FRIBORGO – La fortuna va pagata. Va pagata con un prezzo molto alto che solo chi incarna il vero spirito dei plaoyff è disposto a tirare fuori dalle proprie tasche.
Mentre i vari Sprunger, Birner e Mottet imprecavano al cielo per un’occasione sprecata, o per un tiro andato sul palo, o ancora per una comoda parata di un quasi indisturbato Merzlikins, dall’altra parte i “gregari” e pure chi portava il casco da topscorer, andavano sul ghiaccio a bloccare tiri, con il corpo e pure con la testa, prendevano e davano le botte nei due slot (capite? Ce ne sono ben due…), tornavano in panchina e ripetevano il tutto.
Ecco, è questo il prezzo da pagare, perché non basta la foga furiosa ma confusionaria e dispendiosa di energie per dire che si è fatto abbastanza. Nessuno nega che il Lugano abbia avuto la Dea bendata dalla sua parte sabato sera, ma il discorso di cui sopra va sempre affiancato a questi fattori, perché il giocare è una cosa, il lavorare è un’altra, come dicono dei numeri importanti: in due partite alla BCF Arena (e due vittorie) il Friborgo ha bloccato 8 tiri, i bianconeri 37.
Poco altro da aggiungere alla voce “sacrifici”. Che poi non sia un Lugano bellissimo da vedere rimane un fatto, ma in questo momento una cosa può chiedere Ireland alla sua squadra e la sua squadra ha risposto presente.
Non era nemmeno così scontato che il Lugano potesse uscire così bene mentalmente dalla sconfitta in Gara-3, e qui i meriti vanno fatti a al coach canadese, non solo bravo a ricaricare i suoi e a prepararli per l’inferno della BCF Arena, ma anche nel rimescolare le linee, equilibrandole offensivamente, per fare spazio a Klasen, al suo esordio – non molto esaltante – nei playoff.
Quando una squadra sta bene di testa lo si vede soprattutto nei momenti difficili, e i bianconeri lo hanno dimostrato nel secondo periodo di Gara-4. Dopo un primo tempo chiuso sull’1-1 ma già di stampo logicamente burgundo, il Lugano ha dato lezione di cinismo e sacrificio nel terzo centrale, bloccando i tiri del Friborgo in ogni maniera e lasciando la visuale libera a Merzlikins per i tiri più defilati, mantenendo il possesso dello slot.
La furia degli uomini di French è stata infatti spesso fine a se stessa, con situazioni di 2 contro 1 e 3 contro 1 gestite in maniera scellerata ed ingenua, tiri frettolosi da ogni posizione senza uomini nello slot, e pure la sfortuna dei ferri. Dall’altra parte invece la “Masterclass” degli ospiti, con Lajunen e Lapierre onnipresenti davanti a Brust, con gli appoggi e i tiri sporchi per aumentare l’imprevedibilità, ed è così che è nato lo 0-2 parziale che ha gettato nello sconforto tutta la pista romanda.
Ma anche qui è la differenza di perizia delle due squadre a metterci una buona parola, basti pensare che nel terribile secondo tempo (per ritmo, sfruttato dai padroni di casa con il Lugano sulla panchina distante dal terzo difensivo) il Lugano ha tirato su Brust 6 volte dal cono centrale dello slot basso (perpendicolarmente alla porta, per intenderci, la zona più pericolosa) mentre il Friborgo… Zero.
Tutti tiri defilati o bloccati già all’entrata della linea blu, nemmeno uno di fronte a Merzlikins, questo a sottolineare anche la bravura degli ospiti a lasciar sfogare i dragoni su vie più esterne proteggendo il proprio portiere.
Ed è stato in quei frangenti che Ireland, se doveva forzare qualcuno, ha forzato le linee pesanti, quelle di Lajunen e Sannitz, soffrendo tantissimo sul ritmo, ma devastando gli slot a forza di colpi, leciti o meno. A pagare di più lo scotto è stato il Friborgo che, un po’ il ritmo impossibile da tenere per più di 40′, un po’ la rete di Cunti al 39′ pesante quanto un’incudine sulle dita, ha continuato a sbattere su un muro e il gol del numero 12 si è rivelato la classica incudine sulla testa di Will Coyote.
I burgundi sono tornati a guidare il match nel terzo periodo, costellato di interruzioni e penalità, ma non è più stato in grado di trovare il ritmo infernale del terzo centrale, mancando lo slancio finale per un’altra rimonta, e Ireland è tornato ad avere la meglio tatticamente su French, giocando e vincendo su un game plan rischioso ma realista.
Stavolta il Lugano ha fatto quello che giovedì si era un po’ dimenticato negli spogliatoi, ha lavorato per 60′ con umiltà e lucidità, colpendo con quel cinismo e quella determinazione che ricordano tanto il Lugano di un paio di anni fa di questi periodi, quello a cui non tremavano le gambe sui match ball.
IL PROTAGONISTA
Jani Lajunen: Sì, di nuovo lui. Alla BCF Arena ha già la fama di “Boogieman”, avendo anche trovato il game winning gol sabato sera sfruttando la sua forza nello slot.
Lì, in mezzo ai leggeri e poco disposti difensori del Friborgo sembra stia giocando alla Swiss Miniatur, nessuno è in grado di contrastarlo fisicamente. Tutti quei muscoli uniti alla grande intelligenza di gioco ne fanno una vera e propria macchina, inarrestabile.