LUGANO – “El segna semper lù”. Questa la celebre frase con cui viene ricordato Maurizio Ganz tra i corridoi di San Siro e di Cornaredo, vista l’abitudine dell’ex attaccante nerazzurro di timbrare il cartellino spesso e volentieri.
Spostandosi di pochi metri dallo stadio di calcio, tra le mura della Resega in questi anni la medesima frase poteva essere sentita spesso e volentieri. Dal suo arrivo a stagione inoltrata nel 2014, Fredrik Pettersson ha spesso fatto parlare di se grazie ai punti realizzati. Che non fosse un fuoco di paglia lo si poteva intuire già dalla prima metà stagione in bianconero: gol all’esordio nel derby (risultato poi decisivo per la vittoria sui cugini biancoblù), 23 punti in 25 partite e una grandissima voglia di pattinare e rincorrere chiunque avesse il disco.
Un buon giocatore sicuramente, ma nessuno si sarebbe aspettato un’esplosione come quella della stagione successiva. Unito al gemello Klasen, Pettersson ha letteralmente fatto esplodere qualsiasi porta che si trovava davanti grazie ad uno slapshot potente e precisissimo. Il veloce attaccante svedese ha sorpreso tutti, dagli addetti ai lavori ai tifosi, che lo hanno abbracciato come idolo incontrastato.
Con la media di un gol a partita per praticamente tre quarti di campionato, Pettersson ha stravinto la classifica marcatori, un titolo che a Lugano mancava dalla stagione 2009/10, quando a riuscirci era stato Randy Robitaille.
Ma l’avventura dello svedese sulle rive del Ceresio non è stata tutta rose e fiori. A partire dal mese di febbraio e con l’avvento dei playoff le prestazioni del numero 71 sono andate in calando, sintomo di un gioco che stava diventando vieppiù ripetitivo, portandolo a diventare il capro espiatorio (insieme al connazionale Klasen, unito a lui anche nella cattiva sorte) dell’ennesima eliminazione ai quarti dei playoff.
E sull’onda del cattivo finale di stagione, l’inizio di quella dopo sembrava anche peggio, con Pettersson ad intestardirsi spesso e volentieri in azioni personali e a dimenticare la fase difensiva. L’arrivo di Doug Shedden a stagione in corso sembrava avergli fornito nuova linfa, con i gol che ricominciavano ad arrivare, così come la fiducia perduta.
Ma, come già accaduto l’anno precedente, con l’arrivo dei playoff e del gioco duro e fisico, Pettersson ha di nuovo smarrito la sua proverbiale abilità di scorer. Un infortunio ad una mano lo ha sì debilitato per tutta la durata della postseason, ma è sembrato chiaro come il giocatore formidabile ammirato durante la stagione regolare, con l’incattivirsi (in senso buono) del gioco sembrava spesso perdersi.
Così, mentre i suoi compagni di linea e connazionali cambiavano marcia, portando di peso il Lugano fino alla finale, Pettersson è parso confuso, in ritardo nelle coperture e poco incisivo in avanti, tutte cose che lo hanno portato spesso a fare la scelta sbagliata nei momenti chiave.
Come ha rimarcato Shedden, questo è dovuto al fatto che lo svedese è un giocatore tutto cuore, sempre al massimo delle sue possibilità e che non si risparmia mai durante ogni cambio. Una qualità che si cerca sempre nei propri giocatori, ma che alla lunga porta ad una mancanza di lucidità che dovrebbe essere essenziale nei momenti chiave, lucidità che a Pettersson spesso e volentieri è venuta a mancare.
È un peccato che il numero 71 non riesca a tenere a freno le emozioni che spesso lo sovrastano (intrattabile quando la sua squadra perde), e se riuscisse a limare questo aspetto del suo carattere sarebbe sicuramente un giocatore da tenersi stretti.
Invece le strade dello svedese e del Lugano si separeranno, con buona pace di entrambe le parti. Pettersson alla ricerca di una nuova avventura in Russia, corredata da un salario impensabile alle nostre latitudini, mentre il Lugano potrà cercare un nuovo beniamino per i suoi tifosi, un altro che porterà i tifosi a pensare “tanto ce la risolve lui”.
Perchè tanto si può discutere sull’apporto reale di Pettersson nella stagione intera, ma i numeri parlano da soli. 140 partite giocate in maglia bianconera (compresi i playoff) e 156 punti ottenuti. Alla dirigenza bianconera l’arduo compito di trovare un degno sostituto che, possibilmente, possa “segnare sempre lui”.