(© A. Branca)
La controversa stagione regolare contraddistinta dal terzo lock out NHL della storia ha visto un Lugano che a capo e coda ha tutto sommato rispecchiato i pronostici della vigilia, ma che nel mezzo ha visto i bianconeri conoscere molti alti e bassi. Le premesse di inizio stagione sono state rispettate a metà, con quel quarto posto a Natale voluto da Huras che addirittura si è trasformato in un nono rango, con le vacanze di Gesù bambino passate sotto la linea.
Il periodo più difficile dei bianconeri è stato però quello che paradossalmente ha forgiato di più il carattere di un gruppo già forte, ma non ancora di ferro. E dalle difficoltà di un fine autunno-inizio inverno quasi da incubo si è passati ad un anno nuovo che ha regalato un Lugano capace di scalare la classifica sino al quinto posto nel giro di un mese, grazie ad un gioco (ri)trovato e ad una rosa di nuovo almeno quasi al completo, fino al rilassamento post qualificazione ai play off degli ultimi match che ha sancito il sesto posto finale.
E prima? Il periodo iniziale del campionato aveva visto la squadra di Huras praticare un hockey semplice e lineare, tuttavia anche abbastanza piacevole da seguire, mantenendo Metropolit e compagni ai primi posti della classifica per almeno un paio di mesi. E poi ecco le prime difficoltà, il caso Bednar, i primi infortuni e nel contempo avversari che si rafforzavano con le varie stelle d’oltreoceano. Gli infortunati in serie hanno caratterizzato un autunno-inverno senza pace per i bianconeri, che se da un lato hanno potuto contare sul rientro un po’ anticipato del capitano Steve Hirschi, dall’altro hanno perso per periodi più o meno lunghi Rüfenacht, Heikkinen, Vauclair, Manzato, Domenichelli, Fazzini, Simion, Steiner, Morant e Bergeron, oltre a chi come Brady Murray e Hirschi erano già ai box dall’estate.
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Durante queste settimane il Lugano ha conosciuto parecchie difficoltà nell’esprimersi ad alti livelli regolarmente e i punti persi negli ultimi minuti – se non secondi – oltre ad una cronica incapacità di imporsi in trasferta hanno fatto vacillare parecchio gli obiettivi dettati da staff tecnico e dirigenza. L’arrivo di Bergeron dai Boston Bruins – assieme al deludente Luca Sbisa da Anaheim – ha aumentato la forza del Lugano solo parzialmente – nonostante una professionalità e una dedizione impressionanti – essendo il centro/ala canadese più un “lavoratore di lusso” che uno sniper vero e proprio come lo sono stati i vari Tavares e Seguin in altri lidi. Il 27enne Patrice ha lasciato il Lugano in un momento delicato, ma da quell’istante i bianconeri hanno vissuto il citato miglior periodo della stagione, probabilmente grazie alla capacità dei giocatori di assumersi molte più responsabilità.
Se si devono citare le prestazioni di alcuni singoli durante la regular season, allora si deve cominciare da quel Metropolit che a 39 anni ha praticamente eguagliato la stagione ‘05/’06 in fatto di punti – 64 contro i 65 precedenti – dimostrando che la classe superiore, l’attaccamento ad una realtà amata e che lo ama e un’innata voglia di vincere possono superare i limiti (reali ?) dettati dall’anagrafe. Accanto a lui l’indomito Rüfenacht ha zittito una platea che aveva storto il naso al suo arrivo, dimostrandosi non solo indispensabile al gioco del primo blocco, ma anche un discreto scorer, guadagnandosi la palma di miglior marcatore svizzero con 14 reti e 17 assist.
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L’altro nuovo arrivato, Ilkka Heikkinen ha stupito tutti nel suo miglior momento, vissuto nel peggiore del Lugano, andando a segno per ben 14 volte e mostrando anche solidissime basi difensive, relegando Nummelin a quinto – se non sesto – straniero. Tra le note liete di questa regular season c’è quel Daniel Manzato dapprima messo in croce senza che abbia messo i pattini sul ghiaccio, poi diventato un beniamino del pubblico grazie alle sue parate spesso decisive, e infine sfortunato a causa di due infortuni, che però hanno messo in mostra la bontà della scelta di andare a scegliere Flückiger come back up.
L’ex portiere del Kloten ha sfoderato prestazioni di altissimo livello, dopo una decina di anni passati come secondo ad imparare, dimostrando – Rueger insegna – che i portieri posseggono qualità che possono emergere anche relativamente tardi. C’è chi invece per varie ragioni ha vissuto una stagione regolare difficoltosa, come Vauclair, di cui il Lugano non può però fare a meno e non solo per le indiscusse qualità di leadership, ma soprattutto per l’energia e la classe che portava sul ghiaccio.
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Alla fine l’avversario nei quarti di finale sarà lo Zugo, avversario gradito ma non da sottovalutare, nonostante le partenze dei vari Brunner, Zetterberg e Diaz. E tra certezze, difficoltà, recupero degli infortunati e anche diverse note liete, il Lugano ha le carte in regola per diventare una mina vagante – o anche qualcosa in più – nel momento topico della stagione, a patto che i mali, soprattutto quelli causati da se stessi, diventino insegnamenti per migliorarsi ancora e riuscire a passare almeno il primo turno dei play off, cosa che non riesce dalla stagione dell’ultimo titolo, la prima di Metropolit in maglia bianconera.