazione di Sebastien Reuille, a quei tempi direttore sportivo dei Ticino Rockets. Anthony Neuenschwander è invece giunto su consiglio di alcuni membri dello staff della società biancoblù. Giona Bionda si è unito a noi perché conosceva Lauper. Qualcosa quindi si muove. Infine stanno spuntando alcune ditte esterne che danno supporto, come ad esempio la società dell’ex difensore dell’Ambrì Piotta, Michael Ngoy”.