I Ticino Rockets sono alla ricerca di un nuovo inizio, e sperano di aver trovato la figura giusta per voltare pagina e ritrovare il giusto slancio nel canadese Eric Landry.
L’annuncio del suo arrivo in qualità di head coach ha colto molti di sorpresa, ma al club rivierasco – che si è reso protagonista di alcune scosse d’assestamento importanti a livello societario – serviva proprio una figura del genere per rinforzare le fondamenta del progetto e rinvigorirne i propositi.
“Poco dopo essere stato congedato dal mio precedente impiego in QMJHL a Gatineau, Paolo Duca mi ha contattato proponendomi questa prospettiva ed assieme abbiamo iniziato a parlare di un futuro ai Rockets”, ci ha spiegato Landry. “Con lui sono stato spesso in contatto in passato e già nel corso della stagione ci eravamo sentiti, anche se per discutere di altri argomenti. Ci conosciamo bene e siamo sempre rimasti in contatto”.
Eric Landry, i Ticino Rockets hanno comunicato il tuo ingaggio come una partenza da zero. Cosa conosci del progetto?
“So che arriverò in una realtà che mette grande accento sullo sviluppo dei giovani, che i club che compongono il progetto sperano di veder diventare dei professionisti nella massima lega. Si dà però la stessa importanza anche al processo che può portare a questo risultato, insegnando loro le abitudini giuste a livello individuale e di squadra… Lavoreremo con i ragazzi per sviluppare le loro personali peculiarità, il tutto affiancando insegnamenti in termini tattici di squadra”.
Che tipo di filosofia caratterizza il tuo modo di allenare?
“Sono molto esigente dal punto di vista tattico, e penso che tra i miei punti forti ci sia l’abilità di far progredire i giocatori dando loro i compiti migliori all’interno della strategia di squadra… Questo è l’aspetto per cui sono sempre stato conosciuto a Gatineau. Negli ultimi tre anni avevamo una squadra che stava affrontando una fase di ricostruzione, ma non abbiamo mai mancato l’accesso ai playoff. Nell’ultimo campionato eravamo davvero un gruppo giovanissimo, in rosa ad un certo punto non era presente nessun overager ma abbiamo comunque vinto diverse partite. Mi sono sempre concentrato sul far progredire i miei giocatori e questa penso sia la mia più grande abilità”.
Per tutta la tua carriera da allenatore hai lavorato con i giovani, dunque ti troverai in un contesto famigliare… Dovrai però cambiare alcune cose per adattarle all’hockey europeo?
“Non credo… Anzi, questa domanda porta a galla una mia caratteristica particolare. Come allenatore ho infatti sempre lavorato basandomi su ciò che ho imparato nei miei ultimi anni da giocatore, passati tra Svizzera e Russia. Quando ho intrapreso la carriera da coach ho così basato la mia filosofia su un mix tra hockey europeo e nordamericano… Non faccio giocare le mie squadre in maniera particolarmente fisica, ma piuttosto cerco di sfruttare i punti forti e le abilità dei singoli giocatori. Questo è uno stile che si orienta particolarmente verso quello che si vede solitamente in pista in Svizzera”.
Una volta a Biasca lavorerai a stretto contatto con direttori sportivi che conosci bene, come Duca, Domenichelli e Raffainer…
“Esatto, conosco tutti molto bene, e a questa lista posso aggiungere anche Sascha Weibel sul fronte del Losanna. So che il mio futuro lavoro mi richiederà di essere in contatto costante con i manager della varie squadre, e sicuramente il fatto di conoscerli già tutti mi aiuterà. È chiaro che i club vorranno seguire molto da vicino i loro ragazzi, ed il compito mio e di Mike sarà quello di farli crescere nel migliore dei modi”.
Parlando di McNamara, con lui avrai nello staff tanta esperienza…
“Credo che sarà una risorsa eccezionale. Sa esattamente come funzionano le cose in Svizzera e nelle realtà giovanili, tutti sanno quanto sia bravo nel lavorare con i giovani e la sua presenza nel nostro staff sarà un grande punto positivo. Personalmente sono inoltre ancora giovane come coach, ed avere un assistente con così tanta esperienza permetterà anche a me di imparare e progredire… È una chiara “win-win situation”, sia per me che per la squadra”.
Quando giocavi in Svizzera il concetto di farm team non era diffuso, ma lo è diventato sempre di più… Pensi sia la strada da seguire per la Swiss League?
“Capisco che nella lega cadetta ci possano essere due chiavi di lettura diverse. Quando giocavo in Svizzera ho sempre trovato la filosofia della vostra lega molto interessante, perché venendo dal Canada non ero abituato al concetto di promozione e relegazione… Capisco dunque che ci siano sempre delle squadre che non vogliono concentrarsi sulla formazione, perché la loro ambizione è quella di salire in NLA. Dal mio punto di vista i vantaggi di poter formare i giovani in Swiss League sono però chiari, si dà loro la possibilità di giocare e fare esperienza in un contesto ideale, e in definitiva questo porta allo sviluppo di giocatori ancora migliori”.
Hai giocato diversi anni in Svizzera e hai chiuso la carriera ad Ambrì… Come sarà per te ritornare?
“Io e la mia famiglia abbiamo amato il nostro periodo passato in Ticino, dove lo stile di vita è eccezionale. In Canada tutto è diverso, ed anche quando ho giocato a Berna, Losanna oppure Basilea mi sono ritrovato in città più grandi e in un contesto completamente diverso. Quando ero ad Ambrì invece vivevo a Bellinzona, avevamo uno stupendo appartamento ed era facile spostarsi a piedi… Potevamo portare i bambini a scuola, andare alla pista, al ristorante oppure a fare la spesa senza usare l’auto. La vita è molto diversa, anche perché da voi gli inverni sono miti rispetto al Canada, ed il ricordo che ho è quello di un posto che mi ha permesso di passare tanti bei momenti in famiglia”.
Parlando di famiglia, tuo figlio Manix ha la licenza svizzera…
“Esatto, ma per ora il suo futuro immediato resta in QMJHL. È reduce da una buona stagione ed il suo focus al momento è quello di continuare il suo percorso nelle leghe giovanili… Dopodiché si vedrà. Tutte le cose arrivano sempre a tempo debito, la mia unica speranza è che riesca a diventare il giocatore che ha il potenziale di essere”.
Nelle ultime settimane il mondo della CHL è stato purtroppo scosso da diverse accuse di abusi da parte di ex giocatori… Cosa ne pensi?
“Trovo incomprensibile ciò che è successo. Qualsiasi comportamento che possa far male ai ragazzi, specialmente come persone, non ha alcun senso. Sono stato molto sorpreso nel leggere queste notizie. Come giocatore o allenatore non mi sono mai ritrovato in situazioni del genere, mi ritengo fortunato di non aver mai dovuto assistere a questo tipo di episodi. È però importante che tutte le verità vengano a galla e questo è compito di tutti coloro che purtroppo sono stati coinvolti”.
Pensi che notizie del genere possa danneggiare l’attrattività delle leghe canadesi? Dalla Svizzera sono tanti i ragazzi che ricevono l’opportunità di varcare l’oceano a giovane età…
“No, lo escludo. È importante precisare che oggi la situazione è molto diversa rispetto agli anni in cui sono avvenuti gli episodi finiti di recente sulle stampa. Si viveva in maniera diversa 10-15 anni fa, ora con l’avvento di internet ed i social media nulla rimane nascosto, ed i metodi duri che venivano usati dagli allenatori non fanno più parte del modo di lavorare ai giorni nostri. Certe cose in passato erano considerate la normalità, ora per fortuna non lo sono più. Oggi in CHL ci sono delle precise regole che vanno rispettate, i ragazzi più giovani non vengono nemmeno più definiti “rookie” ma semplicemente “giocatori al primo anno”… Ai miei tempi invece eri un rookie fino a quando non si svolgeva il “rookie party”, una sorta di rito d’iniziazione. Ora tutto è cambiato. Vogliamo che i giocatori più giovani si trovino a loro agio e si integrino subito nel gruppo, senza che si sentano intimiditi da quelli più grandi… Questo vale soprattutto per i ragazzi europei, che si trovano in una realtà completamente nuova, e sentendosi accettati riescono ad avere anche molto più successo. La mentalità è cambiata radicalmente”.