BIENNE – L’unica nota positiva – semmai così la si possa definire – è che nonostante la sconfitta, il Lugano guadagna un misero punticino che gli permette di non staccarsi dal gruppo di squadre attorniato alla linea.
Magra consolazione, ma il momento è così, e occorre cercare di vedere il bicchiere forse non mezzo pieno, ma almeno riempito per un terzo, onde non sprofondare nella depressione. Depressione che Bienne e Lugano hanno contribuito a distribuire sul ghiaccio della pista di casa, notoriamente conosciuta per non essere propriamente un teatro dei sogni.
Il Lugano, sceso in pista con la medesima formazione di sabato ma con il rientrante Manzato in porta e il tuttofare Kienzle di nuovo in attacco, ha sostanzialmente messo la contesa dapprima sulla difensiva – cosa peraltro legittima e condivisibile – peccato che però anche il Bienne abbia deciso di fare altrettanto, ed ecco spiegati gli sbadigli sugli spalti e davanti alla tv.
Ci sarebbe ben poco da dire su una partita del genere, se non le cose che ormai sul Lugano si ripetono da qualche partita, ossia, ottima organizzazione difensiva, una buona voglia nelle ripartenze e poi, ahinoi, il nulla tra le fila avanzate. Più di una volta se n’era parlato: come può questa squadra non trovare un equilibrio tra partite giocate in maniera sciolta in attacco, dove riusciva a produrre molte occasioni da rete (puntualmente non sfruttate, ma ne riparliamo di nuovo dopo) e una media di 40-45 tiri ad incontro e altre, come le ultime due, dove a malapena si raggiungono i 30 tiri in porta, di cui solo la metà di una certa sostanza?
A Bienne oltretutto si è mostrato anche il momento no delle situazioni speciali a proprio favore. È vero che sono stati solo due i power play a disposizione del Lugano, ma quello nell’overtime era un occasione troppo grossa per lasciarsela sfuggire, ed invece è diventata un arma a doppio taglio, visto che al rientro dalla panca dei puniti Kellenberger ha freddato anche con un po’ di fortuna Manzato con il più classico dei break away.
E questo, assieme alla rete d’apertura di Spylo – probabilmente uno dei giocatori stilisticamente più brutti da vedere, ma tremendamente efficace – serva da lezione al Lugano come esempio di efficienza offensiva, data la decisione e la caparbietà nel cercare perlomeno la conclusione verso la porta da parte dei seeländer.
Solo pochi attaccanti, tra cui Kostner, Simion, Walsky e la coppia Micflikier–Metropolit hanno prodotto qualche azione degna di nota davanti a Meili, e tra i difensori Heikkinen ha comunque cercato il tiro più spesso del solito propiziando anche il pareggio di Mclean, ma è stato veramente troppo poco per cercare di alzare la media delle reti segnate. Già perché tornando all’efficacia offensiva, il Lugano si ritrova con sì una difesa perlomeno nella media – 3 reti subite a partita – ma anche con il secondo peggior attacco davanti al solo Bienne, con poco più di 2 reti fatte per incontro.
Il discorso sulle capacità di gioco e impostazione di questa squadra, nonché delle – per molti, presunte – capacità di Fischer resta in bilico fra queste sterili prestazioni e quelle applaudite messe in mostra in almeno tre o quattro occasioni. Le soluzioni non sono di certo alla luce del giorno, altrimenti anche lo staff tecnico avrebbe già trovato la panacea a questi mali, quindi vi è da chiedersi se questa situazione non sia il risultato di tutte le variabili negative possibili – preventivate e non – che attanagliano la squadra.
Queste variabili potrebbero essere, senza voler accampare scuse che reggono solo a metà, gli infortunati, la scarsa vena di molti uomini chiave, l’inesperienza di Fischer e la ricerca di un nuovo sistema di gioco che ci sta mettendo molto più del previsto. Si sapeva anche che Micflikier non sarebbe stato l’unica soluzione, ma non sono solo le reti a mancare. Manca la fantasia, l’imprevedibilità e la velocità di pensiero.
I problemi o le loro soluzioni non sono da ricercare quindi nelle individualità, quindi non vi è da pensare che il problema stia solo in un Metropolit visibilemente in difficoltà, ma anche poco aiutato soprattutto in fase di power play. E non si pensi nemmeno che un Domenichelli in più o in meno avrebbe fatto la differenza.
A questa squadra manca la costanza perché mancano la fiducia e la sicurezza, che sono inversamente proporzionali alla paura di sbagliare. Insomma, la soluzione è da cercare nel lavoro quotidiano in allenamento e in partita, senza badare troppo alla classifica, anche se l’occasione di affrontare il Rapperswil in casa venerdì deve essere sfrutatta assolutamente e con decisione, prima di affrontare una seconda metà di ottobre che ha riservato – misteri di chi “studia” il calendario – ben cinque trasferte consecutive, che potrebbero rivelarsi una mazzata tremenda come una sana iniezione di fiducia a seconda degli avvenimenti. Ovviamente si spera nella seconda.