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Interviste

Jelovac: “Sarà una Gottardo Arena infuocata, ma possiamo mettere in difficoltà l’Ambrì”

Il difensore è tornato a Rapperswil: “A Losanna non ricevevo più fiducia, era dunque arrivato il momento di pensare a me stesso. Ora sono tornato in un club in cui sono progredito molto, l’esperienza degli scorsi playoff mi aiuterà”

RAPPERSWIL – L’inizio della nuova stagione è finalmente alle porte, e per Igor Jelovac il ritorno a Rapperswil equivale a un rientro nella sua seconda casa, come conferma il difensore.

“Esatto, torno in un posto a me conosciuto dove avevo trascorso due anni in cui tutto era andato benissimo, sia a livello sportivo che privato”, ci ha spiegato l’ex biancoblù. “L’integrazione per così dire è dunque stata facilissima e ho subito iniziato a lavorare duramente come il resto del gruppo al fine di arrivare pronti all’inizio del campionato”.

Avevi ancora un anno di contratto a Losanna. Come sono andate le cose? Sei tu che hai contattato il Rapperswil dopo previo contatto con i vodesi, o è il club sangallese ad avere fatto il primo passo per realizzare questo ritorno?
“È stato un processo abbastanza lungo. A Losanna non mi davano fiducia e la discussione con il direttore sportivo del Rapperswil Steinmann si è instaurata in maniera relativamente veloce. Janick e io eravamo sempre rimasti in contatto e dopo le discussioni avute a fine stagione con il Losanna ho capito subito che avrei potuto guardarmi attorno. Ho realizzato che sarebbe stato meglio pensare per una volta a me stesso e alla mia carriera. Per me non c’erano dubbi riguardo al fatto di tornare a Rapperswil. È un luogo dove sono progredito molto, mi ero divertito e qui ho sempre percepito molta fiducia”.

E la durata di quattro anni del tuo contratto ne è la fedele testimonianza. Non era per forza evidente ricevere una simile offerta…
“Chiaramente. Offrirmi un contratto del genere è un bel gesto da parte del club. Ho 29 anni e ricevere una simile offerta è una cosa molto interessante, specialmente in un periodo dove si parla di salary cap e di eventuali aumenti di numero degli stranieri. Io dovevo quindi pensare a me stesso e avere una sicurezza. Ma sia ben chiaro, adesso non mi riposerò basandomi su questo contratto, anzi, al contrario, darò tutto e ancora di più per ripagare la fiducia della società”.

Che Rapperswil hai ritrovato? È cambiato qualcosa?
“Il metodo di lavoro è lo stesso, lo staff è cambiato un pochino, ma la base è in sostanza restata uguale e poi conoscevo già i tre quarti della squadra. Quindi come detto è stato estremamente facile reintegrarsi. Ritrovare questo ambiente è veramente piacevole”.

Sei contento della preparazione e a che punto siete?
“Credo che a livello di squadra possiamo fare meglio, specialmente pensando alla recente partita contro l’Ajoie. Siamo rimasti un po’ addormentati per così dire. Dobbiamo essere più concreti. Quando riusciamo a sviluppare il nostro gioco, a fare pressione e cercare i dischi, che è un po’ la nostra forza, possiamo diventare una buona squadra. Le nostre armi dovranno inoltre essere le ripartenze e ovviamente la solidità difensiva su tutto l’arco dei 60 minuti. Bisogna lavorare soprattutto su questo ultimo punto, la costanza”.

E a livello personale come giudichi la tua forma?
“Mi sento bene, chiaramente devo ritrovare la fiducia nei miei mezzi, visto che sono reduce da stagioni dove ne avevo ricevuta poca. Devo dunque ritrovare la base, il mio gioco e la mia solidità difensiva, poi il resto verrà da sé”.

È partito un marziano come Roman Cervenka. Il ceco lascia un buco enorme. Come si può rimpiazzarlo? Singolarmente parlando è praticamente impossibile…
“Hai ragione, lui era un extraterrestre. Sarà difficile, ma tocca a noi girare la pagina e altri giocatori devono cogliere questa opportunità, magari proprio quelli che erano un po’ nell’ombra a causa della sua presenza. Ora possono scalare le gerarchie e ritagliarsi uno spazio maggiore. Più in generale disponiamo di una buona squadra, quindi non bisogna rimuginare troppo in merito alla partenza di Cervenka”.

Praticamente l’intero staff tecnico (a eccezione dell’allenatore dei portieri che è finlandese) è composto da tre svedesi e ben 6 stranieri su 7 sono loro connazionali. Non è una situazione potenzialmente “pericolosa” per le dinamiche dello spogliatoio?
“Se è per questo abbiamo anche tanti svizzeri tedeschi (Jelovac ride ndr). Scherzi a parte, io credo di no. Siamo persone intelligenti e facciamo il massimo per favorire l’integrazione di tutti. All’interno del gruppo parliamo inglese, i nostri svedesi hanno subito voluto far parte del collettivo. Sono brave persone, sono qui per tirare con noi la corda nella stessa direzione, sono ragazzi arrivati in Svizzera per lavorare duramente e non degli egoisti venuti qui per solamente per fare i loro punti personali o incassare dei soldi. È interessante lavorare con loro e non c’è nessun problema”.

E il fatto che oltre a te l’unico romando sia solamente Baragano non è nemmeno un problema?
“Qui hai ragione, bisogna sempre essere più romandi (Jelovac ride, ovviamente a scanso di equivoci la domanda e la risposta erano battute ndr)”.

Torniamo seri. Martedì c’è l’esordio in campionato ad Ambrì. Hai già in mente qualcosa per cercare di bloccare Kuballik, che tu conosci bene avendoci giocato assieme proprio in Leventina?
“(Jelovac ride nuovamente ndr). No, onestamente no. Non bisogna mai focalizzarsi troppo su di un singolo giocatore. Ovviamente quando sarà sul ghiaccio sarà necessario fare attenzione, ma il focus va sull’intero collettivo avversario. L’Ambrì è una squadra che porta sempre tanta intensità e inoltre alla Gottardo Arena ci sarà un ambiente infuocato, oltretutto pensando che sarà la prima partita, chissà che entusiasmo e quanto rumore. Dovremo essere pronti sin dal primo ingaggio e fare il nostro gioco. Abbiamo i mezzi per mettere i biancoblù in difficoltà e provare ad andare a conquistare la vittoria”.

Sono ormai passati diversi mesi dalla finale persa con il Losanna a Zurigo alla settima sfida. In fin dei conti è un ricordo dolce o amaro?
“Una finalissima è un’opportunità che non si presenta molte volte nella vita. Io ad esempio mi sa che ho disputato più finali di playout che finali per vincere il titolo (Jelovac ride nuovamente ndr). È stato quindi molto dura accettare la sconfitta, specialmente anche perché nella partita decisiva non siamo stato all’altezza della situazione, mentre complessivamente sull’intera serie eravamo stati solidi. È stata comunque una bella fase di apprendimento, era la prima volta che arrivavo così lontano nei playoff. È stato interessante osservare l’evoluzione, vedere cosa accadeva, captare l’aumento della fiducia con il passare delle settimane e dei giorni e guardare le reazioni dei vari giocatori in simili circostanze quando ci si giocava il titolo. Studiare e vivere il lavoro di costruzione di un simile percorso con le sue tappe è stata la parte più interessante insomma e un’esperienza che mi aiuterà per il resto della mia carriera”.

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