AMBRÌ – Archiviata l’ultima partita della stagione, l’Ambrì Piotta ha chiesto tempo. Impossibile analizzare e commentare a caldo un’annata complicata, tortuosa e purtroppo unica nelle sue dinamiche, e per tirare le somme di quanto è stato – sul ghiaccio e fuori – il club biancoblù si prenderà qualche giorno per riflettere. Non c’è da biasimare la direzione sportiva guidata da Duca e Cereda, perché i fattori da tenere in considerazione sono molti e non tutto è semplice come vorrebbero credere i più critici osservatori esterni.
Mettiamo in un cassetto le statistiche degli anni scorsi, confrontarle con quelle della stagione attuale non avrebbe alcun senso, ma una chiave di lettura per interpretare l’undicesimo posto in classifica – e dunque il non raggiungimento dell’obiettivo stagionale, oltre ai 24 punti di distacco sull’ottavo rango – deve essere data. Il tutto però con il comun denominatore del contesto in cui i biancoblù hanno lavorato, ed è qui che da osservatori “intermedi” le cose richiedono una certa sensibilità.
Già durante una stagione normale si percepisce nettamente la differenza tra chi – come il pubblico – vede la squadra da fuori e non ha un diretto contatto con l’ambiente, ma quest’anno nemmeno per i media è stato semplice entrare in sintonia con il “prodotto finale” rappresentato dalle prestazioni in partita.
Poter parlare con giocatori e allenatori, osservare gli allenamenti e vedere le partite da bordo ghiaccio (dove si capisce davvero la natura del gioco, che va al doppio della velocità rispetto alla visione dalle tribune) permette di avere più strumenti per tradurre le prestazioni in commenti, ma stavolta non sempre è stato facile trovarsi sulla giusta lunghezza d’onda, semplicemente perché da fuori alcune cose non si vivono e non se ne comprendono le difficoltà.
C’è allora un giocatore che ben rappresenta la stagione che si è appena conclusa, e questo è Jiri Novotny. Il veterano è un lavoratore, mai domo ma che difficilmente vedremo protagonista di azioni spettacolari, e che sappiamo tutti avere un grande cuore che però non può sopperire alla differenza di livello con la stragrande maggioranza degli avversari. Novotny è stato il peggior attaccante straniero della lega in termini di produzione offensiva (15 punti in 45 partite, 0.33 ad incontro), ma nessuno si sogna di bollare la sua stagione come fallimentare, perché il ceco ha dato tutto e lo ha fatto con personalità. Semplicemente non è stato abbastanza, ma questo lo sapevamo sin dal principio.
L’Ambrì Piotta si è approcciato a tutte le incertezze della stagione in maniera analoga. Vedere la squadra di Cereda chiudere all’undicesimo posto non è stata una sorpresa, anche se le ambizioni potevano e dovevano essere quelle di qualificarsi ai pre-playoff. L’obiettivo era potenzialmente alla portata, questo a patto che i vari scricchiolanti ingranaggi girassero tutti a buon ritmo e senza particolari intoppi, ma ben sappiamo che così non è stato.
I leventinesi hanno cercato di arrabattarsi come hanno potuto – il famoso “milione di idee” – ma alla fine non c’è stato nulla da fare. I limiti della squadra erano presenti sin dall’inizio sulla carta e sono venuti a galla in maniera impietosa sul ghiaccio, ingigantiti da infortuni determinanti, condizioni di lavoro difficili ed alcune individualità che hanno deluso per troppe partite.
Sul piano dell’attitudine all’Ambrì non si può rinfacciare molto, per la maggior parte degli impegni la squadra ha lottato come ci si attendeva, e solamente in determinate circostanze si è visto un gruppo arrendevole. L’essere costantemente più deboli degli avversari e doversi fare in quattro per cercare di essere anche solo competitivi alla lunga ha sicuramente lasciato delle cicatrici, anche e soprattutto in una stagione apatica per l’assenza di pubblico.
Questo è un elemento che è stato discusso una miriade di volte, e che per l’Ambrì ha avuto un impatto concreto. È quasi una banalità ribadirlo, ma per una squadra che basa il suo gioco sulle emozioni e che necessita di carica agonistica e tanto pattinaggio dall’inizio alla fine, giocare in un ambiente “svuotato” significa dover ricreare artificialmente le emozioni che rappresentano la propria benzina. Quando i dischi iniziano ad entrare ed arriva qualche vittoria il motore riesce ad autoalimentarsi, ma nel momento in cui si fatica a segnare e le sconfitte si susseguono la tendenza è difficile da invertire. In quelle fasi è così mancato il fuoco sacro, la cui fiamma è bruciata in maniera troppo lieve per l’intera stagione.
È così mancata anche la continuità di risultati, a partire da un inizio con una sola vittoria nelle prime sette partite, per poi arrivare al fatale periodo finale di nove battute d’arresto in dieci incontri. L’Ambrì solamente in due occasioni ha saputo vincere due partite di fila (in quei casi si è arrivati a tre), anche se – escludendo marzo – sono state appena due le circostanze in cui si è andati oltre le due partite consecutive senza un risultato utile.
In termini offensivi le cose hanno chiaramente stentato a funzionare. L’Ambrì ha chiuso con il penultimo attacco (e l’ultimo per reti a 5-contro-5), all’ottavo posto per tiri ad incontro (ma penultimo per conclusioni dallo slot) e all’ultimo rango in termini di percentuale al tiro, appena il 6.46%. Quest’ultimo dato rappresenta il peggiore di sempre in Svizzera da quando si tiene traccia ufficialmente di questa statistica (stagione 2008/09).
I biancoblù hanno cercato di compensare bloccando tanti tiri (terzo dato di lega), migliorando tantissimo agli ingaggi (secondi con il 52.18%!) e confermando un boxplay solido (terzo di lega). L’Ambrì è però anche stata la squadra più penalizzata in assoluto (797 minuti totali, 256 chiamate da due minuti e 244 situazioni di inferiorità numerica), situazioni che hanno tolto tante energie e che non hanno trovato nel powerplay (solamente il nono) un’arma efficace per controbattere, questo nonostante 4.2 opportunità di superiorità a partita (terzo dato di lega).
Tantissimi i dischi mandati sulla porta dai lati della linea blu – come detta il sistema di gioco, per fare diversamente servirebbero altri strumenti – ma rebound e gol sporchi sono arrivati con poca frequenza, ed è apparso evidente come sia mancata una componente di talento e visione di gioco nel creare e cercare gli spazi per rendersi pericolosi. E quando le buone occasioni sono arrivate spesso è mancata la capacità di trasformarle, anche a risultato di quanto mostrato da alcune individualità.
L’infortunio di D’Agostini – stagione finita dopo 8 partite – ha creato un vuoto offensivo molto importante, ed in generale le notizie dall’infermeria non hanno sicuramente facilitato il compito di Cereda. Conz ha saltato complessivamente metà campionato, Nättinen è stato out per 19 incontri ed Isacco Dotti ha mancato 28 partite. Capitan Bianchi ha dovuto alzare bandiera bianca dopo 7 uscite.
L’Ambrì ha così finito per giocare addirittura 35 partite con soli tre stranieri, mentre in appena 10 circostanze si è scesi in pista con quattro elementi d’importazione. In tutto questo Brian Flynn non è spiccato come leader, Nättinen è esploso all’inizio ma si è poi spento quasi completamente tra quarantene ed infortuni (tre gol nelle ultime 21 partite, dopo averne segnati 14 nelle prime 11), mentre i giocatori di punta svizzeri come Zwerger e Müller hanno avuto poca costanza ed un impatto decisamente meno marcato di quanto si sperava.
C’è poi chi ha deluso per non aver sfruttato le chance che gli sono state concesse, come un Kneubuehler autore di appena nove punti primari in 45 partite nonostante una grande fetta di campionato passata nel top six e nelle unità di powerplay. Caso ancora peggiore quello di Rohrbach, che dal potenziale intrigante è passato a giocatore praticamente scartato a partire da fine gennaio, mentre l’esperimento di Horansky è fallito già a febbraio senza che sia mai scattata la scintilla.
Sicuramente meglio i lavoratori. Kostner ha giocato la miglior stagione in carriera dopo aver saltato tutta quella passata, Mazzolini è cresciuto in maniera importante mentre Grassi ha avuto un ruolo di leadership guadagnandosi di fatto il ruolo di capitano, anche se nel suo caso ci si aspettava un maggior contributo in termini di punti.
Una certa mancanza di qualità si è fatta sentire anche in difesa, dove sono venuti a galla i limiti del reparto soprattutto in termini d’impostazione e gestione del puck. Problemi che non sono arrivati come una sorpresa, visto che dopo la decisione – per forza di cose – di rinunciare ad un difensore straniero un ingrediente fondamentale è venuto a mancare. Questo lo si era capito sin dall’estate, quando per aumentare la visione di gioco dalle retrovie si era provato addirittura Dal Pian, esperimento però velocemente accantonato.
Alla fine Michael Fora si è ritrovato come unico vero leader della difesa, giocando più del solito e pagando dazio in alcune circostanze con errori grossolani, che ha però sempre compensato con carattere ed un buon numero di punti. Quando è stato assente in febbraio il vuoto che ha lasciato è stato evidente, anche pensando ad elementi come Hächler che sono stati chiamati a rivestire un ruolo probabilmente non nelle loro corde (126 minuti di powerplay con solo tre assist diretti, dopo non aver mai avuto un posto nelle unità di superiorità in tutta la carriera).
Tra chi ha saputo crescere e distinguersi c’è invece stato Fohrler, specialmente nella prima metà di stagione, mentre Pezzullo avrà bisogno di maggiore esperienza per rivestire quel ruolo che sembra essere nelle sue potenzialità in un futuro che però non è ancora arrivato.
Alti e bassi li abbiamo visti anche tra i pali, dove Damiano Ciaccio è stato chiamato ad un lavoro importante per sopperire alla lunga assenza per infortunio di Conz. Le sue prestazioni sono state inizialmente buone ma poi sono andate calando, lasciando in questo senso qualche interrogativo, mentre Conz quando ha potuto giocare ha ribadito di rappresentare comunque il titolare di riferimento. Ottime invece le parentesi con protagonista Viktor Östlund, affidabile e sicuro quando chiamato in causa e bravo nel rilanciare la sua carriera.
Al tirar delle somme l’Ambrì Piotta si è dunque arrabattato come ha potuto, trovando serate di gloria quando ha saputo piegare avversari importanti (tre vittorie contro il Ginevra, altrettante contro gli ZSC Lions), ma ha anche alzato gli occhi al cielo per i punti lasciati per strada specialmente contro il Rapperswil (solo tre sui 18 in palio) e per aver perso tutti i derby stagionali. In alcune partite ai biancoblù non è mancato molto per fare meglio – 13 sconfitte sono arrivate con un solo gol di differenza, togliendo le reti incassate a porta vuota – ma il piccolo scarto da colmare è stato di grande importanza, che richiederà alcuni innesti di qualità per essere riempito.
Alla squadra di Cereda sono mancati quegli elementi in grado di fare la differenza, ed infatti da quando Perlini ha preso ritmo le dinamiche un po’ sono cambiate, perché se nelle tue fila hai chi può trarti d’impiccio con delle giocate che trascinano l’intero gruppo, allora si è sullo stesso piano degli altri. Gli handicap in questa stagione sono però stati troppi, ed il gruppo biancoblù è sembrato via via sempre più logorato di fronte ad avversari molto più attrezzati ed in alcune circostanze anche più ispirati.
Un mare calmo non ha però mai fatto un buon marinaio, ed allora il club ha l’opportunità di analizzare ed imparare da ciò che è venuto a galla da una stagione vissuta in burrasca, senza mai affondare davvero ma imbarcando anche molta acqua.
Solo così si potrà crescere, notando anche come l’Ambrì sia stata la squadra più giovane della lega in termini di minuti giocati in rapporto all’età dei suoi elementi. Oltre il 30% del TOI è stato riservato a giocatori al massimo di 24 anni, quasi il 60% ad elementi di 26 anni o meno, mentre solamente nel 25% del tempo si sono visti in pista degli over 30. In questo senso si è continuato sulla linea stabilita negli anni.
Ci sono però anche elementi che impongono una ripartenza. Per essere competitivi ci vorranno stranieri di buon livello e che sappiano puntellare le lacune del gruppo, uniti ad alcuni innesti svizzeri ed al ritorno sui migliori di livelli di chi in questa stagione ha deluso. Lo spirito dell’Ambrì Piotta non cambierà, ma servirà qualche mano in più per non veder vanificati così spesso i propri sforzi.