AMBRÌ – Usciti sconfitti anche dalla decisiva sfida contro il Rapperswil, a poche partite dalla fine, sembra proprio che il sipario sia ormai calato sulla difficile stagione biancoblù.
“Non so cosa sia andato storto”, ha ammesso Michael Ngoy. “Eravamo lì, abbiamo lottato, l’attitudine era quella giusta e fino al terzo gol siamo rimasti concentrati. È stata equilibrata fino alla fine ma una volta di troppo il risultato finale parla a favore dei nostri avversari”.
L’impressione è che dal secondo tempo in poi, sia a livello mentale che fisico, abbiate risentito un po’ del derby di venerdì…
“Fisicamente non direi, forse mentalmente. La posta in palio era alta e la sconfitta nel derby ci ha fatto molto male. Avevamo giocato una gran partita e le gambe c’erano, così come sabato. Quando giochi per sopravvivere le scorie della partita precedente non le senti, e contro i Lakers era una partita da dentro o fuori. Forse è stata la testa a giocarci contro”.
Parliamo delle tante penalità, leitmotiv di questa stagione. Anche stavolta ne avete concesse troppe rispetto al vostro avversario…
“È vero e il problema è che quando sei con l’uomo in meno, oltre a dover lavorare molto di più per contenere l’avversario, hai anche molto meno tempo a disposizione per crearti le tue occasioni. Credo si tratti di un elemento difficile sul quale lavorare proprio perché il nostro gioco si basa sull’intensità e sulla grande energia che occorre portare sul ghiaccio ad ogni cambio. Si è sempre al limite ed è quindi molto facile incappare in penalità evitabili, basta un bastone tra i pattini o un contrasto alle assi chiuso con troppa foga. Ci sono squadre che basano il proprio gioco sul possesso del disco – e quindi rischiano di incappare con meno facilità nelle penalità – e ci sono squadre come la nostra che puntano invece sul forecheck. E in quel caso i rischi aumentano. Di certo ne subiamo troppe – l’Ambrì è in assoluto la squadra più penalizzata della lega con 765 minuti di penalità contro i 560 del Rapperswil sesto (ndr.) –, ma come detto è un fattore strettamente correlato al nostro sistema di gioco ed è dunque difficile porvi rimedio”.
Con questa la sconfitta le chance di raggiungere il decimo posto sono ormai ridotte a un lumicino. Con quale spirito guardate alle ultime partite di regular season?
“Fintanto che non saremo matematicamente esclusi dai pre-playoff daremo il 100%, poi si tireranno le somme. Fa parte del DNA dell’Ambrì e noi vogliamo onorare questa maglia fino in fondo. Lo dobbiamo ai nostri tifosi.”
Qualche giorno fa, dopo oltre 1’000 partite giocate nella massima lega, hai annunciato il tuo ritiro. Perché proprio ora?
“Ho 39 anni! (ride, ndr.)”.
Perché non un’ultima stagione?
“Perché mi sono sempre detto di voler decidere io quando smettere, e non quando qualcuno mi avrebbe detto di farlo. Voglio essere padrone del mio destino e della mia carriera. Fisicamente sento di poter dare ancora qualcosa e sono sicuro che una o due stagioni le avrei anche potute giocare. Però finire la mia carriera in salute, senza nessun infortunio grave e con il giusto spirito è ciò che desidero. Certo, chiudere dopo 20 anni di hockey senza nemmeno un tifoso in pista è triste, non lo nego, però sono davvero fiero di quanto fatto ed è bello per me poter chiudere con la consapevolezza di essere ancora in forma, ad un buon livello. Mi sento bene e infatti, proprio adesso che sto parlando con te, fremo dalla voglia di tornare di là in palestra per il defaticamento. Perché? Perché è passione, mi piace e mi fa stare bene. È lo sport. Eppure sento che è il momento di dire basta. Quando ho saputo che sarebbe stato l’ultimo anno alla Valascia mi sono detto “caspita, voglio finire qui la mia carriera”. È qui che ho conosciuto i colori biancoblù, quei colori che mi hanno dato tanto, ed è qui che voglio chiudere il cerchio. Io e la mia famiglia abbiamo deciso di fare ritorno a Friborgo ma non per questo smetteremo di guardare al Ticino con particolare affetto”.