AMBRÌ – Annunciato a sorpresa durante la presentazione al pubblico, e poi già in pista per la prima amichevole giocata venerdì a Visp, il centro canadese Philippe Maillet era l’osservato speciale nell’allenamento di lunedì mattina.
Il 31enne si sta ancora ambientando nel nuovo contesto dell’Ambrì Piotta, ma con l’intensità del preseason le nuove esperienze stanno per lui arrivando velocemente.
“Ho trovato un bel gruppo di ragazzi. Già dai primi giorni passati in squadra mi è subito apparsa evidente la grande tradizione che accompagna questo club, ed ho sentito molte cose riguardanti il calore dei tifosi”, ci ha raccontato Maillet. “Abbiamo alle spalle una dura settimana di lavoro, ma la prima partita è andata abbastanza bene ed è stato bello poter tornare in azione”.
Sei tornato in Europa dopo l’ultima stagione passata in patria. Come sei arrivato a questa decisione?
“Con la mia compagna abbiamo da poco messo su famiglia, ora sono il papà di un bel bambino. Guardando dunque al futuro era importante trovare un contesto che mi permettesse di giocare e nel contempo anche di stare vicino a loro, e la Svizzera è ideale. Le trasferte sono corte e si torna sempre a casa, ed il calendario non è troppo fitto… Lo scorso anno in Nordamerica ho giocato bene, ma era tempo di compiere una decisione pensando all’intera famiglia. In questo senso ho ricevuto conferme anche da diversi altri giocatori passati dalla National League, e tutti me l’hanno indicata come la scelta migliore per una situazione come la mia”.
Il contratto è di una sola stagione. In che modo dobbiamo interpretare questa decisione?
“Siamo arrivati a questi termini in maniera naturale, andava bene ad ambo le parti. Dal mio punto di vista questo mi permette di confrontarmi con una lega nuova e vedere come andrà, ma anche di sperimentare il nuovo stile di vita che mi aspetta in Ticino. Nel corso della mia carriera ho inoltre avuto praticamente sempre contratti di una singola stagione, dunque non mi dà alcuna preoccupazione. In ogni annata ho sempre dato tutto ciò che avevo, senza mai pensare a questo genere di cose”.
Svolgere il ruolo dello straniero in Svizzera non è semplice. Il fatto di aver già giocato due anni in KHL con buoni risultati ti aiuterà?
“Sì, conosco bene la situazione, anche in KHL ci sono parecchie aspettative dai giocatori che arrivano da fuori. Sinceramente non sento l’effetto dello “status” di straniero, perché sono il primo a mettere molto in alto l’asticella delle mie aspettative. È in questo modo che ho avuto successo nella mia carriera, e so bene quale sarà il mio ruolo qui. Come prima cosa dovrò però acquisire famigliarità con la squadra”.
Sicuro conosci un po’ la National League. Pensi si adatterà bene alle tue caratteristiche?
“Qui c’è molto spazio, non ho mai giocato in piste così grandi. Ci vorrà indubbiamente qualche correttivo nel mio gioco per adattarlo alla National League, ed in questo senso sono molto positivo perché per il mio stile il tutto dovrebbe rivelarsi un vantaggio. C’è tanto spazio per effettuare le giocate ed essere creativi, soprattutto pensando alla fase offensiva. Rispetto ad altre leghe quella svizzera è inoltre più matura, ed io avendo 31 anni penso di essere arrivato qui proprio al momento giusto”.
Hai già potuto farti le prime impressioni sul gioco che vuole applicare l’Ambrì?
“È un sistema basato sull’alto ritmo, focalizzato sulla fase offensiva con l’intento di segnare molti gol. In generale è quello che mi riesce meglio sul ghiaccio, sono un centro offensivo e mi piace segnare… Voglio però anche essere un giocatore affidabile in difesa, ed era questo il profilo che l’Ambrì stava cercando”.
In AHL hai sempre avuto buoni numeri, ma non sei mai riuscito a trovare un posto fisso in NHL. Cosa pensi ti sia mancato in quegli anni?
“C’è poco da dire, ottenere un posto in NHL è durissima. Quando arrivi al momento in cui non sei più un prospect, diventa davvero complicato ricevere una chiamata. Sento di aver sempre fatto ciò che dovevo, e per un paio di partite mi sono anche tolto quella soddisfazione, ma non è semplice giocare in quel contesto. Ovviamente guardandomi indietro sarebbe stato bello militare di più in NHL, ma ho avuto dei buoni anni in AHL e di questo sono contento. Certo, a volte è stato difficile mentalmente doversi confrontare con questo scoglio, ma sono queste difficoltà che ti fanno diventare un giocatore migliore”.
Cosa puoi raccontarci della tua esperienza in Russia? Lo shock culturale deve essere stato grande, a maggior ragione poi quando è iniziata la guerra…
“È stato un periodo sicuramente difficile. Sono arrivato in Russia prima che scoppiasse la guerra, ma già in quel momento lo shock culturale è stato importante, e la lingua può diventare una vera barriera. Fortunatamente in squadra c’erano diversi giocatori stranieri, e nel mio secondo anno al Metallurg Magnitogorsk eravamo ben cinque canadesi e questo ha facilitato le cose. Devo inoltre dire che tutti i giocatori russi sono stati eccezionali con noi, condividevamo lo stesso obiettivo… Volevamo vincere il titolo, ed anche se abbiamo perso a Gara 7 nel mio primo anno, avere un obiettivo comunque contribuisce molto a compattare il gruppo”.
Anche ad Ambrì vestirai la maglia 61, numero che ti ha già accompagnato in altre situazioni. Ha per te un significato particolare?
“Durante i miei anni al college, in AHL ed anche con i Washington Capitals il mio numero era il 16, ma quando mi sono trasferito in Russia ho voluto cambiare invertendo le cifre. In KHL ho avuto un buon successo, e dunque ho deciso di mantenere la maglia 61, anche perché è un numero che davvero pochi usano… Questo è un vantaggio, perché quando arrivi in una nuova squadra è sempre disponibile. Se sono superstizioso? Non direi, anche se mi piace avere una certa routine prima delle partite”.
Sei cresciuto nel Quebec, l’hockey ha sempre fatto parte del tuo DNA?
“Direi di sì. Quando ero bambino vivevamo in una zona in cui non c’erano dei vicini, dunque mio papà sfruttava lo spazio per costruire una pista di pattinaggio esterna… In Canada è estremamente freddo, dunque per tutto l’inverno bastava buttare qualche secchio d’acqua ed il ghiaccio era fatto. In quel contesto ho imparato a pattinare ed ho iniziato a giocare a hockey con degli amici, per poi aggiungermi alla mia prima squadretta quando avevo cinque anni”.
Che persona sei lontano dal ghiaccio? In vecchie interviste avevi affermato di amare molto giocare agli scacchi, oppure ai videogiochi…
“Sono un persona piuttosto calma. Mi piace il golf, ed ora con un bambino sono un papà a tempo pieno. Gli scacchi però li gioco ancora, a dire il vero abbastanza spesso, mi piace la maniera in cui una partita mette alla prova la mia mente. Devi pensare costantemente, e c’è una bella sensazione di competitività, questo anche se sei seduto a casa sul divano. I videogiochi invece li ho un po’ abbandonati, purtroppo non ho più così tanto tempo (ride ndr)”.