PORRENTRUY – Bandiera. Un termine usato troppo spesso a sproposito nel mondo sportivo, per non parlare di varie maglie ritirate dai club. Quando però si parla di Jordane Hauert ecco che il termine calza a pennello.
Il difensore nel canton Giura è una vera istituzione, una leggenda. 22 stagioni consecutive, dal 2001 al 2023, nelle fila dell’Ajoie, dieci in qualità di capitano, per un totale di oltre 1’000 partite. Lo scorso aprile il 36enne ha concluso la sua lunga carriera.
Jordane, sei sempre sicuro della tua decisione di smettere, oppure vedendo le squadre che sono tornate ad allenarsi ti viene voglia di rimetterti al lavoro?
“Dapprima vorrei dire che per me questo non è mai stato un mestiere, è sempre e solo stata una passione. Non ho cambiato idea, certo che fa strano vedere gli altri ex colleghi intenti a cimentarsi con la preparazione estiva mentre il sottoscritto è fermo. Ormai gli allenamenti erano diventati un’abitudine in questo ventennio”.
Con l’Ajoie hai ottenuto tantissimo. Qual è stata l’emozione più grande? I titoli, la promozione in NL, la Coppa Svizzera o la recente salvezza?
“Direi quest’ultima. Non avevo mai vissuto una cosa del genere nella mia carriera. Eravamo in una situazione molto critica, l’infermeria era piena tra feriti e malati, oltretutto giocatori molto importanti. Terminare la carriera mantenendo il posto nella massima lega malgrado le avversità è stato veramente fantastico”.
E quella tua rete al 93’ in Gara 3 che vi ha permesso di dimezzare lo scarto e portarvi sull’1-2 nella serie decisiva…
“Probabilmente è stata la più importante della mia carriera. Inoltre era veramente da tanto che non segnavo più. Ai tempi trovavo il gol più spesso, negli ultimi anni invece non era più così”.
Se foste retrocessi avresti cambiato idea? Terminare con una relegazione non sarebbe stato un boccone facile da digerire, avrebbe un po’ rovinato il tuo percorso…
“Difficile dare una risposta, non ho mai pensato a quell’eventualità. Nella mia testa c’era unicamente il pensiero fisso di salvare il posto e non c’era spazio per altri scenari”.
Tuo papà Patrick è pure lui un’istituzione, è il presidente del club dal 1999. All’inizio della tua carriera c’era gente che ti criticava sostenendo che giocavi solamente perché eri suo figlio?
“Erano molte le persone a farlo… Spesso mi sono sentito dire ciò. Ma questo tipo di critiche ti rende ancora più forte, ti aiuta mentalmente e ti permette di forgiare il tuo carattere”.
E con il passare del tempo hai certamente dimostrato di essere lì esclusivamente per meriti sportivi e capacità. Certo che è incredibile pensare a come siano aumentati ritmo e velocità durante l’arco della tua lunga carriera. Sei fiero di come tu sia riuscito ad adattarti?
“Chiaramente c’è stata un’evoluzione enorme, il gioco è progredito tanto, ma io non mi sono mai messo davanti al club e non ho mai pensato troppo a livello individuale. Per me viene prima sempre la squadra. È stato un periodo lungo e molto bello, mi ha permesso di conoscere tanti nuovi compagni, questo è un lato che ho sempre apprezzato molto”.
È stato difficile separare l’aspetto sportivo da quello familiare con il babbo?
“No, non è mai stato un problema, siamo sempre riusciti a scindere i due argomenti, anche grazie a mia moglie, lei è una persona molto riflessiva e ha aiutato tanto in questo senso”.
Non hai mai lasciato il tuo club, se non per due brevi periodi del postseason in prestito con licenza B. Eppure di offerte ne avrai avute, come mai questa scelta, non hai mai avuto voglia di vedere qualcosa di nuovo?
“Mi sono sempre trovato benissimo nell’Ajoie, è casa mia. Ho avuto la fortuna di poter giocare e continuare la mia formazione professionale, fatto fondamentale per un giocatore di hockey. Quando ero giovane ci fu qualche possibilità di partire. Nel postseason del 2010 con Steven Barras andammo ad aiutare il Bienne. Ci salvammo a Gara 7 dello spareggio contro il Losanna. In quel periodo ci furono dei contatti con i seeläander, ma non se ne fece nulla. Idem un anno prima, trascorsi l’estate ad allenarmi con il Berna, ma ebbi qualche guaio fisico e inoltre gli orsi avevano già una difesa fortissima. In sostanza era tutto un po’ prematuro”.
Il grande Barras ha smesso già da qualche anno, ora è il tuo turno. Due figure di culto, non hai paura che questo tipo di giocatori venga ora un po’ a mancare nella realtà giurassiana?
“No, ci sono altri giocatori che seguono le nostre orme. Penso ad esempio a Thibault Frossard, ormai attivo da 12 anni. Oltre a lui citerei anche Bastien Pouilly e Steven Macquat, pure loro da tante stagioni in seno al club. Lo stesso vale per i canadesi Devos e Hazen e infine c’è anche Kevin Fey, difensore dotato di grande esperienza che è tornato a vestire la nostra maglia”.
Potresti un giorno raccogliere l’eredità di tuo papà e prendere il timone della società in veste di presidente?
“Bella domanda, attualmente sono già abbastanza carico con il lavoro, quindi per il momento è meglio lasciar perdere”.
Che tipo di lavoro svolgi adesso?
“Sono vicedirettore in una ditta attiva nel ramo orologiero, già da parecchi anni. Curo diversi aspetti, come ad esempio questioni relative alla produzione oppure seguire i clienti”.
Resterai comunque attivo all’interno dell’Ajoie?
“Ho detto al direttore sportivo Julien Vauiclair che se dovesse avere bisogno per qualche mansione sarei a disposizione. Allenare i giovani? Ora come ora non per forza, sono appunto molto impegnato professionalmente, ma in futuro si vedrà. Sicuramente andrò regolarmente a vedere le partite dei miei ex compagni”.
E ricalzare i pattini in qualche squadretta?
“Ecco qui posso rispondere con certezza, non giocherò a livello amatoriale, non fa per me”.