Non ha detto sostanzialmente nulla di nuovo il Lugano nel ribadire la propria posizione in merito al progetto dei Bellinzona Rockets, ma la conferma da parte del club bianconero di volersi orientare su uno sviluppo concentrato sul settore giovanile di fatto comporta un processo di valutazione anche per gli altri attori coinvolti.
Il problema centrale sollevato dal Lugano, ovvero quello della mancanza di sufficienti giovani di talento per alimentare un farm team in Swiss League, è chiaro oramai da tempo. Nel corso degli anni a Biasca si erano infatti imbastite delle collaborazioni anche con Davos, Losanna oppure Bienne, club che però dopo poco hanno tutti preferito prendere un’altra direzione.
Con il passare degli anni questo problema ha assunto sempre maggiore importanza, a risultato dei cambiamenti – di regolamento con l’introduzione dei sei stranieri, ma anche di filosofia – di cui si è resa protagonista la massima lega. In breve tempo la NL ha aggiunto due squadre al proprio torneo, creando così una maggiore esigenza di giocatori svizzeri di livello a cui praticamente tutti i club hanno risposto in maniera forse inaspettata.
Basta osservare i numeri ed i trend di mercato delle stagioni più recenti per accorgersi di varie situazioni in cui i club hanno deciso di puntare maggiormente e da subito sui propri giovani più promettenti, abbandonando gradualmente la “comfort zone” rappresentata da quel classico contratto di troppo offerto ai veterani.
La possibilità di schierare sei stranieri in questo senso ha avuto dei benefici, perché a fronte di costi superiori – le scelte dei DS si sono tutte orientate su giocatori di un certo livello – si è creato anche un margine per poter osare maggiormente nell’inserire immediatamente i propri talenti nel lineup, risparmiando nel contempo anche qualche soldo rispetto allo stipendio richiesto da un giocatore d’esperienza a fine carriera.
Oggi siamo infatti confrontati con una NL in cui ragazzi con un massimo di 22 anni possono già rivestire ruoli importanti ed avere un impatto significativo. Rochette dopo 35 partite ha firmato 21 punti, Biasca ha già ottenuto otto gol, seguito a ruota dai vari Derungs (7), Ramel (5) oppure De Luca (5).
Ad oggi nella massima lega troviamo già 12 difensori U22 che giocano almeno 10 minuti a partita, e la metà di loro vede addirittura di media tra i 15 ed i 19 minuti di ghiaccio. Sul fronte degli attaccanti si supera invece la ventina di elementi con oltre dieci minuti ad incontro, e se si citano nomi come i vari Rochette, Knak, Biasca, De Luca, Rohrer oppure Derungs è facile realizzare che il loro impiego è in ruoli importanti e con un impatto concreto per le loro squadre.
Chi ha la curiosità di andare a consultare i numeri si sarà accorto che già nelle stagioni precedenti il Covid in termini di TOI ed età dei giocatori non mancava l’innesto dei giovani, ma nel confrontare le situazioni bisogna ricordarsi che il livello dell’attuale NL è significativamente più alto rispetto a quello di 4-5 anni fa. Lanciare oggi un giovane in prima squadra ha dunque un peso maggiore, e comporta uno standard più alto.
La Swiss League è invece reduce da anni turbolenti, con una crisi d’identità ancora da risolvere ed il disastro portato dalla scelta di essere indipendenti anche nella gestione dei diritti TV, a cui si è aggiunto il ritiro di alcuni club storici ed un gap con la massima serie che si è ulteriormente allargato. Un anno fa SIHF e National League avevano deciso di dare una mano alla serie cadetta con un contributo di 1.5 milioni di franchi, ma la sostenibilità finanziaria della SL rimane un tema di grande attualità e fonte di preoccupazione.
Tutto questo per dire che nell’hockey di oggi il percorso d’entrata di un giovane in NL può essere diverso da quello ipotizzato quando il progetto Ticino Rockets era stato avviato. I ragazzi davvero promettenti – e questo in tutta la Svizzera – vengono spesso chiamati al CHL Import Draft e vivono un’importante esperienza oltre oceano che li traghetta al professionismo, mentre i club di NL tendono ad integrare sempre prima i loro talenti, mantenendoli nel giro della prima squadra grazie anche alla possibilità di poter schierare quattro elementi U22 nel campionato U20 Elit.
L’idea di un farm team in Swiss League si colloca dunque in un contesto difficile, e con degli intenti per certi versi anacronistici. Il livello di talento richiesto per ambire ad essere un giocatore d’impatto nella massima lega è tale che questo si manifesta già a livello di settore giovanile, e raramente si sviluppa – se non per ruoli “energici” da bottom six – oltre i 22/23 anni di età. Ed infatti il Lugano ha tracciato proprio lì la sua linea, come indicato da Domenichelli ad inizio stagione. I bianconeri seguono lo sviluppo dei giovani e provano ad integrarli in prima squadra sino ai 23 anni, dopodiché se le cose non funzionano si volta pagina. In altre realtà europee questo limite è addirittura più basso.
La grandezza del bacino a propria disposizione riveste dunque un ruolo centrale, così come il livello che è necessario raggiungere per arrivare ad essere oggi un professionista nelle rose di Ambrì Piotta e Lugano. L’asticella si sta alzando sempre di più, e di conseguenza i giovani che possono avere l’ambizione di fare il grande salto sono un numero davvero ristretto.
L’integrazione diretta in prima squadra, unita alla possibilità di continuare a giocare negli U20 Elit e l’eventualità di un prestito in casi particolari – scelta già operata dall’Ambrì quest’anno con Brüschweiler, Zündel e Marchand – sembrano dunque già buoni strumenti, rendendo l’impegno necessario per avere un farm team in Swiss League un extra impegnativo in termini finanziari e probabilmente non imprescindibile dal punto di vista sportivo.
L’interrogativo non è dunque sulla qualità del lavoro svolto a Bellinzona – il cui impegno nel ridare vita al progetto nonostante mille difficoltà è stato lodevole ed evidente – e nemmeno sul chiaro valore di poter dare ai giovani una realtà in cui iniziare a sperimentare l’hockey degli adulti. La questione riguarda semmai il contesto in cui si colloca, ovvero quello di un bacino che ha troppi pochi talenti per pensare che Ambrì Piotta e Lugano abbiano addirittura sufficienti giovani di livello per completare la prima squadra, portare avanti un buon campionato Elit e contribuire anche ad una rosa di Swiss League. Quest’ultima rischia di conseguenza di allineare tanti ragazzi volenterosi ma con poche reali prospettive di fare il passo successivo.
Difficile dunque giustificare l’investimento finanziario e di forze lavoro in un progetto su questa linea, che nasce con delle ottime intenzioni ma che arriva forse troppo tardi nella catena di sviluppo dei giovani. Non aiuta inoltre la sostanziale assenza di introiti finanziari dalle presenze in pista (i Rockets quest’anno hanno 150 spettatori a partita) ed il fatto che gli aiuti di SHIF e NL siano limitati all’attuale stagione.
Ci sono sicuramente delle eccezioni – recentemente Terraneo ha giocato un anno intero ai Rockets prima di debuttare ad Ambrì – ma complessivamente l’approccio del Lugano di investire maggiormente sul proprio settore giovanile appare sensato, proprio per andare ad aumentare il numero di ragazzi che arrivati alla giusta età hanno realmente gli strumenti per ambire ad essere dei giocatori di rilievo nella massima lega. Se si vuole migliorare il bacino di giovani con un certo livello e prospettive, investire sulla base della formazione è l’approccio più diretto.
Sarà dunque interessante osservare come deciderà di proseguire l’Ambrì Piotta, ed anche un Langnau che non ha mai nascosto di ambire ad una propria realtà cadetta a braccetto dell’apertura della seconda pista. La loro posizione geografica più centrale potrebbe forse agevolare la creazione di una realtà di sviluppo a cui più club potrebbero interessarsi, nel contesto anche di un bacino molto più ampio.
Non resterà che attendere, ma indubbiamente imbastire dei progetti su questa linea è molto complicato ed oneroso, tanto che ad oggi solamente gli ZSC Lions hanno la solidità strutturale per ragionare con continuità e profitto in quel senso.