LUGANO – Se qualcuno, alle parole di Ireland e Hofmann dopo Gara 2 quando asserivano che uno 0-2 non gli faceva assolutamente paura, deve aver anche sorriso, per quanto amaramente o maliziosamente, in questo momento almeno un dubbio piuttosto ingombrante dovrebbe cominciare a far capolino.
E non è tanto per la vittoria in sé, che alla fine è comunque quello che conta, ma soprattutto per la maniera in cui è arrivata. Basti prendere come esempio due minuti di partita, esattamente l’ultimo box play giocato dal Lugano attorno al 45′, due minuti in cui Merzlikins una qualche parata l’ha fatta ma nemmeno così difficile, ma soprattutto due minuti in cui il Lugano ha sublimato la sua anima da playoff.
Lapierre che provoca in continuazione Pettersson e il topscorer zurighese per effetto comincia a buttare dischi nei rifiuti, con i tipici tiri frettolosi o i controlli pericolosissimi, Sannitz che si butta su qualunque cosa passi nel raggio di due metri, Furrer che mette in pista tutta la sua intelligenza e l’energia per stare dove il disco arriverà per poi spazzarlo dal terzo prima ancora che i Lions possano controllarlo agevolmente.
Questo per riassumere un fatto, che in Gara 3 il Lugano è tornato a fare il Lugano migliore da playoff, mentre gli ZSC Lions, non si sa quanto di conseguenza, hanno perso pazienza, dischi sanguinosi (qualche sintomo già paventato all’Hallenstadion) e la partita.
I bianconeri hanno infatti messo in atto quello che Wick e compagni avevano usato come arma contro di loro, il forecheck altissimo e continuo, un asfissiante presenza fisica alle assi e nello slot e un intelligente lavoro in zona neutra, tutti fattori che hanno tolto timing e idee agli uomini di Kossmann.
Grazie a questo lavoro Bertaggia e compagni si sono creati di conseguenza gli spazi per andare a fare male a Flüeler, mai così sollecitato da vicino dagli attaccanti bianconeri – e la differenza sta proprio nella vicinanza dei tiri, più che del numero – e anche qualche difensore tigurino ha cominciato a mostrare limiti nella gestione del disco e nel posizionamento.
A turno i vari Marti e Guerra (improponibili in zona neutra sulla rete di Bertaggia) ma anche Sutter e Baltisberger sono andati in “manopola sconnessa”, come direbbero gli appassionati di videogiochi, favorendo alcuni pericolosi contropiedi da parte della squadra di casa.
Non che i difensori del Lugano siano stati perfetti, tutt’altro, ma la differenza sta che nei momenti in cui occorreva acume e sacrificio, i vari Ulmer (che block-shot su Pettersson!), Wellinger, Furrer e Riva non hanno avuto paura di sdraiarsi sul ghiaccio o ancora hanno mantenuto la giusta lucidità per favorire anche lo shutout di Merzlikins.
Ecco, un altro mattone per la vittoria è arrivato dal portiere lettone che, lo si era già visto in stagione, dopo una partita “bucata” si rialza sempre con una successiva da applausi.
Particolarmente decisive sono state le sue parate sul contropiede di Kenins nel terzo tempo e una deviazione a palombella che ha rischiato di finire sotto l’asta, ma in generale il portiere del Lugano ha mostrato determinazione e sicurezza per tutto l’incontro, tipicamente in “stile Elvis”.
Cosa che manca ancora a questo Lugano, con un Bertaggia finalmente concreto (a partite alterne…) e l’intelligenza di gioco di tutto il bottom six, sono le reti di Fazzini, e non lo diciamo tanto per, perché l’attaccante numero 17 sembra pattinare un po’ troppo fuori dal gioco e sembra non riuscire a trovare lo spunto giusto per rilanciarsi.
Ora la bravura di Ireland sarà quella di tenere i suoi uomini sui binari della calma e del sangue freddo, ma per quanto abbiamo visto finora con il coach canadese, siamo sicuri che saprà gestire al meglio anche questo momento. Quanto influirà sulla serie questa vittoria? Fino a mercoledì non lo sapremo, fatto sta che questo Lugano la voglia di affondare non ce l’ha mai.
IL PROTAGONISTA
Raffaele Sannitz: Paolo Duca, in una conversazione di qualche anno fa, disse che nell’hockey si cresce a “pan, büter e legnat”.
Niente di più vero detto da uno che ne ha fatto il suo mantra, ma soprattutto in questi playoff quelle tre parole sono il menu principale di Raffaele Sannitz.
Quando i giochi si fanno duri e sporchi e solo in pochi rimangono in piedi, il numero 38 emerge per intelligenza di gioco, esperienza e muscoli. Non solo, sono già 5 le reti segnate dal momò in questi playoff, spesso decisive.
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