LUGANO – Il momento peggiore dicono sia sempre il giorno dopo, al risveglio, quando ci si rende conto che è successo sul serio. Un’alba livida, l’eliminazione ai quarti di finale contro il Rapperswil non solo ha rappresentato una delle più grosse delusioni degli ultimi anni per il Lugano, ma ha mostrato una squadra cambiata nella sua globalità nello spazio di una decina di giorni.
Chiusa al secondo posto la regular season (miglior risultato dal 2006) ci si aspettava ben altro dai bianconeri, non solo sul piano del risultato ma anche su quello delle prestazioni, risultate tutte insufficienti di fronte alla decima classificata in regular season nonostante qualcuno asserisse il contrario in un paio di occasioni.
Il disastroso e clamoroso quarto di finale ha colto di sorpresa tutti, soprattutto dopo il piazzamento finale, e a cercarne le ragioni tutti sono concordi sul dire che i giocatori bianconeri non avevano più energie, sia fisiche che mentali. Dove vanno cercate le ragioni di un crollo del genere? Nell’utilizzo fatto dei giocatori di punta durante la regular season ovviamente e nel coaching, risultato impotente e assolutamente privo di soluzioni di fronte a una squadra ben organizzata ed entusiasta ma che pur sempre rappresentava la decima forza del campionato.
Ed è normale che ora, nell’analisi di una stagione intera, grossa parte vada dedicata a quella decina di giorni finali che hanno deciso l’annata del Lugano, anche a fronte di un’ottima regular season, ma che va letta anche nelle sue situazioni particolari.
Situazioni particolari dettate certo anche dalla pandemia e dalle quarantene che, mettiamo subito le mani avanti, tutti hanno dovuto subire, chi una, due o anche a tre riprese. Sta poi nella bravura (e nella fortuna) del saper gestire questi momenti da parte degli staff con la capacità di recupero di giocatori e squadra, possiamo metterci anche i residui dei contagi di giocatore in giocatore, ma molto porta a pensare che la gestione della squadra sia stata molto speculativa e basata soprattutto sul raggiungimento di quei primi posti che hanno rischiato di diventare un’ossessione.
Il Lugano ha infatti marciato a buon passo per tutta la stagione, e come già rimarcato da qualcuno i minutaggi di gioco dei singoli giocatori sono perfettamente nella media del campionato. Il problema semmai è che soprattutto i migliori giocatori sono stati spremuti al rientro dalle quarantene e per uscire dai momenti di crisi, oltre che per scalare in sprint le posizioni nelle ultime settimane, ed è questo che ha lasciato gli strascichi peggiori, non l’utilizzo globale.
Diciamolo tranquillamente, Serge Pelletier ha comunque i suoi meriti, e ci mancherebbe altro, come quelli di aver rinsaldato lo spogliatoio e di essersi avvicinato ai giocatori con le sue capacità comunicative. Ha portato la squadra a un ottimo secondo posto sinonimo di ritorno in Champions Hockey League, ha ricostruito e compattato il gruppo sfasciato dal dopo-Kapanen e ha saputo sfruttare i punti di forza della sua squadra.
Serge Pelletier ha insomma sfruttato le sue capacità, pur calcolando sempre i rischi del suo tipo di coaching, che non lascia spazio a molte modifiche del line-up e a soluzioni alternative ai giocatori esperti su cui punta più forte. Insomma, il coach di Montréal porta sempre l’acqua al suo mulino e finché va anche in direzione della squadra tutto bene, ma se la corrente si fa difficile, spesso la cabina di comando va in confusione e in un amen si getta via tutto quanto fatto in mesi di lavoro.
Le due facce della medaglia non hanno insomma trovato quell’equilibrio di risultati e aspettative che lo “stile Pelletier” ben raramente ha saputo cogliere (due sole serie di playoff vinte da head coach) nonostante la regular season promettesse ben altro. Lo ha promesso e non mantenuto oltretutto con giocatori di esperienza e di primissimo piano, quali i vari Arcobello e Boedker, crollati in maniera impressionante e incredibilmente dall’alto della loro esperienza e delle capacità sempre dimostrate in passato. Prendiamo due soli giocatori come esempi ma calzano a pennello per mostrare quanto è successo, anche se gli elementi capaci di emergere sul serio contro il Rapperswil si contavano su una mano.
Completamente cancellata anche l’efficienza difensiva che era stata il vero punto di forza del Lugano, complici anche i diametralmente opposti stati di forma di Niklas Schlegel, un fattore che ha poi fatto emergere un problema che i bianconeri si sono trascinati per tutta la stagione e che nei quarti è stato amplificato dalla situazione, ossia la cronica incapacità di segnare più di tre reti ad incontro.
Vi è da dire che nonostante questo il sistema ha funzionato per parecchio tempo, corretto appunto dalla solidità difensiva del Lugano che ha gestito gli incontri con pazienza e rigore difensivo. Il problema è emerso in quelle partite in cui i bianconeri si sono ritrovati a giocare a viso aperto, incapace di ritrovare equilibrio e portare le partite sui piani che preferiva, mettendo in risalto lo sbilanciamento del proprio stile.
Un problema che si è ripresentato puntualmente contro i ragazzi di Tomlinson, che approfittando di diversi elementi a proprio favore ha messo a nudo le fragilità di Fazzini e compagni.
Si poteva prevedere? Forse, ma da fuori sarebbero state speculazioni fino a prova contraria, anche se qualcuno di questi segnali qua e là sono comparsi, soprattutto per quello che riguarda le capacità tattiche e di adattamento alle situazioni. Non avremo la conferma ma è più di una coincidenza il fatto che dopo un intervento di Hnat Domenichelli non solo via media, improvvisamente Serge Pelletier si sia scollato dalle sue convinzioni richiamando due giocatori da Biasca e due giovani U20 per far fronte agli infortuni e per mettere un po’ di competizione al gruppo, scena ripetutasi poi nella triste Gara 5 con squadra e staff messi davanti alle loro responsabilità e con l’inserimento di Josephs al posto di Boedker.
Non sono state tragedie, ma i semplici segnali che la flessibilità doveva sempre venire suggerita, e che questa rigidità poteva in un qualche caso arrecare dei danni. Certo, che Serge Pelletier fosse la scelta per il futuro del Lugano in pochissimi ci avrebbero scommesso, sin da subito è apparsa come il giusto compromesso alla situazione e in fondo qualche risultato lo stava mostrando, facendo il suo senza scostarsi di una virgola dal proprio stile, ma era praticamente impossibile immaginare il crollo verticale, anche a fronte di una squadra che forse era andata fin sopra il proprio reale potenziale (dopo aver perso Carr e Kurashev) ma che comunque disponeva di un potenziale sicuro da prime 6 posizioni.
La squadra è stata infatti puntellata come difficilmente avrebbe potuto far meglio Hnat Domenichelli, tenendo conto della situazione Covid-19 e di dinamiche di mercato che già normalmente difficilmente sfuggono all’attenzione della massa, figuriamoci in un’annata del genere. Gli inserimenti di giocatori come Arcobello, Boedker, Heed (seppure con il periodo di adattamento degli ultimi due) hanno elevato il potenziale del top-six bianconero a uno dei migliori del campionato, conglobando nella riuscita anche la buona stagione di Bürgler e quella splendida di Fazzini, il vero faro della squadra nella burrascosa serie contro i Lakers.
Più complesso il discorso per quanto riguarda terzo e quarto blocco, spesso rimescolati in corsa senza quasi mai aver trovato un assetto definitivo, ma con giocatori diversi che sostanzialmente si sono sempre scambiati lo stesso lavoro senza mai uscire troppo dai binari. In questo senso sono mancati gli spunti dei vari Suri e Lammer, con Herburger e Bertaggia capaci da soli di dare quel qualcosa in più e un Haussener che avrebbe meritato sicuramente più spazio e regolarità d’uso.
Stesso discorso per i giovani Ugazzi, Villa e in parte Näser e Werder, se da una parte Domenichelli aveva programmato di unirli alla prima squadra con un anno di anticipo, i due difensori hanno dimostrato nelle loro poche apparizioni di avere la stoffa e la personalità per rubare minuti ad altri compagni non solo in caso di infortuni. Ma a loro ovviamente va dato il diritto di sbagliare, con la conseguenza di una competizione interna che gioverebbe a tutti.
Non valga comunque il messaggio che al direttore sportivo bianconero viene fatto passare tutto solo per le difficoltà di questi tempi, ma sinceramente vediamo poche questioni che valgano un dito puntato contro Domenichelli. O almeno se non si è a conoscenza fino in fondo delle ragioni per cui si è confermato Serge Pelletier e solo se queste esulano dalla situazione Covid presente al momento della firma, quando il direttore sportivo guardava comunque a lungo termine e ha invece si è trovato a prendere una decisione contraria a quel pensiero.
Fino all’ultimo con il prestito di Josephs (e di Brennan) il GM bianconero ha comunque provato a mettere a disposizione di Pelletier tutto il materiale possibile tenendo conto delle finanze e facendo persino meglio di chi in passato puntava su improbabili “rinforzi” che avevano il merito di fare solo numero. Si poteva invocare un cambio in panchina dopo Gara 4 per tentare la rimonta nella serie? La possibilità c’era, ma si è preferito andare avanti così, forse su impulso del gruppo stesso che voleva comunque dimostrare di essere in grado di farcela senza scossoni, ma è certo che il direttore sportivo non è rimasto immobile di fronte quello che stava palesandosi.
Ora per Domenichelli c’è l’arduo compito di ricomporre una squadra che vedrà un buon numero di arrivi e partenze, ma soprattutto di trovare un coach che sappia dare carattere e cattiveria alla squadra gestendola con raziocinio e motivandola nei momenti giusti, che sia capace di soluzioni tattiche elastiche e che si dimostri un ottimo comunicatore. Chiamalo poco.
Sarà Chris McSorley a sedersi sulla panchina della Cornèr Arena? I soliti ben informati lo danno per quasi certo, dopo gli spifferi usciti dalla porta a dicembre, ma per il momento è difficile affermare quale possa essere la scelta giusta per i bianconeri in attesa di una stagione che vedrà (Covid permettendo) i bianconeri partecipare anche alla CHL.
C’è una difesa da puntellare, vi è da capire se potrà fare a meno del difensore straniero (Heed rimarrà?) e il mercato bianconero va avanti in assoluto silenzio, come Domenichelli ha sempre richiesto. I possibili arrivi di Alatalo e Guerra porrebbero delle ottime basi a fronte della partenza di Wellinger e tenuto conto degli inserimenti graduali ma regolari dei giovani, ma a preoccupare di più potrebbe essere la coperta in attacco.
In questo ambito il mercato svizzero non offre molto, quindi sarà da verificare se e come il direttore sportivo bianconero potrà operare guardando al Nord America, altra fetta di mercato stretta, intrigante ma molto difficile in cui inserirsi, anche se il “lascito” di diversi contratti in scadenza potrebbe mettere a disposizione del Lugano di un tesoretto nel monte stipendi piuttosto consistente, in più occorrerà cominciare a pensare anche al futuro limite dei 7 stranieri e all’eventuale cancellazione delle licenze svizzere.
Aldilà del mercato, il Lugano dovrà smaltire in fretta la grandissima delusione e capire quale sarà l’uomo giusto da mettere al comando, che soddisfi le volontà della dirigenza sportiva – che sembra finalmente potersi muovere in piena autonomia – e che possa sfruttare il potenziale di una squadra che aldilà dei partenti era e sarà di molto superiore ai risultati portati negli ultimi dieci disastrosi giorni della sua stagione.