Social Media HSHS

Interviste

Krupp: “Ripartiremo da zero e la squadra dovrà essere aperta a correzioni, vogliamo solidità”

Il coach tedesco: “È un onore poter allenare una squadra come questa, è un’occasione a cui non potevo rinunciare. La squadra ha tecnica, presenza fisica e mobilità… Un puzzle con tanti pezzi, con cui vogliamo risalire”

LUGANO – Il Lugano è pronto a ripartire da Uwe Krupp, il coach che il club bianconero spera possa rilanciare la squadra e salvare un’attuale stagione sinora molto difficile, e che nel pomeriggio di mercoledì è stato presentato alla stampa. Il suo staff in panchina sarà completato da Flavien Conne e da Paolo Morini. Il ruolo di video coach passerà invece a Della Bella.

“Per la prima volta da diverso tempo non ho iniziato la stagione con una squadra passando dal training camp”, ha debuttato il tedesco interrogato sul perché avesse accettato l’offerta dal Lugano, “ho avuto dei contatti durante l’anno, ma non c’è stata nemmeno un’offerta che davvero attirava la mia attenzione… Sino a quando ha chiamato il Lugano. Da lì le cose sono andate velocemente, anche perché il nome del club parla da sé. È una delle squadre con la tradizione più importante nell’hockey europeo, ed è un onore poter allenare una squadra come questa. Sarà una bella sfida, sicuramente mi ricompenserà del tempo passato lontano dalla famiglia”.

Hai già condotto un allenamento, che potenziale hai visto nella squadra?
“Sono rimasto ben impressionato. Nella prima mezz’ora mi sono subito accorto che la squadra ha tecnica, presenza fisica, mobilità. È un puzzle con tanti pezzi, nonostante alcuni giocatori importanti abbiano degli infortuni, ma è un gruppo di talento. Questo vale però anche per gli avversari. Scopriremo già nel weekend come reggiamo il confronto, e potrò poi esprimermi meglio in merito. L’atmosfera in generale è comunque buona. Quando c’è un cambio di allenatore c’è sempre un po’ di scombussolamento, abbiamo avuto un meeting in cui mi sono presentato e abbiamo discusso gli obiettivi. La risposta è stata positiva”.

Nel tuo gioco quanto c’è dell’hockey tedesco che abbiamo imparato a conoscere a livello internazionale?
“Quando cerco di descrivermi, non mi considero un prodotto dell’hockey tedesco. Ho lasciato il mio paese quando avevo 19 anni per raggiungere la NHL, e poi ho passato 25 anni in Nordamerica, dunque praticamente la mia intera carriera da professionista l’ho vissuta oltreoceano. Quando però sono tornato, dopo aver fatto la mia formazione da coach, ho ripreso familiarità con l’hockey europeo, che oggi non presenta più così tante differenze come quando ero bambino. Oggi troviamo un mix di tanti stili e influenze”.

Non ci sono più tante partite a disposizione in regular season, il tuo focus immediato dove andrà?
“Avrò un meeting con ogni singolo giocatore, questo mi permette di conoscere tutti, ed è importante visto che non ho un training camp a disposizione. Questo mi darà un primo feeling della squadra, e voglio anche sapere dal loro punto di vista come sta andando la stagione. Questo penso aiuterà i giocatori ad aprirsi un po’. È un primo step, poi pensando al gioco – anche dopo aver parlato con Antti Törmänen – vogliamo iniziare sostanzialmente da zero. Oggi abbiamo trattato le coperture in fase difensiva, domani guarderemo al forecheck. Ma non ci sono bacchette magiche, bisogna fare bene le cose fondamentali per arrivare a un gioco solido”.

Qual è la filosofia su cui basi il gioco della tua squadra?
“Penso che sia cambiata nel tempo. Come allenatore non puoi permetterti di fermarti. Se dovessi allenare oggi come facevo nel 2012, non avrei grande successo. La generazione di giocatori che sta arrivando è molto diversa, anche se ovviamente ci sono aspetti che rimangono invariati, ma bisogna essere in grado di evolvere. Quando affrontavamo la Svizzera sapevamo di dover giocare molto compatti difensivamente per avere una chance, questo rimane vero anche oggi”.

Sei noto per essere un allenatore duro, è sempre così?
“Non c’è una risposta precisa a questa domanda, dipende. Ci sono momenti in cui devi essere molto diretto con i tuoi giocatori, e altri invece in cui devi capire che non è il momento di essere duro. La cosa che dirò domani alla squadra è che dovranno essere tutti aperti a correzioni e insegnamenti. Quando correggo un giocatore, non significa che non mi piaccia il suo gioco, ma ci sono sempre cose da sistemare. Sono inoltre convinto che non tutto sia da aggiustare in questa squadra, non ci si può fermare alla situazione in classifica”.

Da giocatore hai avuto una carriera importante, questo ti aiuta ad essere più credibile con i tuoi giocatori?
“C’erano tempi in cui pensavo di sì, ma penso sia un errore credere in questo aspetto. Ogni giorno devi andare sul ghiaccio rispettando i giocatori, dimostrando sempre il tuo valore. Lavoriamo in un contesto molto competitivo, dunque non conta quello che ho fatto 30 anni fa. Certo, è sempre bello vedere dei clip in cui ero in pista con Patrick Roy, ma non può avere un effetto concreto in come affronto il lavoro di ogni giorno”.

L’obiettivo è quello di dare una buona impressione, e ottenere un contratto per il futuro?
“Mi trovo in una posizione particolare, che come detto non ho sperimentato molte volte. Solitamente arrivavo in una squadra e avevo l’opportunità di costruire. Ma come detto la chance era troppo grande, dunque non ho fatto molte domande e sono qui per lavorare e vivere questa esperienza”.

Pensando al nostro hockey, hai chiesto dei consigli?
“Ho parlato con Harold Kreis e Ralph Krueger, e il figlio Justin, e altre persone che hanno esperienze in questa lega. Mi hanno dato delle informazioni utili, ed in generale aiuta sempre avere una buona rete di contatti per sapere cosa aspettarsi”.

Quale coach nella tua carriera ha avuto la più grande influenza su di te?
“Penso che siano stati gli allenatori con cui abbiamo vinto la Stanley Cup nel 1996 con i Colorado Avalanche, ovvero Marc Crawford e Joel Quenneville. Erano dei personaggi unici, che hanno lasciato il segno in chiunque sia stato parte di quella squadra. Era un gruppo unico e con dei giovani allenatori, avevano fatto un lavoro eccezionale per il gruppo. So che Marc ha svolto anche un lavoro eccellente qui in Svizzera, e sicuramente nel tempo ho fatto miei alcuni dei loro insegnamenti”.

Con il club vi siete posti degli obiettivi precisi? Si può ancora ambire al post season, ma c’è anche da evitare posizioni scomode…
“Penso che la nostra energia vada nel salire la classifica, piuttosto che all’idea di evitare un certo scenario. Nelle nostre discussioni non si è parlato di precise posizioni, ma la cosa inequivocabile che mi è stata comunicata è che tutto il club sente di valere decisamente di più del 13esimo posto. Vogliamo dunque iniziare ad andare verso l’alto. Il primo passo è iniziare a giocare bene, sta a noi giocare un buon hockey”.

Click to comment

Altri articoli in Interviste