GINEVRA – LUGANO
5-2
(2-0, 2-0, 1-2)
Note: Les Vernets, 7’057 spettatori. Arbitri Stricker, Wehrli; Borga, Tscherrig
Penalità: Ginevra 3×2′, Lugano 4×2′
GINEVRA – Chissà quanti hanno voltato gli occhi al cielo con quella rete di Simek che a Zurigo ha sancito il Ginevra quale avversario del Lugano nei quarti. È andata così, il Lugano ha voluto dimostare di essere più forte del passato, più delle proprie paure e di quelle dei tifosi, cercando la posizione più alta in classifica.
Fatto sta che oggi si è ancora qui a leccarsi le ferite, dopo che la stagione è finita ancora una volta amaramente sulla pista delle Vernets. Se la scorsa stagione l’eliminazione dei bianconeri poteva sembrare quasi “logica”, questa volta l’avversario era, sul piano tecnico, decisamente alla portata, peccato però che poi siano stati altri fattori a fare la differenza a favore della squadra di McSorley.
Fattori che sono usciti chiari anche in gara 6, un match che ha messo in evidenza le differenze tra le due squadre. Il Ginevra ha rispettato in pieno il game plan impartito dal proprio coach, esattamente come fatto nelle altre sfide vincenti della serie, grazie ad un’organizzazione di gioco tremendamente efficace.
Un primo tempo dominato, come era prevedibile, finito sul 2-0 grazie alla doppietta di D’Agostini, peccato solo che la seconda rete sia arrivata proprio nel momento migliore del Lugano, risultando molto pesante. I bianconeri dal canto loro sembravano sapere cosa li aspettasse e bene o male hanno cercato di resistere e, pur con un po’ di imprecisione, sono riusciti a rendersi pericolosi con qualche ripartenza.
Meglio, molto meglio nel periodo centrale, nel quale Vauclair e compagni hanno spinto molto, togliendo fiato alla difesa ginevrina, ma riuscendo solo raramente a trovare tiri veramente pericolosi con i quali impensierire Mayer. Il pattinaggio giusto, l’ingaggio fisico giusto, la testa giusta, ma sotto porta semplicemente è stato troppo difficile.
Poi sono cominciate le lezioni di cinismo del Servette: il 3 e il 4 a 0 nel giro di 2’ verso la fine del periodo centrale sono stati delle vere mazzate al morale dei bianconeri, che per tutto il secondo tempo hanno spinto con convinzione e sono stati puniti dall’incredibile capacità realizzativa ginevrina.
Il morale, pesantemente intaccato da queste due reti è stato risollevato come meglio poteva fare da Patrick Fischer negli spogliatoi, ma era chiaro che il Ginevra aveva ormai in mano partita, serie e semifinali. Sforzo encomiabile dei bianconeri nel terzo conclusivo, nel quale dopo la rete del 4-1 di Maurer, Pettersson e compagni hanno spinto molto, non sempre con lucidità, ma ci hanno provato, su questo non si può contestare.
Quello che si deve contestare è che il Ginevra ha dato di nuovo una lezione di concretezza, di capacità di pianificare tatticamente il match e soprattutto di avere una squadra che sa in ogni suo elemento quale compito svolgere.
Il Ginevra ha fatto la differenza con i suoi uomini chiave, D’Agostini, i fratelli Pyatt, Loeffel e altri, capaci di sacrificarsi in nome di una valore tecnico minore, proprio per riuscire a compensare questo gap tra le contendenti. Sull’altro fronte Pettersson e Klasen hanno ritrovato un po’ di brio con Filppula, ma è stato evidente che un centro veramente completo anche a livello fisico manca come il pane ai due svedesi, intestarditisi in azioni individuali.
Questo discorso vale sia per la partita persa 5-2 alle Vernets, ma in generale è stato il leit motive della serie, con un Ginevra che ha fatto pochi errori e il Lugano che ne ha commessi veramente troppi. I bianconeri avevano le capacità per far loro le semifinali, obiettivo principale della stagione, ma al momento buono la squadra è ricaduta nelle sue paure, nei suoi difetti, di incostanza e distrazioni, di errori individuali e mancanza di concentrazione.
Tutti buchi questi che McSorley sfrutta per portare avanti il suo hockey, fatto di semplicità, solidità e sicurezza nei propri mezzi. Con quei mezzi che il Lugano non ha ancora sviluppato abbastanza per superare il capolinea delle Vernets.
Ci sarà tempo per cercare le fonti delgi errori, delle valutazioni sbagliate, perché ora a caldo puntare il dito è troppo pericoloso. Con la tranquillità e a mente fredda sarà più semplice trovare i punti su cui lavorare e apportare dei correttivi, sia a livello di giocatori che di staff tecnico.